I canti della vetta 

 

 

Il giaciglio e lo scrigno azzurro che non pesa

 

Ripercorrendo i passi del tempo

*

 

Infanzia.

 
Più hai danzato fanciulla sbiadita
care tra le braccia recando
lontane sembianze
sui cori verdi fioriti 
della casa mia grande.
 
Non ti cingerà più 
coi suoi veli la bruma
perché il sole è maturo
e la campagna
serena.
 
Accolgono odorose offerte
i roseti dell’isola
che già conosce le tue primavere.
 
Vieni sorridente e pia
come viator che al lido torna
e resta
 
il giaciglio
e lo scrigno azzurro
che non pesa
vedrai.
 
 
 
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I
 
Se cupa fu l’ora del passo
incerto
sul muro del campo,
se le mani erano piene
di grani
inadeguati
alle porche vuote,
vana fu la ricerca del corvo
come sull’acqua il suo volo
prima che la terra emergesse.
 
Solo una stilla
d’universo
nel cuore.
 
 
 
 
II
 
 
E tu andasti
con la medesima ciurma
e le sartie
sul quadrante il segno dell’est
conoscendo.
 
Ogni tramonto 
un’alba
sul mare di perla 
tracciò
togliendo il nero col rosso.
 
C’erano le colonne del tempio 
nel rivolo fluido 
delle vene.
 
 
 
III
 
 
Ed ora al mattino deponi una rosa
sul tuo giaciglio 
e preghi
inseguendo poche strisce di luce,
sulla strada ci sono le cose
di sempre
e di tutti
già avvolte nel velo,
aspettano il cero e l’ampolla,
e le tue mani pulite
 
perché così è scritto 
nell’epitaffio.
 
 
 
 
IV
 
 
Riccioli d’uragano hai chiuso
nel vaso della giovane donna
che sa
dopo il rogo delle streghe.
 
Incenso e mirra 
sul tabernacolo azzurro 
del cuore.
 
Nel rito d’ogni giorno
porgerai 
tra le candide bende
la teca…
 
ma più prezioso 
è il pegno 
che l’accompagna.
.
.
 

Preghiera

.
Ecco il mio grano sulla sabbia
antica, Signore,
 
l’orecchio grande ascolta
la brezza di terra
e quella di mare
 
tutt’intorno un filo si fa 
la distesa col cielo
 
ed io un punto
 
un punto soltanto
che sul raggio trascorre
tutt’intero il cerchio 
e la sfera.
 
Spiegami questi spazi,
Signore, 
e dimmi
perché è fresco il giaciglio 
e lo scrigno azzurro non pesa.
.
 
 

*

 

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