A cura di Gioacchino la Greca
C'è
molta scuola del fine quattrocento in questa narrazione sacra. Il pittore
conosce bene i grandi della pittura del XV e XVI secolo e ne riporta colori e
figure nella sua opera. S. Elisabetta per esempio richiama molto la vecchia
grifagna simile a tante figure
di Mantegna. Il paesaggio è molto leonardesco, con gli sfumati atmosferici che avvolgono di
velata malinconia le acque tranquille e i monti lontani, mentre alle spalle
dei personaggi una lussureggiante vegetazione sembra risentire di una
imminente rinascita. Sulla destra un piccolo personaggio inginocchiato,
braccia levate opposte al santuario imponente sembra approvare ciò che noi
vediamo: è il bambino il miracolo vivente, non certo le mura della chiesa. La
figura centrale della Madonna mostra un volto raffaellesco, in una posa
michelangiolesca, piramidale a riempire il centro della scena. Da un'ara
antica o sarcofago di chiara impronta classica emerge e zampilla acqua viva,
quella di cui sarà datore il bimbo fatto Uomo. I due vegliardi Elisabetta e
Giuseppe rappresentano l'antica alleanza, il popolo di Israele fedele alla
legge, di cui il Battista sarà "il più grande tra i figli di
donna", colui che deve lasciare il passo al nuovo, rappresentato da Gesù
che viene al mondo dal piccolo resto del popolo di Israele fedele a Dio,
raffigurato in Maria. E così i due bambini quasi coetanei vivono separati la
loro vita, per avere una sorte comune nella morte: entrambi voci profetiche
schierate contro il potere che opprime verranno messi a morte dal tiranno politico
e religioso dell'epoca. |
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