Filosofia 

 

Per una antropologia edenica

Ermeneutica del racconto biblico di Adamo ed Eva

 

di Mimma De Maio

 

In questo articolo si tenta una elaborazione in chiave antropologica della complessa simbologia del Giardino terrestre, che si colloca nel quadro evolutivo, tracciato da Teilhard de Chardin, di un cosmo organicamente strutturato di tipo convergente.

Ne nasce una fenomenologia ontologica della fondazione dell’uomo inteso come entità bio-psico-intellettiva in cui opera il richiamo metafisico che permette l’emergere della noosfera dalla biofera.

Già nel racconto della Creazione l’uomo appare alla fine del processo evolutivo (sesto giorno) e appare come prodotto fruitivo di tutta la creazione (G. 1,26-30) prima del riposo del settimo giorno. Nella ricapitolazione che il libro del Genesi dà della creazione (G. 2,4-7) si coglie un ulteriore elemento che lega l’uomo alla evoluzione precedente in quel "fango della terra" col quale il Signore formò l’uomo (G. 2,7); mentre il luogo "di delizie" (G. 2,8) ove è collocato questo prodotto evolutivo si configura, dall’angolazione in cui ci siamo posti, come punto di massima concentrazione necessaria alla dinamica evolutiva.

Il salto qui adombrato è il più significativo di tutta l’evoluzione poiché avviene col diretto intervento divino ("E il Signore Dio formò l’uomo…", G. 2,7) laddove i momenti evolutivi precedenti vedono il Creatore lontano e dominatore ("…e lo Spirito di Dio si librava sopra le acque", G. 1,2).

Premesso ciò, nelle potenti figurazioni del racconto del Paradiso terrestre è concepibile individuare un tratto del sistema evolutivo ascendente che da un prodotto inferiore fa emergere per dinamica interna uno superiore, teso al suo completamento. Il testo biblico disvela, insomma, alla intellegibilità moderna l’antropogenesi di cui parla il gesuita francese.

Adamo, l’uomo che Dio forma col fango dell’Eden, si configura dunque come una realtà biologica che si allontana dalla evoluzione della specie nel lungo processo si umanizzazione della vita e che riceve "il soffio" divino (G. 2,7) condicio-sine-qua-non dell’accesso alla evoluzione umana.

Abbiamo chiamato l'alito, col quale Dio la vita ad Adamo, "richiamo metafisico". Con esso vogliamo indicare l’elemento propulsore inesauribile e profondo che si introduce nella evoluzione ed opera nella noosfera e che fonda lo statuto ontologico della "persona vivente" (G. 2,7).

In sostanza in quell’ispirare "in faccia il soffio della vita" (G. 2,7) c’è l’atto del dare che è assunto dalla parte adamica dell’uomo in cui viene a determinarsi la disposizione ad attuare il progetto divino ("Facciamo l’Uomo a nostra imagine e somiglianza", G. 1,26).

Siamo in presenza di una realtà che sta costituendosi. Essa è in grado già di ricevere un comandamento ("Mangia pure di ogni albero del paradiso...", G. 2,16-17) ed è in grado di distinguersi dagli altri elementi della creazione ("Or Adamo pose nomi appropriati...", G. 2,20).

Ma l’uomo edenico - abbiamo detto entità bio-psico-intellettiva - non è ancora completo: la sua parte biologica deve incontrarsi con quella psico-intellettiva. È necessario, per questo, un ulteriore passo evolutivo, che avviene ancora una volta col diretto intervento del divino: Dio dota Adamo di Eva. E la trae dalla stessa realtà-Adamo ("Allora il Signore [ ... ] gli tolse una costola", G. 2,21) infatti lo psichismo e la razionalità si producono nell’uomo e sono essenza immateriale-reale.

La nascita di Eva, nel processo che stiamo individuando, rappresenta, dunque, l’innesto della vita interiore nel bios - una incarnazione - il che avviene nel lungo tempo di pre-coscienza ("Allora il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno", G. 2,21) che precede la presa di coscienza razionale.

Solo ora l’uomo edenico è definito. Esso è una duplicità - Adamo-Eva - che possiamo specificare come un complesso di leggi di natura che non sono più quelle cieche della evoluzione precedente ma che entrano nella universale uniformità del cosmo, ed una essenza psichica e razionale in grado di gestire quelle leggi per un fine superiore. Siamo in presenza, insomma, di una struttura che ha interiorizzato la logica evolutiva per la quale l’uomo-Adamo dovrà lasciare la propria origine (di realtà solo biologica) e divenire con la sua parte psico-intellettiva una nuova realtà ("Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due saranno una sola carne", G. 2,24). Struttura aperta e infinitamente plastica, ma priva di "essere" cioè nuda e non ancora in grado di autodefinirsi ("eran nudi, e non ne avevan vergogna", G. 2,25).

Perché questo composto si faccia "persona vivente", unità profonda tesa alla realizzazione in sé dell’immagine divina, è necessario che si diriga volontariamente verso l’Essere e per far ciò ci vuole una presa di coscienza. È necessario, vogliamo dire, che il "richiamo metafisico", che già ha portato al risultato-uomo, si specifichi come tensione intenzionale, esigenza del compimento umano, richiesta di vita spirituale, cioè che si dispieghi l’originalità ontologica della persona umana.

Siamo nel punto centrale del racconto biblico: in questo prodotto evolutivo, struttura in grado di essere fecondata dal trascendente, deve diventare autonomamente operante l’antropogenesi.

La figurazione della tentazione (G. 3,1-5), secondo la prospettiva che stiamo tracciando, acquista la valenza di un ulteriore momento evolutivo, quello che permette lo sbocco verso la vita dello spirito che è assunzione e svolgimento in sé dell’immagine divina. Questo salto è operato, rimanendo nella dinamica evolutiva, dalla realtà psico-intellettiva. Eva ascolta infatti il serpente, che rappresenta la voce della evoluzione precedente ("Ora il serpente era il più astuto di tutti gli animali della terra che il Signore Dio aveva fatti", G. 3,1). Insomma lo stadio evolutivo inferiore prepara e spinge a quello superiore.

L’azione di Eva (G. 3,6) si svolge contro un comandamento dato al solo Adamo: infatti il biologismo non può elevarsi al piano superiore realizzando il progetto divino ("perché nel giorno in cui ne mangerai, tu morrai", G. 2,17); si svolge, però, ubbidendo alla parola della ortogenesi. Insomma l’azione di Eva si configura come la risposta di questo nuovo e sui generis prodotto della evoluzione alla razionalità evolutiva.

Ogni salto evolutivo d'altronde è una disubbidienza alle leggi dello stadio precedente, ed è operato dall’elemento che ha le caratteristiche di non specificità prodotto da quello stesso stadio. Evolutivamente infatti ogni indipendenza non può concepirsi senza disubbidienza.

Con questo atto si introduce nella realtà psico-intellettiva umana una sua condizione specifica: la libertà. Esso cioè fonda il dinamismo, proprio dell’uomo, di liberazione dai limiti della materia, che lo farà guida della sua evoluzione.

Il "richiamo metafisico" è diventato un vero e proprio istinto edenico che dirigerà tutta l’antropogenesi verso l’Essere che è bene e verso la conseguente eliminazione del male che è mancanza di essere.

Il frutto dell’albero della scienza del bene e del male, di cui si ciba Eva e che da questa è porto ad Adamo (G. 3,6), offre il contenuto alla dialettica del compimento umano che permette all’uomo la realizzazione in sé della propria umanità, la teilhardiana "umanizzazione dell’umanità".

Solo ora si evidenzia la nudità ("Allora si apersero gli occhi ad ambedue ", G. 3,7) cioè l’uomo, edenico prende coscienza della propria carenza di essere (male) che determina la fuga davanti all’Essere (bene) ("Adamo con la sua moglie si nascose dal cospetto del Signore", G. 3,8) prima del definitivo compito che Dio gli assegnerà.

La nudità, abbiamo visto, è carenza di, ma è anche disposizione a, apertura a, ed è una strategia evolutiva. Nella noosfera essa porta all’accoglimento del lievito che opererà dal di dentro.

Ora se la carenza di essere (male) è mancanza della essenza della umanità (non-essere) sarà ricchezza della evoluzione precedente, quindi il non-essere sarà l’istintualità animale e l’evoluzione umana tenderà allo svolgimento della umanità (bene) vincendo l’istintualità (male). Di conseguenza l’uomo edenico, potendo avvertire tutta la negatività della carenza di essere, poiché ha assunto il frutto della conoscenza del bene e del male, si coprirà quella parte di sé ("cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture", G. 3,7) che costituisce la via attraverso cui si riversa in lui l’evoluzione precedente, cioè il non-essere. L’organo del sesso è infatti la via dell’istinto che ha guidato in modo sempre più determinante l’evoluzione delle forme superiori permettendo la vittoria della specie e configurando il nuovo prodotto evolutivo come estremamente sessuato. Esso riassume la massima determinazione istintuale del soggetto evolutivo ed è collegato alla morte perché evolutivamente riprodursi è morire.

Riassumendo, il male per l’uomo è la vittoria della evoluzione biologica e quindi della morte, per cui il peccato sarà ogni opzione per quella evoluzione, ogni deroga dal compimento umano e porterà alla morte; di contro il bene è ogni costruzione umana, la purificazione del portato della evoluzione della specie, per cui la purezza sarà l’affinarsi della materia nell’uomo. Il dettato morale si fonda qui.

Nel dialogo con Dio che segue la presa di coscienza etica (G. 3,9-13) è riassunto lo svolgersi di questa antropologia (divieto ad Adamo, spinta del serpente, disubbidienza di Eva, assunzione del frutto) come tappe successive di un percorso che termina nel compito che Dio assegna all’uomo edenico (G. 3,16-19). Esso è un duplice impegno - il parto di Eva, il lavoro di Adamo - corroborato da una promessa (G. 3,14-15) che sostiene e rende possibile la realizzazione del compito stesso.

La promessa è l’aiuto per la lotta col serpente, compito esclusivo della parte superiore dell’uomo ("Ed io porrò inimicizia fra te e la donna [ ... ] essa ti schiaccerà la testa", G. 3,15) cioè per la liberazione dal retaggio della evoluzione della specie e quindi dalla morte. Il duplice impegno riassume la dinamica del compimento umano che consiste nel parto della spiritualità (G. 3,16) operato, nella profondità interiore dell’uomo, col contributo della sua parte psico-intellettiva ma in collaborazione con l’altra realtà umana, quella biologica, solo se questa avrà controllato la sua istintualità cioè avrà vinto la resistenza della materia trasformando le leggi imperanti nella evoluzione precedente in energia per la evoluzione seguente ("con fatiche ne trarrai il nutrimento [ ... ]. Essa ti produrrà triboli e spine e tu mangerai l’erba dei campi. Col sudore della tua fronte mangerai il pane", G. 3,17-19).

Il parto di Eva in sostanza è ogni prodotto di vita spirituale generato in una lenta progressione ("Moltiplicherò i tuoi affanni e le tue gravidanze", G. 3,16) del dinamismo della biosfera verso forme sempre più mature; esso permette all’ordine inferiore di riversarsi in quello che lo sovrasta e caratterizza la nuova evoluzione come svolgimento della categoria dell’essere verso la realizzazione della umanità nella sua integrità.

Ad indicare l’atto iniziale del nuovo percorso evolutivo, cioè l’assunzione del compito da parte dell’uomo edenico, c’è quel dare "il nome di Eva" alla interiorità umana genitrice della spiritualità nell’uomo (G. 3,20), assunzione che è seguita dalla pregnante immagine di investitura da parte del Signore ("E il Signore Dio fece ad Adamo e alla sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì ", G. 3,21).

In conclusione l’uomo, questa realtà bio-psico-intellettiva percorsa dall’istinto edenico di conquista dell’essere, segnato dalla coscienza della carenza della sua origine, diventato sacerdote del proprio compimento, è avviato a fecondare la storia con le sue forme simboliche dove le due evoluzioni si uniranno in ogni frutto umano.

Alle soglie del paradiso terrestre è sancito l’emergere della noosfera in cui opera un paradigma evolutivo diverso e più fecondo, non deterministico, costantemente rinnovabile, di enorme ricchezza. In esso converge, tutto lo sforzo evolutivo perciò è un tragitto difficile e faticoso in cui la sofferenza e il controllo (il parto di Eva, il lavoro di Adamo) prodotti dalla tensione verso l’Essere, generano la forza propulsiva capace di liberare l’uomo dalla privazione dell’essere e di avviarlo alle conquiste interiori - lo spirituale nell’uomo che purifica la materialità - cioè di preparargli la personale costruzione alla partecipazione ad un ordine superiore.

Questo superiore sbocco evolutivo, nella simbologia che il nostro punto di vista ha tracciato, è individuabile nell’albero della vita eterna (G. 3,24) che è possibile solo a chi realizza in sé l’immagine divina.

Ma l’accesso al secondo albero del paradiso terrestre è precluso all’uomo edenico ("Badiamo ora che non stenda la mano e prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva in eterno", G. 3,22) perché esso deve ancora costituirsi attraverso tutta l’evoluzione umana nella quale l’uomo porterà l’impronta dell’altro albero.

Il cammino della storia diventa allora un andare verso un fine superiore e giunge alla vittoria sul serpente ad opera di un’altra donna, la cui maternità vergine, avvenuta cioè senza l’apporto dell’istinto che lega alla biosfera, recide il legame con questa determinando lo sbocco dell’antropogenesi nella cristogenesi.

La maternità di Maria è l’attuazione della inimicizia decretata alle porte del paradiso terrestre (G. 3,15) cioè la vittoria sulla evoluzione biologica e segna l’inizio dell’ultimo stadio evolutivo, in un altro momento di intensa concentrazione, questa volta culturale, con l’intervento fecondante dello Spirito Santo. Essa è punto, culminante della evoluzione perché vi converge tutta intera la Trinità.

La redenzione segna con la croce il pieno riscatto dalla evoluzione cioè la vittoria sulla morte legata a questa e la conseguente resurrezione "spirituale dell’anima alla vita di grazia in terra e alla vita di gloria in Paradiso" (Apocalisse, 20,5) e dà la giusta dimensione alla resurrezione dei corpi perché l’affinamento della materia si trasforma in energia dello spirito.

L’avvento di Cristo che sostiene tutta la evoluzione umana prima come promessa ed attesa poi come attuazione della vita dello Spirito nella realtà profana, indica il cammino verso la santità, indica cioè che perfezione è liberazione dalla evoluzione e santificarsi è accesso all’Essere.

In conclusione questo secondo momento della evoluzione umana, che è, come abbiamo detto, la vita dello Spirito che si realizza nella realtà profana, instaura la dimensione cristocentrica dove l’insegnamento e la vita di Cristo diventano archetipo spirituale. Questa e quello si configurano insomma come esempi e metodi di esperienza spirituale che trovano il culmine nella Passione. In essa è sancita la forma più feconda dell’Amore, come dono completo di sé (dono che è aprirsi ed attendere); e del Dolore, quello dell’innocente (il mistero dell’iniquità che problematicamente attraversa tutta la saggezza veterotestamentaria) per specificarsi entrambi come abbandono (una nudità) incondizionato e apertura illimitata all’Assoluto alimentati dall’autentica speranza, condizione sola che mette l’uomo in relazione col Tu superiore, e come debolezza della materia che diventa forza dello spirito in direzione della vita eterna.

La evoluzione umana da questo momento avrà come sostegno e sua validità l’attesa escatologica, quando il Cristo della Parusia realizzerà la prospettiva edenica (G. 3,22) aprendo le porte all’accesso al secondo albero a cui avranno "diritto" coloro che "lavano le loro vesti" (Apocalisse, 22,14).

Ancora un volta è sancita la necessità di purificare l’evoluzione per l’"assunzione dell’esistenza umana nella sussistenza" divina cioè per l’immersione nella pienezza della vita dello Spirito.

 

In "Riscontri", anno XV, n. 1-2, gennaio-giugno 1993

Sabatia Editrice - Avellino

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