Fiaba
IL PESCATORE SILENZIOSO
C’era una volta un paese in riva al mare i cui abitanti avevano imparato a pescare dai padri, e questi dai padri e poi dai padri dei padri fino a che se ne perdeva il ricordo. La prima cosa che si apprendeva venendo al mondo senza bisogno di scuole o di maestri era quest’arte. Come si sa in ogni comunità c’è sempre chi non fa ciò che fanno tutti ed anche in quel paese c’era un pescatore diverso. Passava le sue giornate sulla sua barca in mezzo al mare spostandosi per seguire il branco che aveva adocchiato. Conosceva per questo ogni rotta, né c’era fondale o tratto di costa che non fosse a lui ben noto. Quando adocchiava una preda ne studiava attentamente il mezzo per la cattura: per ognuna ce n’era uno. Una volta abboccato, mentre la poverina si dimenava per liberarsi egli, invece di fare ciò che fanno tutti, si metteva ad osservare attentamente rincorrendo chissà quali pensieri. Ed erano questi pensieri che gli dicevano se la prigioniera doveva essere lasciata libera oppure sistemata nell’acqua di uno dei catini in fondo alla barca. Portata da chi riusciva a salvarsi, correva la voce nei regni marini e con essa il timore del pescatore silenzioso. Se ne parlava nelle lunghe sere d’inverno o tra le donne sedute sull’uscio di casa. Tanto si disse che tutti furono in grado di riconoscere la sagoma della barca e il luccichio degli ami. Ma non tutti furono previdenti perché c’è sempre chi ama l’avventura e il pericolo. C’era infatti chi giungeva a fior d’acqua evitando la presa con svelte codate e c’erano quelli che si lasciavano prendere dopo aver studiato il modo per riottenere la libertà. La voce arrivò anche nel regno di Sora, un villaggio in un anfratto d’una scogliera dove il pescatore da un po’ aveva preso stanza. Molti corsero a vedere. - È proprio lui - dissero aggiungendo ognuno un particolare. Furono tanti i malcapitati presi in quel posto che nessuno uscì più di casa. Fu anche istituito un servizio di guardia che dava l’allarme quando il pericolo era appena all’orizzonte. Nonostante quelle precauzioni e le raccomandazioni della madre, Tana affiorò un giorno dall’acqua e quando giunse vicino alla rete non ce la fece e con un balzo fu dentro. Giocò a fior d’acqua nel pezzo di mare delimitato dall’anello di ferro mostrando all’uomo una grazia tutta nuova. La pelle ai raggi del sole mandò mille colori e a sera furono guizzi d’argento sulle squame appena bagnate. Quel nuovo gioco ruppe la monotonia di prede sempre uguali. Più l’uomo dava l’occasione più Tana rispondeva con maestose movenze mentre lui badava a tenere la rete appena a fior d’acqua tale da permetterle movimenti più naturali. Poi fu anch’ella nella barca in un catino tutto per lei dal quale però potette vedere altri catini con altre prede e persino una matrona che lenta muoveva negli spessi modi le sue pesanti forme, allora con un guizzo come era venuta fuggì via. Giunta che fu nel suo regno raccontò e raccontò, la voce corse di strada in strada, gli anziani tennero parlamento. Furono presentati proposte e progetti, mozioni e interrogazioni, furono fatti emendamenti e correzioni finché tutti furono d’accordo su ciò che bisognava fare. Allora si andò a consultare il rettore di tutti i regni del mare. Raggiunta la grande decisione si cercò chi doveva recare l’ambasceria finché si ricorse alla sorte che, come sempre avviene in questi casi, cadde su chi nessuno avrebbe scommesso neanche un carlino. Ci fu una gran folla alla stazione, ognuno dette la santa benedizione, poi ci fu un parlare e un aspettare, un aspettare e un parlare. Mentre nei regni del mare si parlava e si aspettava, Ira, così si chiamava la prescelta dalla sorte, prima di giungere dal pescatore silenzioso incontrò un luccio che conosceva meglio dei suoi colleghi la vita degli uomini e che le disse cosa doveva fare, aggiungendo alla fine : - Devi prendere l’aspetto di pescatrice se vuoi che la missione ottenga un risultato - . Ira fece come aveva detto il luccio e si presentò al pescatore strano. Ci volle molto per far capire i propri pensieri perché l’una era abituata a non parlare e l’altro a non ascoltare. Si era nel bel mezzo delle trattative quando si scatenò un terribile fortunale che scaraventò la barca contro gli scogli, le onde alte impedivano all’uomo di mantenersi a galla. Ira invece era a suo agio tra i marosi. Avrebbe potuto lasciarlo al suo destino e arrivare nei regni marini con la preda resa innocua, lei, quella su cui nessuno avrebbe scommesso un carlino. Ci volle però pensare e nel frattempo lo portò quasi di peso sulla riva. La successiva decisione non giunse così rapida come pensava, né si aspettava che l’ambasceria sarebbe stata così contrastata. - Quando sarò laggiù racconterò questo e quello - diceva tra sé Ira, seguendo il pescatore che le spiegava il mondo che sta al di sopra del mare. Il sole più splendido e caldo, l’aria piena di profumi, le acque a rivoli zampillanti non c’erano nel mondo del mare. - Dirò del sapore del ruscello, del caldo secco, dei fiori corteggiati dalle farfalle e dirò del cielo profondo, delle notti argentate, dell’erba e del bosco, dirò del mare, sì il mio mare che è diverso. Oh, come è diverso - . Ira non s’accorgeva che il mondo che stava al di là del mare la prendeva un po’ alla volta e con esso anche il pescatore. - Come farò con i miei laggiù? - . Ma Ira non era come gli altri, non era mai stata presa dalla curiosità di sperimentare cose fuori del suo paese a cui era molto legata, soprattutto non aveva esperienza del mondo degli uomini. Mentre l’uomo parlava nella mente della fanciulla si formavano immagini che si sovrapponevano creando una gran confusione. Quella notte pensò e ripensò in riva al mare. Riandò a tutte le raccomandazioni degli anziani, infine vide una luce nel buio che le indicava la via. Il giorno seguente quando il pescatore cominciò a parlare le parole si trasformarono in sequenze chiare e distinte fino a che un intero film passò dinanzi ai suoi occhi e capì tutto. Quando giunse il giorno per il ritorno Ira si trovò sulla scogliera dove brillavano tanti piccoli diamanti alla luce della luna piena e una striscia d’argento univa la riva all’astro nel cielo. Seduta su uno scoglio prese a cantare. Il canto univa la dolcezza del cielo e quella della terra e giunse nei regni del mare. Vennero a riva i suoi abitanti, vecchi e giovani che però non capivano le parole e pensarono che fosse un canto di vittoria e ritornarono in fondo al mare per festeggiare. Solo il luccio poté parlare con Ira e dire quello che doveva fare. E fu così che il canto si stampò sulla roccia e il mare non volle cancellarlo. E fu così che ogni volta che a sera il pescatore silenzioso guardava il mare il canto cominciava a vagare portato dalle onde per ricordargli il sacrificio di Ira. . Ira torna in fondo al mare dove sta la sua dimora se vuoi il male cancellare che affligge il pescatore la tua dolce melodia sarà unguento e terapia.
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