Marta 

 

Resa

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La salita diventava sempre più pesante pel respiro grosso che la faceva ansimare. Un turgore doloroso aveva preso le caviglie e lentamente lungo la gamba saliva ai ginocchi. Si sentiva improvvisamente invecchiata.

Le sfrecciarono accanto due "vespe". Con sforzo si fece contro il muro. "Queste ragazze di oggi!" esclamò indignata. "Ai miei tempi... Ora siedono al bar, indossano i pantaloni, rincasano tardi la sera". Maria avvertiva di non poter approvare certi comportamenti.

"Quattro giovincelle, nate appena ieri, come padrone del mondo. Quanta presunzione! Ci si beffa di chi capisce di più ed ha gli anni che danno saggezza". La stanchezza rendeva ancora più cupe queste considerazioni.

Salendo la donna continuò a pensare alla gioventù moderna ed alle cose che non erano più come prima. Il pensiero andò alla maestra di sua figlia che guidava l’automobile e scorrazzava in "vespa" come quelle giovinette, considerando che quella donna cosiddetta moderna era uno scandalo per il paese.

"La mia Francesca le si è tanto affezionata!", pensò avvilita.

Suo marito, ma solo in un secondo momento e proprio per quei comportamenti, aveva dovuto darle ragione e non prima quando aveva espresso la sua disapprovazione a che la bambina frequentasse la scuola pubblica. Lì c’erano la volgarità ed il dialetto e c’erano le compagne sporche con i capelli infestati dai pidocchi e c’erano tante altre cose sconvenienti. Si vide quando aveva difeso questa sua convinzione e quando in nome della modernità e della democrazia era stata costretta a cedere.

Era sfiduciata dinanzi a visioni che non la soddisfacevano.

Maria aveva sempre temuto i rapidi cambiamenti introdotti nel tessuto sociale. La democrazia è un bene prezioso, come un fiume che nutre i campi, ma esso può anche devastarli. Aprire la vita della società, dopo una lunga notte buia, e farlo senza accortezza è come togliere argini, ripari e spalti alla piena del fiume in un terreno brullo per troppa arsura.

Maria amava la sua gente e si adoperava per alleviarne le sofferenze, ma la vedeva annaspare in quel fiume in piena, roteare scomposta nei vortici, dai gorghi infine inghiottita, e temeva gli esiti di altre avventure, nascosti in una chiusa cortina.

Così avveniva per la donna del bucato a cui la politica aveva dato alla testa. Durante le campagne elettorali si trasformava in un’attivista del partito che prometteva giustizia ed uguaglianza sociale, certa che dopo la vittoria il mondo sarebbe cambiato, le banche avrebbero aperto le casse a tutti, gli operai sarebbero diventati proprietari delle fabbriche. "La ricchezza uguale per tutti", "Non ci saranno più padroni" erano le frasi che la donna le opponeva durante le animate discussioni ognuna delle quali terminava con un risolutorio: "Addà vinì baffone!".

L’amarezza di Maria nasceva dalla consapevolezza di come sia attraente la promessa di una rivalsa o la visione di un destino che finalmente si può cambiare e quanto siano facili le illusioni che sfruttano l’indigenza e l’ignoranza.

Era proprio questa fragilità sociale in cui s’innescava il selvaggio processo di democratizzazione del paese che creava quegli squilibri di cui Maria già vedeva gli avvii.

"Bisogna che tutti comprendano. C’è tanto da fare".

Il suo impegno sociale riceveva nuova forza da queste conclusioni.

 

Giunse a casa con tanti progetti, ma dovette accantonarli perché nella mente presero posto più urgenti problemi. Il marito aveva avuto un’ennesima crisi. Ormai non si alzava più dal letto. I medici ne avevano più volte proposto il ricovero in ospedale, ma l’uomo aveva opposto una tenace resistenza.

"Le malattie si curano in casa!", aveva sentenziato. "Non hai partorito tu qui? Mia madre addirittura un’operazione ha subito tra queste mura". Giustificava così con la moglie la paura di affrontare nuovi metodi di cura.

Maria aveva accettato la decisione del marito afflitta anche da un’indigenza economica che la malattia rendeva più cruda. Ogni tanto buttava giù un bolo d’amaro per la vita che fuggiva, facendole intravedere solo spiragli d’incertezza. Vedeva nell’agire del suo uomo una profonda abulia. Nicola s’era arreso alla vita.

"Non arriverò a novembre!" esclamava a giugno come per cacciare qualche residuo rimorso. E quando quel novembre era passato: "Non arriverò a giugno!".

Intanto i mesi e gli anni passavano e lui si era ridotto ad una larva d’uomo di fuori e di dentro. Vegetava come un giunco alla riva. Quella malattia aveva avuto origine e progrediva proprio per una resa della volontà che poco alla volta aveva distrutto ogni forza interiore fino a che un denso nembo era calato e gli occhi non avevano guardato più innanzi.

"Abbiamo i figli da indirizzare alla vita". La donna aveva cercato di porre l’uomo dinanzi alle proprie responsabilità, ma poi si era accorta che in quella nebbia c’erano anche i suoi figli e c’era lei.

Una pesante cappa calò come nei giorni di afa quando persino le cicale diventano pigre. Maria un po’ alla volta ne fu presa e non ebbe più la forza di reagire. Abbandonò i suoi impegni che le permettevano di esprimere le forze che sentiva dentro. Sacrificava però se stessa a qualcosa che prima o poi l’avrebbe tradita. Presto il marito la lasciò, i figli divennero grandi.

La donna vedeva la sua vita come un terreno franoso che un po’ alla volta scende a valle trasportato da un fiume in piena. Poi quel terreno s’era assestato, ma nel nuovo ambiente i suoi semi non riuscivano ad aprirsi oppure davano miseri germogli. E provava profonda delusione per quel mondo che s’era fatto così diverso e la escludeva.

Questo senso di estraneamento non la lasciò più, anzi si accentuò gradatamente che si staccavano i fili che la tenevano legata alle cose fino a quando si sentì completamente libera. Allora tutto ciò che il mondo produceva, la politica che tanto l’aveva animata, le conquiste sociali che vedevano realizzati antichi suoi sogni, persino un terremoto che aveva devastato il suo paese, eventi grandi e piccoli tutto vedeva come se avvenissero in una luce incerta al di là di un sipario, ombre evanescenti e discrete.

Con rammarico pensava ai suoi figli che vivevano nel roteare frenetico di cose che si facevano tutte in fretta. Aveva accarezzato trepidi sogni per i suoi figli, tutti caduti come gli aquiloni. E lei ad ogni caduta s’era aggrappata a quello che ancora il vento gonfiava e poi, quando l’ultimo era stato abbattuto da una folata più forte, le era sembrato che la stessa avesse portato tante nubi sul sole. Non aveva più guardato in alto. Ventate del tanto celebrato progresso che tutto travolge e presuntuoso mette da parte.

Una volta ai genitori toccavano le decisioni importanti, poi improvvisamente i giovano erano diventati capaci di scelte future senza sbagliare. Anche i suoi figli avevano scelto, da soli. Li vedeva come in un deserto che cambia viso ad ogni bufera. Quelle bufere trascinavano senza scopo se non quello di assecondare il moto più forte. I suoi figli in un mondo che ogni giorno scopriva novità stravaganti. Come se qualcuno stesse lì ad inventare cose strane che presto diventavano normali.

"È la moda, così si fa!". Tutti obbedivano ed erano contenti, dimessi fedeli dietro un simulacro.

E poi c’era una smania diffusa, come se la vita si fosse accorciata. Corse, lotte, affanni... E la vacanza diventava una comune stancata, un viaggio di piacere si trasformava in un giro affannoso. Abitudini nuove, gesti nuovi, possibilità nuove... I suoi figli in questo mondo roteante.

 

Quel giorno nel salutare la figlia sentì un nodo stringerle la gola. Aveva tentato di trattenerla più a lungo come per farle godere l’atmosfera serena che lei respirava, ma la donna non sentiva la calma che regnava intorno a loro, anzi le parlava del mondo al di là del sipario, anzi chiedeva alla mamma di andare con lei. No, il frastuono l’avrebbe assordata, le ombre nel suo silenzio non riuscivano a prendere corpo. Lei sarebbe rimasta lì, salva.

Intanto sua figlia si allontanava per tuffarsi nella bufera di sabbia. Sentì forte il desiderio di difenderla ancora una volta. Il nodo alla gola la faceva ansimare. La chiamò, la richiamò dal frastuono del mondo... La donna ritornò.

"Sta’ attenta, i bambini mi sembrano un po’ pallidi", disse per scusa.

"Al mare si rimetteranno presto".

"Un altro bacio" e la strinse più a lungo.

"Le vacanze finiranno presto". E la donna si rituffò nel mondo fraintendendo.

Il nodo alla gola aumentò ... le toglieva il respiro ... come quel mondo crudele che le rapiva sua figlia.

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