Fiabe 

 

La forza vera

 

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C’era una volta il figlio di un re che come tutti i principi viveva la vita di corte e come tutti i futuri eredi al trono aveva imparato l’arte di governare, diversamente però da tutti i figli di re era dotato di virtù pregiate e di una rara bellezza. In verità solo per questo motivo ogni fanciulla di sangue reale avrebbe dato il suo regno per sposarlo.
Come si sa la bellezza corre gran pericolo infatti in quel regno si fece e si disse molto, e maghe e streghe ebbero molto da fare per studiare l’arte di sedurre.
Tra le principesse ce n’era una con un porro sul collo che si rodeva l’anima perché il principe riservava le sue attenzioni alle ragazzi più belle di lei. Anch’essa ricorse alle arti magiche, infatti si rivolse alla fata che l’aveva tenuta a battesimo.
- Quello che mi chiedi non è facile da ottenere - disse la fata pensando al tutte le colleghe impegnate a risolvere il medesimo problema. - Posso darti, però, una pozione per far allontanare dal principe una sola persona - , aggiunse spiegandole cosa doveva fare.
La fanciulla ringraziò ed aspettò l’occasione propizia.
Dopo poco alla reggia fu data una festa alla quale furono invitate tutte le fanciulle di sangue reale in età da marito, perché il principe doveva scegliere la sua sposa. Ognuna vi andò dopo aver consultato la maga di fiducia. La principessa col porro sul collo portò il suo filtro.
Al culmine della festa il principe scelse come sposa una fanciulla dalla pelle bianca come la luna e vellutata come il cielo di notte. Livida di rabbia la principessa gelosa volle brindare con la sposa. Nel calice mise il filtro fatato.
La notte la promessa sposa fu presa da forti dolosi, così forti che per disperazione fuggì lontano, ma tanto lontano che nessuno avrebbe potuto trovarla.
Il principe fece rovistare da capo a fondo tutti regni della terra. La principessa era come svanita nel nulla. Allora non volle più a corte giovani donne e partì.
Viaggiò e viaggiò, conobbe il mondo in lungo e largo e divenne così esperto che, quando il padre, ormai vecchio, gli cedette il regno, fu il sovrano più stimato e saggio della terra. Non c’era re che si rivolgesse a lui senza ricevere consigli che si rivelavano sempre accorti e precisi, né c’era problema che non riuscisse a risolvere.
Il vecchio padre era però addolorato di morire senza aver visto accanto al figlio una sposa, costui non ne voleva sapere: - O lei o nessuna - diceva quando si affrontava la questione.
I padri si sa sono legati alle loro convinzioni e il vecchio re si rivolse ad un mago esperto nel preparare filtri rari. 
- Devi togliere dal cuore di mio figlio l’immagine della principessa che è fuggita - disse al mago che cominciò a lisciarsi la lunga barba bianca segno ch’era immerso in profondi pensieri.
- Devo tenere da qualche parte una polvere che fa al tuo caso - disse alla fine e andò a cercare in un vecchio stipo.
- Attento - aggiunse tornando con qualcosa in mano - il principe non deve vedere viso di donna finché la pozione non avrà fatto effetto - .
Il re ritornò a palazzo sicuro di poter morire contento. Quella sera fece circondare il castello di guardie armate fino ai denti con l’ordine di non far passare nessuno e andò a cena con la polverina da mettere nel vino del figlio, poi si ritirò nei suoi appartamenti pensando che il giorno dopo il principe sarebbe bello e guarito.
Quella sera però il giovane non riuscì a prendere sonno e volle fare due passi nel parco perché il vino gli faceva girare un po' la testa. Bisogna sapere che la principessa col porro sul collo era venuta a conoscenza della cosa dalla fata madrina che abitava proprio vicino alla casa del mago con la lunga barba bianca e quella notte, travestita da governante, si era introdotta nel parco reale. Quando vide il giovane che passeggiava gli si parò davanti, poi andò a casa in attesa che il principe la chiedesse in moglie.
Ma anche le fate possono sbagliare. Il fatto sta che l’effetto del filtro fu disturbato e la principessa col porro sul collo fu di notte sposa del principe di notte, mentre di giorno costui continuava a pensare alla principessa dalla pelle di luna.
Il vecchio re disperato ritornò dal mago, ma questi vecchio com’era, non ricordava più con quali ingredienti fosse fatta la polverina. Al re non restò che morire di crepacuore. Sul letto di morte però si fece promettere dalla regina che avrebbe tentato di cambiare la sorte del figlio.
 
 
Il destino è come un manto
ch’uno indossa nelle fasce
puoi cambiare solo un tanto
l’uomo muore come nasce.
 
 
La donna per mantenere la promessa andò a chiamare tutte le fate sue amiche e raccontò loro la storia del figlio. Queste convocarono le loro amiche, poi vennero le amiche delle amiche tanto che la reggia non ebbe più stanze per accoglierle.
Le streghe, perché anche queste furono invitate, preferirono prendere stanza nella parte più folta del parco, così avrebbero potuto studiare meglio il problema.
Ma per quanto si provasse e riprovasse nessuna pozione faceva l'effetto voluto. Il principe di giorno pensava alla principessa pelle di luna e di notte era sposo alla principessa col porro sul collo.
Allora le maghe vollero le essenze delle piante che crescono in fondo al mare e ai laghi e per questo motivo furono invitate anche le ninfe. Furono ammucchiate provette, flaconi, pacchetti, involti, cassettine e cartocci tutti ben sigillati. Ci fu tanto lavoro che la regina si vide costretta da assumere una persona per registrare polvere ed unguenti, i loro effetti e contro effetti.
Ben prestò però lo scrivano si stancò perché con le diavolerie c’era proprio da impazzire e se ne andò preferendo un più comodo impiego negli archivi di stato. La regina fu costretta a cercare un altro scrivano, ma in quel periodo c’era penuria di gente che avesse dimestichezza con penna e calamaio.
Cerca di qua, cerca di là, la donna si ricordò di una lontana parente caduta in miseria che per vivere utilizzava l’arte di far conto appresa nei tempi di fortuna, ma la ragazza potette venire solo dopo tre mesi. Trovò così un enorme lavoro e si mise subito all’opera.
Scrisse e scrisse, elencò ingredienti e miscugli, pozioni semplici e intrugli complessi, segnò effetti e contro effetti, ma ogni volta era come se il principe bevesse acqua fresca: di giorno pensava ad una donna, di notte era sposo con un’altra.
Intanto le fate moge moge un poco alla volta, chi con una scusa chi con un’altra, se ne andarono non preoccupandosi neanche di ritirare i loro filtri. Solo qualche fata senza lavoro rimase per far compagna alla ragazza che doveva ancora sistemare il contenuto di ben quattro grossi armadi e controllare gli effetti sul principe.
La poverina non si spazientiva: - Ci sarà pure un modo per far guarire il principe - pensava convinta che non bisogna mai arrendersi.
Era arrivata all’ultimo ripiano dell’ultimo armadio quando in un flaconcino trovò una polvere azzurra, ma tanto azzurra che sembrava un pezzo di mare ristretto e quel giorno i cuochi ebbero da lavorare di fantasia per creare il pasticcio ai fiordalisi.
Le fate rimaste alla reggia più per abitudine che per convinzione stettero ad osservare: non ci fu alcuna reazione del principe. Perduta ogni speranza se ne andarono anche loro, convinte che era necessario dare una spolveratina alle loro arti.
Avevano appena chiuso la porta che un impercettibile soffio passò nella stanza del giovane re. Il giorno dopo ci fu una bevanda all’acqua marina, la sera ancora un segno, poi una crema allo zaffiro, così altri giorni e altre sere fino a guarigione completa.
La regina allora volle organizzare un gran ricevimento al quale furono invitate anche le fate, le maghe e le streghe e durante il quale il re avrebbe presentato la sua sposa agli invitati.
Quando si fu nel bel mezzo della festa, apparve il re. Era solo. A tutte le principesse presenti cominciò a battere forte il cuore. La regina guardò intenta suo figlio che attraversava la sala tra due ali di cortigiane, lo vide evitare le più belle e le più ricche principesse, e andare deciso nella stanza delle polveri magiche dove la scrivana stava sistemando le ultime cose, lo vide uscire con al braccio la ragazza che in silenzio aveva lavorato per lui e alla cui costanza egli doveva la sua libertà e il suo amore.
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