I
canti della vetta
Il giaciglio e lo scrigno azzurro che
non pesa |
Ripercorrendo i passi del tempo
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Infanzia.
Più hai danzato fanciulla sbiadita care tra le braccia recando lontane sembianze sui cori verdi fioriti della casa mia grande.
Non ti cingerà più coi suoi veli la bruma perché il sole è maturo e la campagna serena.
Accolgono odorose offerte i roseti dell’isola che già conosce le tue primavere.
Vieni sorridente e pia come viator che al lido torna e resta
il giaciglio e lo scrigno azzurro che non pesa vedrai.
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I
Se cupa fu l’ora del passo incerto sul muro del campo, se le mani erano piene di grani inadeguati alle porche vuote, vana fu la ricerca del corvo come sull’acqua il suo volo prima che la terra emergesse.
Solo una stilla d’universo nel cuore.
II
E tu andasti con la medesima ciurma e le sartie sul quadrante il segno dell’est conoscendo.
Ogni tramonto un’alba sul mare di perla tracciò togliendo il nero col rosso.
C’erano le colonne del tempio nel rivolo fluido delle vene.
III
Ed ora al mattino deponi una rosa sul tuo giaciglio e preghi inseguendo poche strisce di luce, sulla strada ci sono le cose di sempre e di tutti già avvolte nel velo, aspettano il cero e l’ampolla, e le tue mani pulite
perché così è scritto nell’epitaffio.
IV
Riccioli d’uragano hai chiuso nel vaso della giovane donna che sa dopo il rogo delle streghe.
Incenso e mirra sul tabernacolo azzurro del cuore.
Nel rito d’ogni giorno porgerai tra le candide bende la teca…
ma più prezioso è il pegno che l’accompagna. . .
Preghiera . Ecco il mio grano sulla sabbia antica, Signore,
l’orecchio grande ascolta la brezza di terra e quella di mare
tutt’intorno un filo si fa la distesa col cielo
ed io un punto
un punto soltanto che sul raggio trascorre tutt’intero il cerchio e la sfera.
Spiegami questi spazi, Signore, e dimmi perché è fresco il giaciglio e lo scrigno azzurro non pesa. .
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