Canti sannicolesi
L’atto
poetico è l’atto di liberazione, solo nella libertà è
poesia… non si ha nozione di libertà se non per l’atto poetico che ci dà
nozione di Dio (Ungaretti).
Alle tue forme più belle |
Vorrei Al golfo
Vorrei essere i tuoi monti e le valli, l’aria che li sfiora li agita, l’incora e placida fa loro compagnia.
Vorrei essere l’acqua che invade e penetra che visita, percorre scava e poi è sorgente, ruscello fiume il tuo fiume che denso di esperienza matura la piana.
Vorrei essere i fiori tuoi e i boschi quando li sbatte la tempesta e quando la quiete li riposa i tuoi fiori nascosti quelli profumati i tuoi boschi nei cui sentieri per prima il sole a sera si ritira.
Vorrei essere il tuo mare la rena ch’esso bacia lo scoglio ch’ha in sé.
Vorrei tutta la tua natura in me.
Ed essere la quercia che i nembi sfida e vince vorrei come la foresta tutti i sensi miei unire alla tempesta, che la scogliera mi dicesse il suo segreto e il monte mi prestasse un po’ della sua forza.
Vorrei… vorrei essere in te.
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…
Al capo San
Nicola
Caro capo calabrese, ricordi, dopo tanto avesti le tue sembianze.
Il cielo su di te sorrideva d’acquamarina e lungo le pareti d’aria oro e ferro mandava nel tuo crogiolo.
D’un intero bosco a te fu l’aroma che sarebbe entrato nel mio petto,
e la danza delle fronde ti s’impresse.
T’amarono gli animali, io non c’ero a venare col mio sorriso la tua terra giovane. Ritornarono le rondini a primavera ma il passero era lì ed il tordo: non ti parlarono di me mai.
E ci furono quelli che sulle membra tue ebbero riposo.
Se fossi primavera… e l’estate, l’autunno insieme e il verno!
Sarei stata l’acqua che ti penetrava molle e dell’aria avrei avuto le mani piene di carezze.
Essere la levità del bacio al risveglio il verde manto e il ramo perché vi deponessi i miei tesori, oppure raccogliere al par d’autunno i tuoi sospiri lenti e poi vegliare con l’inverno sul tuo sonno.
T’avrei dato il raggio più solerte del sole che feconda e freme, il gorgheggio d’uccelli a piena gola, con le grandi braccia dei miei venti anch’io t’avrei cullato al seno dolcemente.
Dolce capo solitario tanti furono i tuoi nemici dai lunghi artigli voraci sulle forme tue, quelli che aprirono al tuo aroma la loro vanità, e per le vie andò, rapito, il tuo sorriso. E tu vedesti fare e disfare come sul telaio la tua tela.
Io allora già ti avevo nelle vene come un microbo nascosto, ma non c’ero.
Ora capo s’è coperta la corteccia del tuo petto nudo di novelle spoglie ed io son tornata nel tuo seno vero, nel cuore e nella mente segnata libera nell’isola d’oro solamente. Io lì proprio lì t’ho trovato e lì ti raggiungo perché il mondo non ci vuole.
Mio capo San Nicola anch’io ho colto la mia delusione il giorno e la notte sordi ai miei doni muti. Ormai ogni dolore abita le membra mie, stilla a stilla le bagna, di lacrime e di sangue. Ma l’isola d’oro e di fuoco freme nei viali infiniti come sulla lira il suono del mio canto e il tocco che nasce tra i guanciali del tuo cuore con la lunga voce segreta cerca quella nota. Lì il mio canto e il tuo suono…
perché il cielo e la terra il giorno e la notte tutti ci sorridono lì veramente.
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