Marta
Il fratellino
.
. Nella famiglia di Marta le persone erano divise in
due gruppi, da una parte gli uomini dall’altra le donne. I
primi, oggetto di tutte le attenzioni e sempre ascoltati, erano esenti
da ogni incombenza in casa, ma badavano a ciò che occorreva alla famiglia
mantenendo i rapporti con l’esterno, e questo era segno del loro maggior
ruolo. Le donne avevano la cura della casa e degli uomini, tutte per loro
erano le pulizie e il bucato e alla fine dell’estate, il paziente tramestio intorno
alle conserve e alla frutta da seccare in lunghe spaselle
al sole e in inverno il lavoro pieno di festa dopo l’uccisione del maiale. Di questa ferma divisione e delle sue leggi non scritte e non predicate, ma sacrosante Marta
prese coscienza solo quando nacque il fratellino che subito entrò a far parte
della prima schiera con tutti i privilegi ad essa legati. Nella gerarchia
familiare occupò il terzo posto dopo lo zio e il babbo e prima della mamma
che apparteneva all’altro gruppo, un ordine consacrato e ben visibile nei
luoghi e nei momenti più importanti della vita familiare. Intorno alla grande
tavola quando tutta la famiglia si trovava unita nei pranzi dei giorni
festivi, quella gerarchia ne distribuiva i membri come un meccanismo che non
s’inceppa. Lo zio sedeva a capotavola, forse perché era scapolo o più grande
del babbo o forse perché aveva partecipato alla guerra ed era tornato con i
gradi tanto che i nipotini lo chiamavano "zio capitano". Alla sua destra il babbo, poi il fratellino, quindi tutti gli
altri: la nonna, la zia, lei, le sue sorelle, la mamma con la quale terminava
il cerchio della famiglia. Ma per Marta quel
cerchio non era chiuso visto che la mamma si rivolgeva allo zio dandogli del
voi come alle persone non di famiglia. Una prova, in quel momento solenne
della vita familiare, che i due schieramenti erano ben separati. Naturalmente il fratellino fu esente da ciò che a
lei e alle sorelline era consegnato: l’ordine nei cassetti e tra le loro
cose, gli indumenti sporchi nel canestro, i piatti da riporre dopo il pranzo.
Poteva perfino lasciare i giocattoli dove li aveva usati. Solo per lui
c’erano le donne pronte secondo la necessità. A lui toccò uscire col babbo ed
anche questo fu in linea con la logica della famiglia. Ma la supremazia di
quel frugoletto tondo con la grande testa nera quasi
rapata appariva tutta la sera, nelle lunghe sere d’inverno. Allora dopo cena
i bambini attendevano, per riunirsi intorno al focolare, l’arrivo del babbo e
dello zio che poneva fine ai giochi diretti dalla mamma nella grande cucina durante i quali le femminucce s’erano
accattivate quell’unico maschietto per essere
privilegiate quando a lui sarebbe toccato il compito della distribuzione dei
confettini di zucchero e cannella che il babbo, sedendo accanto al fuoco, gli
avrebbe consegnato. Questo compito faceva parte del suo ruolo, come il posto
accanto allo zio sul lungo banco di legno del focolare che
però lasciava presto andando a letto e che a Marta, la primogenita,
era concesso occupare fino a che poteva restare con i grandi. In quelle sere d’inverno dunque si determinava la
contaminazione dei giochi femminili che si perpetrava nei momenti della
giornata tra bambole e pentoline dove continuava ad
intrufolarsi il fratellino con le sue prepotenze. Tra tutte c’era l’esclusiva
della bicicletta non permessa alle bambine e che dava al maschietto di
famiglia la possibilità di confermare la sua supremazia. Di prepotenza aveva fatto il suo ingresso in
famiglia causando grande scompiglio. Marta ricordava la mamma a letto, il via
vai delle donne dalla camera alla cucina con bacili
pieni d’acqua che la zia si preoccupava di tenere calda. - Perché tanta acqua? Cosa facevano alla sua mamma? - . - Tu non puoi entrare - . - Io voglio la mamma - . - Ti chiameremo noi - . E poi il concitato chiedere e il frettoloso
rispondere. Infine un "è maschio" alto e festoso sancì l’importanza
dell’evento. Lo si ripetette
con soddisfazione portandolo fuori, nel cortile, dove si prolungava
l’andirivieni che era in casa. Pareva che fosse stato raggiunto un traguardo
a lungo perseguito. Quando le bambine furono ammesse a fare la
conoscenza del fratellino egli aveva gli occhi
chiusi, ma ciò permise a Marta di dare un senso a quanto la mamma stava
dicendo ad una conoscente, dell’attesa del maschio e di quando era nata la
terza bambina che il babbo aveva conosciuto solo dopo una settimana,
"tanto era una femmina". Tutto veniva
giustificato col fatto che ci voleva l’erede. Con lui finirono i bambini nella famiglia di
Marta. I giorni seguenti confermarono che il fratellino
sarebbe stato il fulcro del gruppo familiare tanto che, quando cominciarono
le passeggiate a casa del nonno, la sua carrozzina, intorno a cui si
fermavano tante persone solo per lui, sembrò un trono portato con cura dalla
mamma e scortato dalle sorelline. Poi successe qualcosa che, dopo averlo fatto
oggetto dell’attenzione e delle cura di tutti, lo
stabilizzò in quella posizione e giustificò agli occhi di Marta le attenzioni
del babbo e della mamma e quel posto che egli non avrebbe più abbandonato. Marta aveva ben presente tutti i momenti della
vicenda a cominciare dalla disperazione, urlata in tutta la casa, di quella
mattina di dicembre quando il fratellino era rimasto
con la bocca spalancata nello sforzo supremo di respirare mentre il viso
diventava sempre più viola e gli occhi sbarrati dicevano che non stava
giocando. La mamma si era messa a dargli grossi
colpi dietro la schiena mentre le tre bambine, che avevano fatto ridere il
fratellino mentre la bocca era piena di noccioline, s’erano addossate
impietrite al muro. Finalmente il bimbo emise un rantolo cupo ed il petto si gonfiò mentre veniva aiutato con ampi movimenti delle braccia.
Il volto si distese, gli occhi si chiusero nell’abbandono di chi ha riconquistato la vita che poco prima sfuggiva. La mamma ringraziava ad alta voce i santi di cui
era devota quando giunsero gli altri di casa; allora
il suo racconto concitato chiarì alle bambine ancora confuse i momenti appena
vissuti. L’arrivo del babbo però riportò la famiglia nella
trepidazione per via di un rantolo sordo che accompagnava il respiro del
bimbo tanto che fu deciso di rivolgersi subito al nonno senza aspettare la visita
quotidiana che il medico faceva alla figlia all’ora
di pranzo uscendo dall’ospedale. Dopo ci fu un gran parlare. Il tono dava alle
parole che prendevano decisioni un peso che altre più forzatamente leggere
non riuscivano a colorare di speranza. Da allora tutte le volte che il
fratellino tornava da una visita presso uno specialista il racconto della mamma si faceva sempre meno rassicurante anche se più
ricco di particolari. A Marta non sfuggiva l’angoscia
della situazione fino a quando anche lei potette vedere comparire su di un
foglio nero posto vicino ai vetri della finestra il polmone scuro del
fratellino perché ostruito dalla nocciolina che era penetrata durante lo
spasimo di quella mattina, nonostante una valvola - le spiegò il nonno - che
serve ad impedire al cibo di sbagliare strada come invece era accaduto al
fratellino. L’altro polmone - il nonno le indicava - grosso e bianco,
lavorava per due. Il rantolo che accompagnava il respiro era provocato
proprio da quella ostruzione. Un’oppressione penosa prese Marta che non riusciva
a comprendere tutto mentre si parlava di difficili
interventi chirurgici e del fratellino che doveva essere portato lontano. Le
parole della mamma rivolte alle persone che chiedevano disegnavano intorno ai
tentativi per liberare quel polmone una luce livida chiusa in un buio fosco
da cui emergevano figure indistinte recanti strani
arnesi e coltellacci tutti volti al corpicino legato ed immobile su un
lettino. Quelle ombre diventavano sempre più grandi. C’era però chi avrebbe potuto
eliminare il buio che avvolgeva il suo fratellino. Dietro alle parole della
mamma compariva una figura bianca che Marta aveva visto portata in trono in
mezzo a tanta gente che si inginocchiava e chiedeva
la benedizione. La stessa benedizione che era stata chiesta
per il fratellino. La si attendeva prima
della partenza. Durante quell’attesa la
casa si fece più sollevata tanto che, quando per un lungo giorno il bimbo fu
preso da rauchi colpi di tosse, tutti sperarono di trovare nella saliva la
nocciolina, ma il nonno scuoteva il capo perché quel corpo estraneo per
uscire dalle vie respiratorie avrebbe dovuto causare il medesimo spasimo che
durante l’introduzione e a dargli ragione, quando terminò la tosse, fu il
rantolo che riprese cupo e pieno di tristi presagi. Poi giunse un telegramma. Era l’ora del pranzo.
Marta con un grosso ventaglio era impegnata a mantenere vivo
il fuoco in una "fornacella" su cui la
zia arrostiva della carne, gli altri erano a tavola, Sul telegramma mandato
dal parroco c’erano le parole della benedizione. Il babbo le lesse nel
silenzio, poi gli altri. L’immobilità divenne generale e pesante per la
commozione che Marta anche dalla cucina avvertiva, sentì
però la voce del babbo che indicava il respiro libero del fratellino,
poi il grido della mamma. Quando giunse in sala di pranzo
vide il fratellino mangiare calmo e inconsapevole sotto l’osservazione
incredula degli altri. Il respiro rantoloso era scomparso. L’unico a non perdere il controllo fu il nonno
che, giunto come ogni giorno, ripeteva che non bisognava "cantare
vittoria". Nei giorni seguenti il movimento in casa aumentò
gradatamente che i controlli dicevano che il corpo
estraneo nel polmone del bambino non c’era più. |
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