Cristianesimo della prassi

 

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ABORTO

 

ABORTO

So di toccare un argomento molto doloroso e per questo, sommessamente, esprimo la mia posizione: siamo, dovremmo essere, tutti schierati a difesa della vita, tutta la vita... e che questa sia minacciata, complessivamente, è di facile constatazione, non serve quindi fare elenchi o promemoria... mi riferisco allora alla questione specifica dell'aborto, partendo da un principio che credo sia da tutti/e condiviso: l'aborto è un dramma, è una sconfitta, è una sottrazione, è uno spegnere, annullare ciò che può essere una vita, una relazione creativa e prodigiosa in primis tra madre e figlio... detto questo, ci risulta però difficile comprendere che questo dramma, ha nella sua maturazione molteplici cause, superiori di gran lunga alle forze disponibili affinché la vita riporti la sua vittoria? e tutto il nostro operare, inteso come singoli e collettività, non è nel cercare di rimuovere tali cause? ... onestamente, a che punto siamo dei lavori?  siamo all'indomani della marcia per la vita e alla vigilia dell'anno giubilare della misericordia... si intrecciamo quindi tanti temi: il perdono, la misericordia, l'esercizio di diritti, la autodeterminazione, il nostro essere dialogo e compartecipazione...  qui riporto due prese di posizione sul tema in questione, tratte da "il fatto quotidiano", di oggi 11-05-2015... è solo uno spunto di riflessione che ci serve per quel cammino che non ha alternative: l'essere in pace con se stessi!
(nb: la fotografia che ho cercato a commento del tema, esprime il concetto della vita fragile e precaria)  buona settimana... ciao

 


Dio conosce il bisogno che abbiamo di perdono di Lia Celi
Okay, se ho abortito non me ne faccio niente del perdono del Papa. Io. Ma noi signore radical-chic, fiere della nostra laicità disillusa ma politicamente corretta, facciamo sempre molta fatica a capire che non tutti sono come noi e i nostri amici. Ci sono donne credenti che hanno abortito e ne soffrono profondamente. Magari non si sentono condannate al fuoco eterno, non vanno in giro con una A scarlatta sui vestiti, ma si sentono spezzate, indegne, tradite in primo luogo da se stesse. Per loro l’assoluzione impartita dai missionari della Misericordia, inviati dal papa nelle diocesi per eliminare dalle anime anche lo sporco impossibile, fa qualche differenza. Non tanto come Vanish dell’anima, quanto, ed è più importante, come rieducazione al perdono di sé e degli altri.
E Dio sa quanto abbiamo bisogno di ricordarci, tutti, quando e come ci si perdona. Ne hanno bisogno soprattutto le donne, cristiane e no, da sempre le più spietate nel giudicare se stesse, che non si perdonano mai nulla e adorano trovarsi in difetto per autosgridarsi e rimproverarsi. Se perfino Santa Suocera Chiesa ora perdona quello che ci ha sempre additato come il peccato dei peccati, pari o peggiore dell’omicidio, anche noi possiamo revocare l’anatema contro le nostre imperfezioni di donne e di uomini ed essere clementi. In quest’epoca di rancore cronico, in cui l’unica energia rinnovabile pare essere il risentimento, ricordarci di perdonare noi stessi, e il prossimo come noi stessi, significa sostenere e difendere la vita in senso molto più religioso di quanto lo sia tuonare invettive pro-life e criminalizzare le donne che decidono di rinunciare a un bambino. Quel che è imperdonabile è il fatto che in Italia ci sono più probabilità che una città abbia un sacerdote incaricato di perdonare gli aborti, che un medico disposto ad eseguirli. Ma non possiamo pretendere che papa Francesco provveda anche a questo.

 

Non è un peccato macché senso di colpa di Elisabetta Ambrosi
No, non ci interessa il perdono dell’aborto presente e di quello futuro. Non ci interessa perché il perdono non è una categoria del diritto, della società democratica, semmai della teologia e dell’etica. Ma noi vogliamo la depenalizzazione dell’aborto sempre, da parte delle nostre istituzioni, della società, della cultura. Vogliamo che una donna non debba neanche lontanamente sentirsi in colpa per un gesto fatto per preservare se stessa e, spesso, lo stesso futuro bambino, che non può esistere senza madre che lo pensi e lo accolga nel corpo e ancor più nella mente.
Vogliamo che questa donna ne possa parlare come un fatto normale, con tutti e verso tutti. Magari non c’è bisogno di definire l’aborto come un diritto della donna, basta considerarlo una possibilità sempre accessibile, aperta, anche a livello pratico, oltre che ideologico (le due cose si tengono): significa ad esempio poter abortire in maniera rapida ed efficace, non doversi mettersi in lista d’attesa o fare lo slalom tra gli ospedali per cercare reparti con medici non obiettori. Significa trovare medici accoglienti, che comprendano e procedano rispettando la volontà della donna che resta fino all’ultimo garante del suo stesso corpo. Significa non vedersi mai rifiutata la pillola del giorno dopo in farmacia, e avere ospedali dove è possibile utilizzare la Ru486.  Nessuna donna abortisce per sport, distrazione, leggerezza, neanche una adolescente sprovveduta. Le donne abortiscono perché sanno che non possono, che non potrebbero e questa  anche una grande forma di saggezza. Per l quale non serve, appunto, un perdono morale, ma anzi riconoscimento di una sapienza femminile che certo deve confrontarsi col maschile, anche nella decisione, ma che puoi non che procedere sulla sua strada, sostenuta dal diritto e dalle istituzioni. Senza bisogno di perdono.

 

 

 

 

 

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