Tutto è diventato più piccolo
Dal mondo dello stupore all’Universo
della domesticazione
di
Adriana
Marigliano,
(Apogeo,
2007, pp. 171)
Questo studio si pone il problema di come l’uomo
abbia affrontato il rapporto con la realtà nella sua incommensurabile varietà
ed estrema indeterminatezza senza lasciarsi sopraffare da essa.
L’autrice usa il termine di “domesticazione”,
indicando con esso un’operazione unica, messa in
atto lungo tutta la storia dalla razionalità umana, e operazione possibile
solo all’uomo come ente caratterizzato, diversamente dagli altri esseri
viventi, da un’assoluta “carenza di essere”. Tale umano statuto non è
debolezza ma una feconda ricchezza, poiché è possibilità di poter divenire
qualsiasi cosa. Una “incompletezza” che diventa “la sua più
straordinaria risorsa”. Nulla di uniforme e
prevedibile, dunque, ma il meraviglioso disordine proprio della versatilità
umana, “attività edificante e dissolvente al tempo stesso”, in grado di
assistere al “farsi e disfarsi” delle sue creazioni, dei suoi luoghi. La Marigliano sottolinea con forza
questa condizione, di inquietante “ente”, mai fermo, mai domo, mai arenato,
mai in quiete, mai stabilizzato, frutto della natura sì, ma capace di
romperne il ritmo, capace di non perdersi nel “tutto indistinto” della vita
anzi di avvertirsi unico e assoluto. Nel processo di dominio e di possesso,
appunto di “domesticazione”, della realtà, l’uomo
ha creato degli appigli, dei “dispositivi” “produttori di senso” che gli
hanno permesso di avere dei punti di riferimento, utili “nella casa in cui
tutti viviamo”, si è creato insomma un “artificio”, una “grande
macchinazione”, che gli ha dato sicurezza. Se però
con tale operazione “l’inquietudine della vita”, si è trasformata in “quiete”, questa ha acquistato i contorni dell’ambiguità; se il diverso,
non fa più paura, è perchè è stato ridotto all’uno, in un certo senso è stato
abolito. Insomma l’uomo è diventato “modesto e mansueto”, rassegnato, un
piccolo uomo, “il migliore animale domestico di se stesso”. L’Occidente è andato oltre
poiché questa tendenza all’“unicità”, propria di ogni civiltà, si è trasformata
in “universo” ad opera della scienza moderna, che ha eliminato
l’incommensurabile in favore del commensurabile, e della tecnica, che ha
elevato “ciò che è utilizzabile a misura di tutte le cose”. Si è creata un’antropotecnica che serve a rassicurare l’uomo nella sua
casa. A ben vedere si tratta di una falsa sicurezza perchè si fa passare per
vero ciò che semplicemente “prevale”, si fa apparire razionale ciò che “ha
avuto ragione”; ed in base a tali parametri si
“distingue il buono dal cattivo, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto,
il sano dal malato, il sensato dall’insensato”. Un sistema che non accoglie,
ripudiandolo, ciò che non è calcolabile, ciò che è vario, che è
imprevedibile. La Marigliano si inoltra, con dovizia di dati, nella storia del pensiero
umano per far emergere il processo di domesticazione
umana. Un’indagine interessante ed appassionata tesa a
scoprire tutti i meccanismi attraverso i quali la ragione si è imposta come
“il tutto delle relazioni possibili” e denunziarne i pericoli e le
aberrazioni. Come dice la studiosa nella seconda di
copertina l’analisi prende le mosse “dalla casa dell’essere”, dal
linguaggio. È questo il primo strumento usato dall’uomo razionale per
ordinare e organizzare il mondo e farlo funzionare, impiegando regole
sapientemente inventate “all’interno di un determinato sistema di
comunicazione e di comprensione”. Straordinaria invenzione che gli ha
permesso di fuggire alle forze distruttrici del divenire dominandole, di
trasformare “il caos in cosmo” dando “significato al mondo” e che comincia quando il pensiero filosofico di fronte
all’essere perde la possibilità di stupirsi e di fare domande e crea un
“prontuario” di risposte tale da trasformare l’essere in qualcos’altro. Il
viaggio all’interno del linguaggio attraversa tutti i
processi logico-verbali offerti dalla filosofia socratico-platonica:
dalla voce simbolica del mito e dell’epos, con cui il linguaggio cerca di
rendere familiare ciò che sembra incomprensibile, alla voce della logica, che
usa il concetto per le sue operazioni di immunizzazioni contro le minacce
dell’indistinto, ma che sacrifica il linguaggio mito-poietico
e si afferma come “unico sistema possibile”. Il logos, inteso come
raccoglimento, è “principio che governa il rapporto tra gli enti” secondo
ordine e giustizia, è “dono da accogliere”, da ascoltare, è presenza che
tutto comprende, ma che esprime pure una “sconcertante monotonia”. L’analisi giunge poi a quando
la domanda di senso diventa “investigazione” (certezza di cause efficienti),
scienza (infallibili dimostrazioni), tecnica (necessità di manipolazioni), cibernetica
(rapidità delle operazioni). A quando cioè l’uomo
dell’Occidente non ha saputo godere il sentimento tragico della vita che si
offre gratuitamente, ha aborrito “patire” l’assenza di punti di riferimento,
la mancanza di anticipazioni, è arretrato dinanzi alla “gratuità
inafferrabile dell’essere” e si accucciato comodamente dietro a più sicure
forme di possesso dell’essere. L’amore per l’essere, la philousia, si è trasformato in
amore per il sapere -
philosophia
- per divenire poi semplicemente sophia, cioè sapere
che è potenza. In questa operazione è stato
necessario “delimitare” e “immobilizzare” l’essere, far sì che il logos - il gesto dell’essere nel quale l’uomo è
coinvolto - divenisse parola,
operazione rassicurante, controllata, che ha trasformato il “tessuto
ontologico”, proprio del logos, in “strumento linguistico”, di sicuro dominio
nelle mani dell’uomo. Di qui la protervia del pensiero contemporaneo che
crede di poter giungere “nei più profondi abissi dell’essere” e financo di “correggere l’essere”.
In tal modo, sottolinea l’autrice, si è persa “la
innocente gratuità del logos” e si è imposta la volontà “imponente” della
logica; si è perduta o di molto ridotta la “essenziale ricchezza dell’essere”
tutta inclusa nelle prime fondamentali parole, e l’essere è stato ridotto “al
rango fatale del più vuoto e generico dei concetti”. Non c’è più l’eccedenza
del “senso” ma l’unilateralità del “segno”, non ci
sono più “cose” ma “schemi mentali di cose”, a partire dai quali si impone
l’eterna universalità della ragione, come capacità di razionalizzare qualcosa
ma anche come pretesa di voler soppiantare ogni aspetto del reale. Lo studio della dinamica
del processo di domesticazione poi si focalizza
sulla tecno-scienza, figlia della “ratio
tecnologica” che con la sua potenza uniformante ha “miniaturizzato” il mondo,
ha ridotto il tempo e lo spazio, ha reso il reale “perseguibile” e “calcolabile”.
Ha creato un nuovo
sapere che è “dominio e potenza”. La verità non è più, come per i Greci, un
cogliere “l’ordine intrinseco alla natura, in una “visione meravigliata alla
quale si partecipa con ammirata devozione”, ma è “un
cogliere l’ordine che l’uomo assegna alla natura”, una verità “ridotta a
risultato di un rapporto causale astratto”; il reale non è opera della physis ma dell’uomo che crea una realtà obbediente ai
suoi calcoli; la tecnica “non è più semplicemente produzione, che imita e
asseconda i processi generativi della natura”, ma è un andare al di là della
natura stessa, imponendo metodi e sostanze a lei sconosciute, chiedendole
continuamente energia di cui non è mai sazia, provocandola, chissà fino a quando.
In questo incontro-scontro sia la natura che la
tecnica escono trasformati: la natura, “forzata a rispondere a un circuito
ininterrotto di impiego e redditività”, diventa un “insieme” che rimanda ad
altri “insiemi” a cui è legata, la tecnica, divenuta tecno-scienza,
non crea più oggetti, non ha a che fare con individui ma con “punti-massa
gestiti da un controllo diffuso sempre più razionale”, “domina il mondo della
vita, dalla cultura alla natura, trasformandolo in una megamacchina”. Anche se col progresso tecnico-scientifico è stata
eliminata l’angoscia che angustiava l’uomo, e la casualità è stata
trasformata in causalità, si è creato uno “spazio virtuale” dominato dalla
logica dell’efficienza, del funzionalismo, della potenza, dello sviluppo. Una
grande rete dai mille sottilissimi fili in cui
l’uomo è invischiato senza alternative, senza autonomia, trasformato in “uomo
antiquato”, “obbligato nello stretto binario di produzione e consumo”,
definitivamente privo della sua potenza immaginativa, della forza del sentimento
e dell’emozione, senza più la sua individualità, non più persona. Un
annullamento generale che sa di mostruoso perchè
tutti diventano uguali, perchè tutto diventa artificiale. Siamo di fronte al
completo dominio del non senso, all’“avanzare afinalistico
del nulla”, un “meccanismo che pialla un mondo omogeneo e calcolabile” in un
processo di disumanizzazione che è un processo di
riduzione, di rimpicciolimento, per cui “la terra è
divenuta più piccola e su di essa saltella l’uomo che rende ogni cosa più
piccola”. In tal modo si scopre che il processo di “domesticazione
razionale cominciato con la fondazione della logica del discorso” è
continuato sfociando nell’irrazionalismo dell’universo tecnologico, che è
“l’ultima incarnazione” della logica della Ragione a cui il mondo di oggi è pienamente assoggettato. Abbiamo costruito un
mondo irrazionale che appare razionale. La Marigliano, studiosa
di problemi antropologici, indica i pericoli che provengono dalla “desertificazione
tecnologica del mondo” che non sono imputabili alla tecnica in quanto tale ma all’uomo che si abbandona alla “cattiva infinità
della tecnica”. Esso è l’unico che può “cogliere nelle cose una dimensione
diversa da quella offertaci dalla pianificazione della tecnica”, è l’unico
che riesce a comprendere e godere della “grazia
simbolica delle cose”, è l’unico capace di trascendenza. Bisogna perciò
riconquistare ciò che dà senso alla vita che passa
“per la cruna del dolore, per il gran torchio del tempo, per l’ebbrezza della
gioia e per quell’humus sul quale riposa la nostra
finitezza che ci fa umani”; bisogna “smettere di ragionare con i nostri
calcoli che ci rendono sicuri nel dominio del produrre e del comandare”, e “imparare
a pensare, installandoci nella cura del nostro sentiero terrestre”, “imparare ad abitare il nostro astro
errante”. Il percorso del processo di domesticazione
si conclude con l’analisi dell’Io, altro magnifico
“alloggio” progettato dalla ragione. All’interno del processo di domesticazione, l’Io scopre che
è chiuso in un’infinita rete di condizionamenti che fanno violenza e che
dicono che non è più padrone in casa propria e non riesce a controllare la
dimora da lui costruita. Di qui lo spaesamento - la violenza
dell’angoscia - che attanaglia il
mondo di oggi, provocato dall’essere posti al cospetto del nostro essere e di
non riconoscerlo come familiare (“il-non-sentirsi-in-casa-propria”).
Non è difficile rendersi conto che a fondare siffatto mondo “è il discorso
dai toni rassicuranti che proviene dall’uni-verso della ragione tecnologica,
che trasforma ogni cosa in termini quantitativi”. Attenti però ci dice la Marigliano
a chi vuole a tutti i costi utilizzare “le certezze della casa della nomenclatura”,
perchè l’uomo è di fronte a inquietanti
interrogativi che sono “lo spettro di una distruzione planetaria”, “il prolungamento indefinito del dominio
tecnico-scientifico sul mondo”, le seduzioni del “mondo seriale della
pubblicità”, “l’utile economico” somministrato dalla “continua riproduzione
iconica dei bisogni indotti dai mass-media”, l’aberrante preoccupazione di
ricondurre a noi le altre civiltà e non comprendere la ricchezza
dell’apertura alla diversità. Sono gli interrogativi di un mondo piegato
all’azione proteiforme delle tante violenze, le domande di un tempo ridotto
“a crono temporaneo che fagocita tutto nella volontà, insensata e frenetica
della novità”, di un’umanità che rischia la “formattazione tecnologica”.
Proprio per questo pericolo possono e devono essere smascherate le illusioni
delle verità, si deve capire che la ricchezza non può che “provenirci
dall’esercitare il nostro spirito libero”; deve essere scoperta ed additata
l’umana architettura che permette alla ragione di imporsi come verità
assoluta universale, esclusiva, uniforme che accoglie solo ciò che è comune
ed elimina tutto ciò che è differente. Oggi si può, anzi si deve. All’uomo di oggi conviene “fermarsi a pensare”. In conclusione possiamo dire
che la ricerca, se considera un problema il nostro ordine razionale, non
proclama il trionfo dell’irrazionle, anzi cerca di
comprendere il pericolo insito nell’espansione inarrestabile dell’assolutismo
della ratio, e vuole in un certo
senso dimostrare la verità del monito di Dioniso della ratio intesa come profonda follia. |
Recensione di Mimma De Maio
da
“Riscontri”, Sabatia editrice, 2007.
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