Pagine sparse
A colloquio con lo scultore
Tommaso Gismondi
Ognuno avrà potuto ammirare la grande
tela, esposta tra i locali della Pro Loco, tra le opere partecipanti al secondo
concorso internazionale di pittura "F.
Guarini". Era una "Pietà" di Tommaso Gismondi,
il grande scultore di Anagni,
famoso tra l'altro per aver coniato le monete della Città del Vaticano
(ultimamente anche quelle della sede vacante). Artista di
fama internazionale se ha scolpito le porte della cattedrale parigina di Montemartre.
Gismondi, che ha onorato Solofra
con la sua presenza fuori concorso, è stato insignito
di una medaglia d'oro offerta dal Comune.
Siamo, dunque, andati ad Anagni, la
storica cittadina dei papi a pochi chilometri da Roma, dove ha sede e lavora
l'artista per consegnargli la sua preziosa tela. Siamo arrivati nella cittadina
laziale, posta su di un costone dominante la valle del Sacco, di primo mattino
ed abbiamo percorso le strade strette delle storico centro
che ha dato alla Chiesa ben quattro papi. Ci siamo addentrati tra viuzze,
vico1i, scalinate, piazzette, alti palazzi, torri e torrette, fino alla sommità
ove svetta solitario il campanile della duecentesca cattedrale accanto alla quale è la casa con la fucina dell'artista.
Gismondi non c'era: aveva voluto
accompagnare a Roma le sue opere migliori, che dovevano far parte, al Vaticano,
di una mostra d'arte sacra. Cogliamo l'occasione per visitare la sua bottega
che è anche una mostra permanente delle sue opere. I locali sono quelli di un
antico palazzo da lui stesso fatto restaurare nella ormai lunga lotta che
conduce per salvare dal decadimento quelle costruzioni che furono i testimoni di antico splendore.
Si può dire che sia riuscito
nell'intento. Nella piazza, infatti, aleggia lo spirito
medioevale, così solitaria e silenziosa tra i grigi muri degli austeri
palazzi ma che si apre su di un incomparabile panorama che spazia fino ai monti
lontani.
I locali che visitiamo sono pieni zeppi di sculture d'ogni tipo.
Dappertutto monete, piastre, teste, busti, statuette, prevalgono gli argomenti
religiosi, ma ci sono anche nudi, corpi armoniosamente mossi nelle evoluzioni
della danza e poi cavalli. I famosi cavalli di Gismondi.
In mezzo a tanta produzione gli articoli di giornali, le
fotografie che parlano della ormai sua lunga carriera e poi in un angolo,
vicino ad una finestra di legno scurito, la sedia con gli attrezzi dell'artista
e vari lavori in via di ultimazione.
Abbiamo il tempo di visitare un altro palazzo antico, la casa Barengow, dallo stesso artista restaurato dopo che era stato adibito a stalla. Ora accoglie una nostra
permanente delle sue opere che sono lì come in un museo.
Ma tutto di Anagni
ci parla di Gismondi, le fontane di pietra scolpite,
i cancelli, i rosoni, le piastre di bronzo qua e là sui palazzi, i busti, i
mosaici e poi i quadri i suoi tanti quadri. Ne troviamo persino nell'antico
ristorante del "Gallo" che vanta una lunga tradizione ove andiamo a
gustare il timballo alla Bonifacio.
Finalmente verso le tre arriva un arzillo vecchietto dai bianchi
e folti capelli che fanno da aureola ad un viso abbronzato e liscio su cui
spiccano degli acuti occhi azzurri. A passo svelto, preceduto da un gruppi di giovani entra nella sua bottega: ha in mano
delle cartelle da disegno.
Aspettiamo che congeda i numerosi ammiratori che, come noi,
erano in attesa ed entriamo. Egli ci accoglie con un largo sorriso, è molto cordiale ed alla
buona. Non ci sentiamo affatto in difficoltà in sua
presenza. Nonostante gli anni, sprizza energia da ogni
poro, è allegro e scherza, scherza con noi. "La medaglia è troppo piccola, deve prendere la lente d'ingrandimento. Ma è vero oro?" Tutto è scherzo. Egli invece è contento
del riconoscimento, legge con attenzione ed esamina tutto quello che gli diamo, ma soprattutto è contento della nostra visita e
subito ci dice di scegliere dei suoi disegni su cui vuole fare una dedica ad
ognuno di noi.
Gli parliamo della sua opera, del prestigioso
incarico delle porte di Montemartre. "Avete
visto? I francesi si ricordano di me", dice scherzando e ci mostra una
grossa fotografia che lo riproduce accanto al papa ed alle porte francesi, che
il papa giorni prima aveva benedetto. Ci dice che
finalmente era riuscito ad avere la fotografia. Sembra un bimbo felice per un
giocattolo a lungo desiderato.
Lo osservo bene: è vestito in blu, niente di speciale, scarpe di
camoscio blu con la para, mani piccole, ma sottili, e,
quello che colpisce, i tanti, tanti capelli bianchi. Nel porre la dedica si fa
aiutare da noi che gli prendiamo i pennarelli.
Poi: "Sapete non ho ancora mangiato, non mi riesce di lavorare meno di venti ore al giorno. Come fare? Non so
proprio come fare!". Vuole che gli lasci un lungo servizio su Anagni in cui si parla della sua opera in difesa della
cittadina che gli avevo mostrato. "Mi fa piacere
averlo, le sono grata se me lo lascia". Ho di nuovo l'impressione di
qualcosa di infantile in quella espressione.
"Ora devo andare a mangiare", dice benevolmente, ma
non disdegna di farsi fotografare più volte dinanzi alla sua bottega, vicino al
suo grande bronzo, seduto sui gradini dell'ingresso.
Poi sale in casa senza averci prima salutato più volte.
Restiamo meravigliati della grande umanità
di quest'uomo che frequenta il Vaticano come casa sua
ed è riconosciuto come il più grande scultore europeo.
1980