I canti della vetta

Percorsi essenziali

 

Accade che reagendo ad uno sterile abbandono, pernicioso soffocamento d’ogni slancio (quante volte rinasciamo!), ho indirizzato questo stato dell’animo mio verso quella endemica diatesi spirituale che non è abulia ma ascolto-contemplazione-azione, cioè poesia.

 

Se l’uomo fugge a se stesso e vuole per gli altri, diventa uomo-altro. Proteso "al di fuori" non va verso il proprio tempo che è "intorno" ed è costruito grano a grano sull’ieri, ma verso il tempo degli altri che non potrà mai possedere ed è costruito sul "futuro", quindi su ciò che non c’è. Il piacere gli viene dagli altri perché è lì che riesce a sentire se stesso; non sa egli godere di sé (che non è l’egoistica soddisfazione di emergere sugli altri), non sa la gioia senza paura. Gli altri, il "di fuori", il futuro diventano la sua realtà. La sua corsa è vana, è il correre della giostra. Così a poco a poco si sgretola la sua consistenza.

I

 

Lui

 

Se segui la folle Gorgone
che sceglie ciò che tu vuoi
e poi lo divora,
abbandonata la briglia
se tendi la mano al domani
seminando guerrieri assoldati,
se la tua strada è come uno specchio
 
allora c’è lui
 
al di là
e alle spalle
latte e miele
ti mesce
 
e tu mai stanco
ne vuoi
perché nell’assenza
lui si rinnova
e ti fa disteso
al dio
che è ad un passo da te
 
sempre,
 
e tu corri nel vano
tu sei in una giostra
e intorno c’è lui
fermo
incombente
come sul deserto l’astro di fuoco
e la gelida notte,
come il loro patto
ed il ghibli
a spaccare la roccia.
 
Tu impietrito 
nel futuro 
sei.
.
 

 

 

II

La nostra avventura nel mondo non può essere un cieco andare e neanche una misera resa al mondo e a noi stessi. Si va con coraggio tra le macerie delle nostre illusioni, nelle sabbie mobili delle nostre debolezze. Si va pagando col pianto i grani della nostra isola.

 

 

 

 

Conquista di pianto

 
Proditoria
quasi celiando la terra 
fa segni
come la mano bambina sul foglio,
vanno voragini insonni
e frane di picchi alti,
vanno strida di arpie nell’aria
e truculenti artigli
si, vanno …
 
e la liana assassina
rode le carni
ruinando 
con te.
 
Ma ecco
s’alza un occhio soltanto
un piccolo occhio che guarda
e vede al di là
e vuole
e fa
 
vuole
e va sulla terra che trema
ma prega,
 
vuole
e chiude gli strappi
ma piano,
 
vuole
e calma le voci
ma ascolta
 
allora con la liana
ogni piolo un giglio diventa
che sulla terra 
un pezzo 
di te 
raccoglie.
 
.

 

III

Anche in noi si avverte la sonora anima del mondo che fratelli ci dice a quelli che ci precedettero nelle vie inferiori e che ci offre una strada piana ed agevole. Anche in noi s’avverte la lusinga, il lasciarci andare alla corrente che trascina. Ma pure s’avverte un più travaglioso richiamo. E si va sulla china pesante dove ci sono gli aiuti costruiti dall’uomo nei secoli e si trovano più forti richiami. E si giunge - solo dopo il coraggio della salita - si giunge a sentirsi in sintonia con le voci infinite che paralano nel nostro profondo ma che si riescono ad ascoltare solo quando ci si è liberati dal grumo di terra che ci fa sordi.

 

Non voglio

Non voglio seguire la traccia
di quelli ch’hanno gli occhi di vetro
come il cervo ed il cane
o il branco errante nel mare
che cinse di Venere il seno
o come il fiore ed il melo,
sonore anime legnose.
 
Olimpo sento che chiama
ma è lassù
e c’è una china pesante
col sasso
e la polvere nel sangue del rovo,
e ci sono pilastri e navate
ma i cancelli non vedo.
 
Io voglio la misura acconciata
il carro sazio che si ferma alla tomba,
la mensa
i saluti…
 
Io voglio gli occhi ampi che piangono.
 
Allora vado col passo piccino
un passo
che segue
ad un passo
una voce alla voce
 
io vado
 
e trovo
 
un sorriso di ninfa
nella mano che prega
 
e ancora proseguo
 
giorno
e notte
più oltre
 
e trovo
 
il filo di Argo legato a una spina
e sento una diana più forte
nei boschi.
 
E lassù…
 
lassù, ove di silenzio
si riempie il respiro
lassù
le radici son fili sottili
che arrivano agli spazi lontani,
sono una rete infinita
che tutt’insieme avvolge
la coppa d’azzurro
perché a me giunga
il suo sorso
dal fondo.

*

 

Terra e cielo

Perché il mio errare e il tuo
nei lenti viali angosciati,
perché non puoi e non posso
i suoni ammiccanti
lanciare lontano
e sola ritorna la voce?
Perché le Erinni sono fuggite?
 
Per la china
andiamo
lentamente.
 
Vedi
tutte le discese han molli culle
di desideri
col pianto di bimba ignara
che cerca la mano
che l’abbandonerà.
 
Ha la terra l’ansia fumiginosa
nei torturati calli
dove le membra stanche
sono pronte al suo richiamo
e non il cielo
col capo chino delle viole
e le gardenie gialle.
 
Terra e cielo
uniti li ho visti
e c’era una scala distesa
tra loro
infinita
di smalto adattato
ad un piede diverso
e c’era Atlante che la reggeva
perché porta all’orto delle sue figlie.
 
La terra le chine gli abissi
hanno una scala
nascosta
che piange
salendo
ed hanno un aiuto
che soffre

con lei.

*

Naufragio

Ero come tanti
nel calmo brillìo del porto
ed ero inviso ad Ermete,
tra le braccia c’erano porti e banchine
e macchinari efficaci
ma non vedevo la fragile sabbia
nel deserto alle spalle.
 
Un giorno mi trovai in un vascello
nella tempesta
incatenata come un prigioniero.
Amore tra i flutti vogando
tirava i pensieri
ad uno 
ad uno
e chiedeva
come all’incrocio della via
il viandante.
 
E scelse i doni di Eris.
 
Allora ebbi una mappa
nuova di zecca
mai conosciuta
e gli attrezzi
e m’avviai
ma ero un granello
da grande altezza 
che cade
 
ed Ermete nulla potette.
 
Un vortice incatenato su una scogliera
sommersa
fu il mio pedaggio
per le caucasiche selve
che solo sanno
solo esse conoscono
il lungo prometeico pianto.
 
Ora vago
naufragio di un’ecatombe
ed attendo la saetta di Giove 
per riposare nel Tartaro

con la mia roccia.

*

Sei forte

Lascia che i miei occhi
si riempiano di te,
olimpo di fuoco,
e che le mie mani fanciulle
portano doni di pianto.
Poi sul carro di Giove 
con le ruote di vento
io verrò
tra i nembi del cielo
al tuo seggio nascosto.
E siederò alle mense dei canti d’Omero
vedrò le gelose stanze di Era
conoscerò perché è lontano il tuo regno
e perché ha i cancelli di nebbia.
Così la mia voce
che ricorda antiche poesie
e nenie
capirà
perché non ci sei
e perché la tua eco
rimbomba
di membra
in membra.

 

IV

Varcate le frontiere del pensiero siamo al di là del tempo e dello spazio nei cui limiti non si può possedere senza fare violenza e senza avvertire la deficienza. Nello sconfinato spazio del pensiero si spegne tutto ciò che finisce, non arriva il biologico, perché possiamo pienamente comunicare ed essere pienamente gli uni negli altri. Lì c’è l’uomo dello spirito.

 

 

 

 

Nel pensiero

 
Oggi sono con me
non sola
perciò il mio pensiero trova
dopo averti colto i pesanti fiori
che non conobbero l’isola,
io trovo
nel cuore della mia aquila reale
interamente te
veramente.
 
E tu senza confini
invadi il mio infinito
e siamo stupenda negazione
dell’abbraccio mortale.
 
Tu non rete tesa sulla via
non carro per la vetta mia
tu non sei la serpe di Leto
che spinse Febo alla vendetta
ma raggio
ma azzurro
ma sosta
al di là del nemico correre dell’ora
 
io sola
col pensiero che non chiede
tante
e tante volte
ancora,
col pensiero che ha il tuo sconfinato 
calendario
 
io sola col pensiero
che vede
la 
sua
costruzione.
.

 

 

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