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All’insegna di Teilhard de Chardin

 

 

L’anima e il suo destino di Vito Mancuso

 

La salvezza non può essere una smentita della creazione, ma solo una conferma.

 

 

 

 

Un’opera intelligente, onesta, affascinante, coraggiosa, ben condotta, rispettosa, che si legge tutta d’un fiato, ma che poi chiede tempo e meditazione, soprattutto soddisfa chi ha bisogno di poggiare le proprie riflessioni sulla ragione.

 

 

Vito Mancuso ha come principale obbiettivo “sostenere l’esistenza di un futuro di vita personale oltre la morte”, problema che tocca cruciali questioni e che gli permette di mettere in atto un tentativo, sicuramente non semplice, di “contribuire al necessario rinnovamento della dottrina ufficiale della Chiesa” che “non riesce più a parlare in modo convincente a causa della superata immagine del mondo che contiene”, perchè è rimasta immobile nei suoi dogmi nati quando non si potevano spiegare in altro modo le verità del Cristianesimo.

Si definisce teologo laico in quanto indaga il rapporto dell’uomo con la verità non seguendo il principio di autorità ma la luce della coscienza, si rivolge infatti alla coscienza laica cioè a “quella parte della coscienza, presente in ogni uomo, credente o non credente, che cerca la verità per se stessa” (1) e che vuole aderirvi senza alcuna “forzatura ideologica” e senza nulla derogare alla ragione.

 

 

Una teologia universale

 

Mancuso si considera fondatore di una nuova impostazione della teologia, che chiama universale perchè è “un discorso su Dio e la nostra reale relazione con lui, quindi vera e propria teologia, ma tale da essere condotta a partire dai dati della ragione” (48). Ne viene che i “dati sull’esperienza del divino, rinvenuti mediante tale accezione di ragione, risultano validi per ognuno, sono universali” 49. Una teologia dunque che abbracca tutti e che invita ad un percorso condiviso.

 

Per “ragione” egli intende “intelletto e coscienza morale”, nel senso che “è vero anche ciò che non si può direttamente verificare ma che per la sua intrinseca nobiltà, per la sua intrinseca bellezza morale, per la sua intrinseca capacità di produrre il bene, muove e riempie le nostre vite”; e per “verità” intende “esattezza e sapienza” “come dimensione globale della mente che non solo conosce e vuole conoscere sempre più i dati esatti della scienza ma sa anche come utilizzarli”, e alla quale “si giunge con un lavoro non solo intellettuale ma anche morale”, e “che per essere abbracciata richiede una dedizione totale, dell’intelligenza e della volontà, della mente e del cuore, di tutta la vita”.

 

 

 

Unità di teologia e scienza

 

Il suo argomentare, “che si basa sulla filosofia e sulla scienza oltre che sulle fonti tradizionali della teologia”, ingenera perplessità “sia in ambito teologico sia in ambito scientifico”, e Mancuso ne è cosciente, ma è convinto anche che “non esiste un mondo peculiare della religione, nel quale valgono leggi e possono avvenire cose del tutto differenti rispetto al mondo reale”. Nessuna opposizione e incompatibilità può esserci, dunque, tra le affermazioni specifiche della teologia e quelle della scienza. Anzi afferma il teologo che, se si è convinti che la religione cristiana ha “qualcosa di importante da dire quanto all’origine e alla direzione del mondo, e degli uomini che lo abitano”  - le verità profonde del Cristianesimo -  queste devono essere argomentate “al cospetto del sapere che il mondo ha di se stesso, cioè della scienza e della filosofia”. È questo cammino che fa scoprire la ragionevolezza della religione cristiana le cui verità in più si mostrano in grado di integrare gli insegnamenti scientifici e di reggere alla critica della filosofia. Un tentativo, dunque, di colmare il divario tra scienza e filosofia da una parte e teologia dall’altra, di stabilire un rapporto tra la fede e la ricerca della ragione umana, a partire dall’inclusione del divino nell’universalità della ragione, per restituire a quest’ultima tutta l’ampiezza della realtà; una “rifondazione della naturale alleanza tra fede e ragione” (2-3).

 

Dico che le affermazioni specifiche della teologia non devono essere incompatibili con la scienza, perchè il mondo è uno solo e com’è fatto lo sappiamo grazie alla scienza. Ne viene che lo studio dei problemi della scienza, e il conseguente dialogo critico con la filosofia, si impongono a chiunque voglia fare teologia prendendo responsabilmente sul serio la pretesa di verità che il Cristianesimo porta con sé (3).

 

L’argomento da cui il teologo parte è la “domanda sulla vita dopo la morte”, essenziale domanda con cui da sempre si sono misurati gli uomini e che ha prodotto la religione e la filosofia, ma anche domanda cruciale perchè dalla risposta dipende il fallimento o meno di entrambe.

Sicuramente il pensiero occidentale non ha alcuna risposta, certa ed oggettiva, sul mistero della morte, cammina “a tastoni”, ma ciò non impedisce di tentare una risposta poggiandosi sulla “luminosità del sapere” e sulla “sicurezza e fiducia nella vita”.

La strada individuata da Mancuso è una teologia poggiata su un “fondamento metafisico” e una filosofia che illumina la vita spirituale nel solco della tradizione metafisica del Cristianesimo (8).  

 

 

Il suo sistema di pensiero

 

 

La natura-physis, culla dell’essere

 

Il primo passo su questa strada è partire dalla “concretezza della vita naturale”, parlare della “realtà più concreta che c’è”, del principio della vita, cioè dell’anima, intesa come fenomeno naturale. Dove per natura si deve intendere “il fondo primordiale dell’essere, ciò che fa nascere ed apparire le cose, sia quelle inanimate che quelle animate”, il luogo di nascita dell’essere, che Mancuso chiama “natura-physis”, per distinguerla dalla comune accezione “che pensa la natura come qualcosa al di fuori di noi”.

 

L’intuizione intellettuale alla base di questo libro consiste nel ritenere che solo investigando questa realtà inesausta della nascita e del principio dell’essere, la natura-physis, che si può comprendere legittimamente qualcosa della fine del nostro esserci (11).

 

La fisica odierna ci dice che la realtà fondamentale di cui sono fatte le cose è l’energia, secondo la famosa equazione di Einstein per la quale ciò che vediamo fermo in realtà si muove con un movimento vorticoso. Questo concetto disegna bene l’idea di natura intesa come eterna nascita, qualcosa che si fa e deve farsi continuamente (natura è abbreviazione del participio futuro nascitura), e introduce l’altro concetto della fisica quello di lavoro, che è il significato greco di energia (“Le conoscenze dei nostri padri, quei Greci e Latini sulle cui spalle ancora procediamo e nei quali sono piantate le nostre radici più profonde […] si sono depositate nelle parole con cui essi designavano il mondo, e oggi trovano sorprendente conferma nella fisica contemporanea”, 12)

 

Attraverso il lavoro l’energia di ogni corpo esistente “assume una massa materiale precisa”, particolare ed unica, “con cui si presenta al mondo”. Questa trasformazione è “il lavoro della natura-physis, un lungo cammino generativo, che dura dal big bang, attraverso cui l’energia prima ha prodotto la materia (dal nome latino mater), che non è sostanza morta e informe, ma materia mater, poi natura naturans, cioè vita.

Una vita dunque “sorta dal basso, dalla potenzialità orientata alla vita da sempre inscritta nella polvere dell’universo” ed ordinata verso una complessità sempre maggiore, secondo un processo ordinato verso l’alto che la scienza moderna chiama evoluzione.

 

Non c’è alcun disegno intelligente che cala dall’alto. C’è però un disegno, divenuto sempre più intelligente fino a produrre la stessa realtà dell’intelligenza, che si è faticosamente formato dal basso (14).

  

Nella evoluzione, che  - chiarisce Mancuso -  è “un dato di fatto indiscutibile e fondamentale” non una teoria, agisce una legge cosmica valida in tutto l’universo e in cui c’è una spinta, che l’astrofisica individua come infinita espansione e che si configura come legge fondamentale. Essa agisce anche sul nostro pianeta che fa parte dell’universo ed è stato il motore della nostra evoluzione di cui ha parlato Darwin. Però le mutazioni che si danno per caso e la selezione naturale con il concetto di “lotta”, sono modalità che sottolineano solo l’aspetto negativo, sono poco feconde e non spiegano tutto.

 

 

La logica che muove la vita è la relazione ordinata

 

Con evoluzione invece deve intendersi “una crescita, un di più di ordine, un aumento progressivo della complessità” (15). Insomma se la mutazione non è funzionale all’accrescimento, non viene mantenuta in vita, se invece contribuisce “a un incremento dell’ordine dell’organismo, in se stesso e in relazione all’ambiente, è destinata a essere riprodotta” e diventa “una forma di vita più evoluta”. In questo senso si considera la positività di questa forza, la sua capacità di costruire relazioni e sistemi organizzati.

Il concetto di relazione, idea ricca di sviluppi fecondi, appare come la legge fondamentale della natura-physis, quella che è stata premiata dalla evoluzione. Un’idea che si trova nel significato di logos e in quello di web, persino nella recente scoperta neurologica del “sistema a specchio”, che spiega l’essere come energia della fisica moderna e soprattutto permette di individuare una finalità “inscritta nell’essere naturale, coincidente con lo stesso presentarsi dell’essere-energia, già da sempre in essa presente” (18).

 

Siamo sullo stesso piano di Teilhard de Chardin che individua nella evoluzione un disegno sempre più ordinato e intelligente, che proviene dal basso e porta l’energia, di cui è fatta la realtà fondamentale, ad organizzarsi in modo sempre più complesso ed elevato secondo una spinta verso l’alto.

 

 

L’anima a partire dal basso

 

Se l’essere-energia, che si presenta in modo concreto come materia, è unico, ha però una molteplicità di stadi, tra cui anche la materia del nostro corpo (“energia che continuamente si condensa”) dove però l’energia “non si racchiude completamente nella configurazione materiale del corpo” ma presenta “un surplus, una eccedenza” che rende il corpo vivente, animato.

Siamo al primo livello dell’essere, quando si realizza il di più di energia, che è il segreto della vita e che Mancuso chiama anima. Essa è prodotta dal movimento all’interno dell’essere che subisce uno scarto, giunge ad un di più (57).

Tutto ciò che è vita ha un’anima: le piante, anima vegetativa, gli animali, anima sensitiva. Con essa, gradatamente che si sale nella scala evolutiva, aumenta “il grado di indipendenza dalla materia”.

 

Siamo di fronte alla medesima sostanza di cui è fatto tutto l’universo  - l’essere-energia -  organizzata però in modo diverso e sulla stessa linea della biologia che dice che la nostra comparsa è avvenuta tramite un processo evolutivo durante il quale la vita umana è stata resa possibile solo grazie alla vita animale” quindi in seguito allo sviluppo degli stadi precedenti (59).

 

L’evoluzione biologica risulta essere un grandioso fenomeno naturale da tutti direttamente constatabile attraverso il solo e semplice esame della documentazione fossilifera, e perciò equivalente a un dato di fatto indiscutibile e fondamentale (Roberto Fondi citato da Mancuso, p. 60). 

 

Nell’uomo c’è però “qualcosa di superiore rispetto ai primi livelli dell’essere. Noi infatti riusciamo a capire il mondo in cui siamo capitati nascendo”, e “comprendendolo lo trasformiamo”, noi “rappresentiamo il livello superiore della struttura, il livello superiore dell’essere che diviene consapevole di essere ordinato e dotato di forma”. Mancuso chiama mente questo livello di consapevolezza “in cui sono racchiusi altri termini quali intelligenza, intelletto, coscienza, autocoscienza, ragione”, il “prodotto più raffinato del lavoro della evoluzione che attraverso di noi giunge al pensiero e alla coscienza di sé”. Da molti secoli questo livello di energia consapevole è definita come “anima razionale” (61-63).

 

Da questo livello si giunge ad un superiore grado di ordine “caratterizzato da una sempre maggiore informazione e libertà”, che si manifesta come creatività, un livello di energia più alto, più informato, più complesso, che è una realtà ancora superiore: lo spirito” (64).

 

Lo spirito è l’emozione dell’intelligenza che si trasferisce in suono e produce la musica immortale dei concerti di Morzat; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza che si trasforma in colore e produce i cieli stellati e i campi maturi di Van Gogh; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza per l’ordine e la simmetria del mondo che si trasferisce in ricerca scientifica e che fece parlare Einstein di “ammirazione estasiata delle leggi della natura”; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza per la nobiltà della legge morale che si trasferisce in filosofia e produce la perfetta giustizia dell’io dell’imperativo categorico kantiano; lo spirito è l’emozione dell’intelligenza per il senso di fratellanza e di unità del genere umano che si trasferisce nella religione e dà la formula universale della regola d’oro. Lo spirito è l’emozione dell’intelligenza di fronte alla bellezza e all’armonia dell’essere, l’emozione di vederla, di esserne parte e di poterla riprodurre mediante il proprio lavoro (64).

 

L’uomo ha la possibilità di dedicarsi totalmente alla dimensione dello spirito, di accedere ad un qualcosa di superiore, “la punta dell’anima”, la retta percezione dell’uomo  - cui Mancuso dà il nome di “cuore” –  di attuare cioè tutte le sue potenzialità, di liberamente e creativamente ordinarsi e disciplinarsi. Suo compito non è solo di accedere alla dimensione dello spirito, ma nell’orientare il suo spirito “verso il bene, verso la luce della giustizia, dell’ordine, della simmetria, la stessa luce, la stessa sapienza, che è all’origine del mondo” (66), nel diventare spirito santo, cioè organizzato perfettamente al Logos.

 

Teilhard de Chardin, scienziato e teologo, lo sapeva alla perfezione e per questo parlava di “santità della materia”, di “potenza spirituale della materia” e vedeva in essa la sorgente armoniosa delle anime”. […] Non vi sono concretamente la Materia e lo Spirito, ma esiste soltanto una Materia che diventa Spirito. Non vi è nel Mondo né Spirito né Materia: la ‘Stoffa dell’Universo’ è lo Spirito-Materia. Nessun’altra sostanza potrebbe produrre la molecola umana”. […] Non lo Spirito per evasione al di fuori della Materia, né lo Spirito giustapposto incomprensibilmente alla Materia, ma lo Spirito emergente (mediante operazione pan-cosmica) dalla Materia. Materia Matrix (87 n. 13 e 88).

 

L’uomo però può anche non essere santo, perchè è libero e quindi può fare il male, il quale è un prodotto dello spirito di questo stadio evolutivo. Il male non esiste negli stadi precedenti o è qualcos’altro. “Il male è la visione del bene e la scelta del suo contrario”. È un fatto spirituale.

Mancuso sottolinea con forza che uno dei più grandi contributi del Cristianesimo al pensiero dell’umanità è quello di aver riconosciuto una frattura che “attraversa la dimensione spirituale” con il mito della caduta degli angeli. Satana è una figura spirituale che insegna che il bene “si può vedere e lo si può rifiutare, anzi lo si può combattere, lo si può odiare”, può fare sì che lo spirito sia “immondo”.

 

 

L’anima spirituale alla luce del contesto contemporaneo.

 

Abbiamo visto che, secondo Mancuso, l’anima, il principio della vita, viene dalla natura-physis, che può produrre, su un livello superiore di essere, lo spirito. Secondo tale visione l’anima spirituale non è creata “direttamente da Dio”, “non è qualcosa che viene dall’alto, un misterioso elemento sovrannaturale”, né è separata dal corpo. L’anima e il corpo sono la medesima cosa, energia: il secondo “energia sotto forma di materia”, la prima “energia allo stato libero”. Come il corpo l’anima fa parte integrante del “dinamismo fisiologico della natura”, quindi viene al mondo attraverso la generazione umana con il diretto concorso dei genitori (p. 92).

Se come il corpo e come ogni altro oggetto del mondo, l’anima viene indirettamente da Dio tramite la mediazione del mondo, come ogni cosa anche l’anima spirituale non è immortale. Lo può però diventare se attua in sé tutte le possibilità, cioè se diventa santa.

È questa la strada, secondo Mancuso, che conduce all’immortalità, perchè tutto fa parte del “sempre rinnovato atto creativo” di Dio.

 

Qualcosa può essere immortale solo in quanto è divino, e l’anima può essere divina: è sufficiente che rientri in se stessa e comprenda la sua origine, di fare parte di questo divino processo creativo, un’ininterrotta effusione di essere, di “polvere vitale”, volta alla costruzione ordinata del mondo. […] L’anima diviene divina nella misura in cui si lascia abitare dall’essenza divina, cioè dal bene, il bene oggettivo come relazione ordinata che è il principio del mondo. L’anima che si espone al bene, che si fa modellare dal bene, e che inizia a sua volta a generare bene, porta a compimento la logica che presiede la generazione e la costruzione del mondo da parte della natura-physis, e diviene sovra-naturale, cioè divina, quindi immortale (91).

 

Nell’uomo interiore avviene l’incontro con l’Idea del bene (la grazia del Cristianesimo), e ciò genera una “mutazione”, la più alta (viene chiamata anche “conversione”), dove l’orientamento è solo verso il bene, si diventa “un sistema centrifugo”, dove l’egoismo che domina nello stadio precedente, viene sostituito dall’amore, il desiderio di potere cede il posto alla tensione verso la verità, l’interesse viene cancellato dal desiderio di giustizia, dove si può giungere alla pienezza dell’essere. Avviene, insomma, dentro di noi un radicale cambiamento di prospettiva (cessare “di voler diventare qualcosa di importante, di affermare se stessi, di essere qualcuno”, farsi poveri “aderendo al nudo essere qui, felice di essere qui, conciliata con l’essere qui, con l’innocenza di essere qui”).

 

Io sostengo che l’umanità concreta può essere portatrice della spiritualità. Sostengo che l’essere che compete all’uomo, compreso il corpo, non è per nulla contrario alla dimensione spirituale, anzi è tale da generarla, se rettamente vissuto (97).

 

La spiritualità, questo alto livello evolutivo, consente “un reale contatto personale tra l’anima e Dio”, permette di giungere alla retta percezione di Dio, di trasformare l’anima spirituale in santa. Ampia dimensione, detta divina, che abbraccia l’essere uomo e la natura delle cose, che l’uomo scopre di avere in se stesso, solo però quando si libera dalle illusioni del mondo. Questo status dell’anima avviene nella libertà, con il lavoro su di sé, con l’aderire al processo divino, attirata da Dio attraverso la grazia, secondo la stessa logica che da miliardi di anni agisce nel mondo.

Qui c’è qualcosa che non si spiega solo in base alla natura, c’è l’azione della grazia che permette l’elevazione della natura a sovra-natura. Qui “si deve pensare a un intervento diretto di Dio come azione dello Spirito Santo, l’unica modalità con la quale Dio agisce direttamente nel mondo” (95). Essa è spiegata dalla incarnazione di Cristo, di Dio in un uomo, che è l’esaltazione della natura o meglio la sua sublimazione.

 

Più sale il grado di ordine dell’energia che si esprime come anima, più sale il livello raggiunto dall’anima. L’ultimo livello è lo spirito. Il vertice dello spirito è il livello della spiritualità volta al bene, è la santità, dove la frattura che attraversa la dimensione dello spirito viene sanata definitivamente dalla forza del bene. L’anima perfettamente ordinata e disciplinata entra nello spirito santo, è Spirito santo. Essendo la santità la dimensione propria di Dio, quest’anima, è divinizzata. È il momento della theiosis. Il divino in questa prospettiva, non è nulla di misterioso o di qualitativamente altro rispetto all’essere. […] L’uomo divinizzato è l’uomo perfettamente realizzato, che vive la pienezza del suo essere uomo. Esattamente come Cristo, il quale è vero Dio, non contro il fatto che sia vero uomo, ma proprio perchè è vero uomo. […] L’incarnazione di Dio in un uomo è esattamente la massima equazione fondamentale: pienezza della vita = divino (102-103).

 

Con l’anima spirituale termina il percorso evolutivo poiché la finalità della evoluzione è proprio l’uomo come essere spirituale in grado di cogliere il Principio Ordinatore che ha operato nel cosmo secondo la logica che porta allo spirito, è in grado di sviluppare tutte le sue potenzialità, è in grado di realizzare in se stesso la stessa logica evolutiva e quindi di accedere alla divinità cioè alla sua pienezza. Si è giunti alla “più alta organizzazione prodotta dal lavoro dell’universo, il suo fiore più bello”.

 

 

La plausibilità dell’immortalità dell’anima

 

 

Un ulteriore livello

 

Mancuso a questo punto si chiede se sia “ipotizzabile un ulteriore livello dell’essere nel quale l’anima continui a vivere”. La risposta positiva viene da un “argomento cosmologico”, considerando che l’anima e il suo ordine spirituale è “la più alta organizzazione prodotta dal lavoro dell’universo”.

 

È solo sapendo da dove vengo, che posso intuire qualcosa di dove vado” (110).

 

Considerando le quattro discontinuità cosmiche (Il passaggio dal minuscolo puntino all’origine del Big Bang alla vastità dell’essere; il passaggio dalla materia inerte alla vita; il passaggio dalla vita naturale all’intelligenza; il passaggio dall’intelligenza autoreferenziale alla morale e alla spiritualità) che definiscono il cammino compiuto dall’essere-energia dell’universo sempre verso un aumento dell’ordine, dell’informazione, della complessità, (111) e che hanno portato alla “struttura stupefacente del mondo che la scienza contemporanea ci aiuta sempre meglio a conoscere, non si può non “alzare in alto lo sguardo” (114).

 

Se si considera che c’è una finalità intrinseca nella natura orientata a un ordine e ad un’informazione sempre maggiori, secondo una logica iscritta nelle leggi fondamentali dell’universo di tipo impersonale, al termine della quale c’è la vita morale e spirituale, è plausibile pensare che alla fine del cammino cosmico questo livello possa produrre uno stadio superiore dell’essere a noi ignoto che dopo la morte del corpo continui, a prescindere dal sostrato fisico che l’ha prodotto (119-123).

 

Anche se non c’è alcuna prova fisica dell’esistenza di questo stadio superiore, esiste un comune sentire di tutte le civiltà umane che ci dicono che “la morte non è la fine di ogni cosa”. Allo stesso modo “prima del suo sorgere”, non c’era alcuna prova che “la vita sarebbe scaturita dalla materia inorganica” (123). Inoltre pure se resta l’enigma dell’origine della vita e dell’intelligenza, ciò non toglie che “qualcosa di estremamente improbabile come la vita e l’intelligenza è avvenuto”. Si può inoltre ipotizzare una dimensione ulteriore considerando il fatto che viviamo in un “universo bioamichevole, predisposto alla vita”, che la polvere di cui siamo fatti è vitale (124).

 

È “ragionevole pensare che il processo di accumulo dell’ordine e dell’informazione in cui consiste l’universo continui nella stessa direzione che esso segue ininterrottamente dall’inizio della sua espansione”. E ancora: “Nell’amore, nel bene, nella giustizia, nel bello di cui gli uomini sono capaci c’è una domanda di eternità che merita di ricevere una risposta”. Infine “la logica ordinatrice alla base del processo cosmico” permette di pensare ad “una quinta discontinuità per quegli esseri che hanno vissuto in conformità a essa, che hanno vissuto secondo la logica profonda dell’ordine e della simmetria che è il principio base della realtà. Il Logos che è all’inizio di tutto è anche alla fine di tutto” (125).

 

 

C’è una realtà superiore

 

A questo punto Mancuso introduce il concetto di Dio “continuando sul sentiero della ragione”, la quale avverte con evidenza che esiste qualcosa che ci sovrasta, che ha signoria su di noi, un principio alla cui logica il mondo risponde. Il problema è invece, afferma, definire “quale sia il volto di questa realtà ultima da cui la mia vita comunque dipende”.

Alla luce del processo evolutivo, orientato verso l’ordine, è ragionale ammettere l’esistenza di “un unico principio ordinatore, immanente a questo cosmo”, logico ed unico, “immanente all’essere”, che è “la più alta manifestazione della divinità che alla ragione è dato di scorgere, è il volto con cui l’eterno si rende presente nel tempo”.

 

 

Un profondo mistero personale

 

Per giungere a pensare ad un Dio personale e trascendente, al di là del tempo, Mancuso considera la realtà esistenziale. “Se al vertice della storia naturale del cosmo è comparsa la persona, se il cosmo ha prodotto da sé la persona”, se si è giunti “alla vita intelligente personale”, se la libertà è personale, se l’amore è personale, significa che “l’ordinamento cosmico rimanda a un più profondo mistero personale”.

 

Io penso che dall’Io, se sa vincere le sue meschinità, possano venire le cose più grandi, di cui la più eccelsa è l’amore, l’amore puro guidato dalla luce del bene, possibile solo come atto della persona che incontra un’altra persona (133-134).

 

Il Cristianesimo dice che il “Logos impersonale immanente al mondo si è manifestato come persona, perchè c’è stato un uomo, Gesù di Nazaret, che l’ha perfettamente riprodotto in se stesso, ha perfettamente attuato in sé e fuori di sé la logica dell’armonia cosmica, la relazione ordinata, che nel suo vertice si chiama amore”. Cristo è trino perchè ha riprodotto in sé la relazione perfetta ed è uno perchè è in se stesso amore. Il mistero della persona umana è contenuto “nell’evento dell’incarnazione del Logos”.

Tutto questo permette a Mancuso di poter affermare che sia “ragionevole sostenere che la quinta discontinuità all’interno del processo evolutivo dell’energia cosmica possa condurre ad una vita oltre la morte di tipo personale” (134).

 

 

Il primato della vita morale

 

L’esistenza del mondo divino e della vita futura è data dalla presenza nell’anima “di valori, che trascendono il tempo, quali la verità, la giustizia, l’amore, la vita morale”, che ci dicono che in noi c’è una domanda di compimento, che noi aderiamo alla logica che governa il mondo. Se l’anima riproduce dentro di sé la medesima logica di ordine, equilibrio, stabilità, “non è irragionevole pensare che essa possa ottenere lo stesso risultato della sapienza cosmica, cioè la vita”.

 

La salvezza non può essere una smentita della creazione, ma solo una conferma (136).

 

Per Mancuso  - come per Teilhard de Chardin -  non tutti entrano nella dimensione dello spirito,  poiché “noi non siamo voluti per noi stessi dall’eternità divina”, non c’è infatti “alcun disegno divino intelligente su di noi, non c’è alcuna vocazione, se non quella della libertà”, il mondo naturale è separato dal Dio personale, lo dimostra l’handicap per la nascita e la fatalità per la morte, ma è anche governato dal Principio Ordinatore Impersonale “posto dal Dio personale al momento della creazione”.

 

Veniamo al mondo come ogni altro essere vivente, generati dall’azione della natura, condotti all’essere dall’impersonale sapienza divina all’opera del cosmo. Si tratta di un processo che la gran parte delle volte produce ordine; ma che talora, a causa del fatto che è impersonale è sempre in divenire, produce anche disordine (139),

 

 

Una potente strategia evolutiva

 

In questi casi entra in azione la principale dinamica evolutiva degli organismi superiori, di tipo positiva, la tendenza verso la relazione, la simbiosi che porta organismi diversi a vivere in “stretta associazione reciproca e spesso uno dentro l’altro”, una potente strategia evolutiva che può essere messa in atto anche nel mondo dello spirito. Essa permette “che la simbiosi quotidiana di un’anima spirituale o di più anime spirituali nel corpo di una persona senza anima spirituale produca un essa quello spirito di cui un errore della natura ha impedito la nascita” (141). L’uomo ha la capacità di generare lo spirito con l’amore.

 

 

Una strategia ontologica: abbandono nella nudità

 

Entra anche in azione un’altra strategia, quella dell’abbandono nella nudità dell’essere al processo divino che li ha portati all’essere. A costoro “basta che restino come sono”, poveri nello spirito, innocenti, già “immersi nella vita, portati dalla vita, destinati alla vita, grazie all’idea eterna di Uomo”. 

 

 

Il nostro tempo è contenuto nell’eterno

 

“Se l’anima spirituale compie il medesimo lavoro del Principio Ordinatore il cui prodotto è la vita, giunge alla vita, quella immortale. Bisogna però pensare in modo adeguato il rapporto tra l’eternità e il tempo. Questa non è ciò che viene dopo la morte poiché l’eternità è senza inizio e senza fine, è la realtà che è da sempre. Noi dunque viviamo una parte dell’eterno, infatti il nostro tempo è contenuto nell’eterno, esso misura il nostro divenire, quindi è una grandezza relativa alle cose che misura.

Mancuso adduce degli esempi per spiegare che noi, anche col corpo, possiamo avere coscienza, se, pure larvata dell’eternità, e cioè quando ci dedichiamo a qualcosa di più grande, emozionante, avvincente allora non ci accorgiamo che il tempo passa, contrariamente il tempo può essere avvertito come pesante, oppressivo, come una prigione. Tutto dipende da come ci poniamo. Bisogna uscire dalla prigione dell’autoaccentramento, dell’egoismo (il “rinnegare se stessi” raccomandato da Cristo), bisogna superare se stessi e vivere le esperienze dei mistici della contemplazione e della preghiera.

 

Cancellando la solidità egoistica dell’Io si elimina uno dei due poli necessari alla costituzione del rapporto di cui il tempo è la misura, e il tempo viene superato (147).

 

In questo stadio, al vertice della vita dello spirito, la libertà viene intesa come “distacco dalla rassicurante necessità della natura”, come gioia di godere del presente, senza ansia, senza egoistico possesso, considerando la vita come dono e la morte come affidamento al Padre.

 

Lo scopo della vita è la nascita alla gioia dell’essere, che è la porta dell’eternità, perchè chi la vive entra nell’eternità, dove, una volta entrati, non si esce più. L’anima è giunta a casa (148).

 

 

Mimma De Maio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vedi la lettura del mito di Adamo ed Eva nel quadro evolutivo di tipo teilheriano

 

 

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