Riflessioni dopo la lettura di Vincenzo
Maria Rippo
L'angoscia che il poeta avverte quando la
tensione verso l'infinito preme contro la umana finitudine
non è sterile pianto bensì stupefatto volo su ampiezze di luce che tormentano perché
non si possono abbracciare tutte, ma che consolano perché in quel volo c'è la
grandezza di quella finitudine. Ecco l'angoscia rippiana, unico complesso sentimento che può avvertire solo
chi, come Rippo, è riuscito ad abbracciare
"tutto intero" il senso dell'uomo.
L'interna tensione nella dialettica di questi due momenti (infinito
e finito) è avvertita solo da chi sente il doloroso bisogno d'infinito, chi lo
"sente" come "pena" dolce che mai placa, "ricchezza
che non elimina lo spasimo", "gioia" che non "ride",
"gelido azzurro". Tutte le poesie sono pervase da questo rapimento
interamente spirituale che è amore verso quella sete d'infinito, amore d'un
sogno, che è luce, al cui fascino il poeta deve fare uno sforzo per sottrarsi,
ma la cui morte non si sopporta, perché è l'unica bellezza dell'uomo, quella
bellezza che il sole non mette in fuga ma esalta. Il
rapimento rippiano però non è distacco dal mondo ma "gioia inconoscibile" "d'avere e di dare a se stessi
senza inutili tributi alla ragione".
Presi dalla forte suggestione che emana dalle liriche di Rippo considerando che egli non è più "nella valle
dove la campagna è falsa" sembra che per lui si sia realizzato un sogno: lo si vede assiso su una sublime vetta come "quell'antico eremita" attingere direttamente"
alla sublime purezza del cielo" per sempre in quel mondo "dove no si
vive di pal0pito e d'angoscia, dove i passi sono puri e la beatitudine
silente".
Se nelle liriche ha stupito il lettore non tanto il senso doloroso
della vita, che è prodotto di ogni profondità di
sentire, quanto il fatto che un giovane ancora
adolescente abbia raggiunto così presto un'altissima spiritualità, bisogna
considerare invece che solo la purezza dell'animo adolescenziale può giungere a
quelle vette quando questo non sia stato inaridito anzi sia alimentato alla più
ricca fonte dell'umanità.
Lo stato d'animo rippiano trova
un'asseverante giustificazione nella simbologia del giardino terrestre in quell'alito divino che sveglia Adamo alla vita dell'essere.
Ma l'evoluzione umana, che è conquista di essere, è
compito dell'umanità intera ed in essa del singolo uomo che deve crescere
faticosamente e faticosamente portare avanti la propria conquista in una
vicenda di dolore, pure questa individuabile nel mito biblico. Allora il dolore
umano si configura come una sublime terribile tensione verso l'essere, lievito
di tutta l'umana vicenda come l'urlo della trascendenza nell'immanenza, il
parto dello spirito dalla materia, come una ferita la cui guarigione
indicherebbe la morte dell'uomo, l'emergere di uno scarto, legge essenziale
dell'evoluzione umana.
Rippo ha avvertito tutto ciò e l'ha espresso con voce
altissima di poeta.
Vedi
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Avvertì il poeta di essere un solitario e lo dice alla musa di Antelucana con cui si lamenta di non avere amici.
Egli si sente "stupefatto fanciullo"
di fronte alla realtà dell'uomo e del mondo "meravigliato" di
avvertire la pena di essere uomini, privilegio di pochi.
Si sentiva vicino a Catullo capace di
abbracciare "tutto intero" il senso dell'uomo.
Egli trova bella l'ora in cui la notte cancella il mondo che non si
unisce alla gioia superficiale. La malinconia nasce da questo senso profondo
dell'uomo che si avverte nelle strade deserte e nei vicoli solitari quando non
ha luce la notte, cioè nel raccoglimento. Egli ama
questo sentimento.
E Jenie è il senso doloroso della vita
quella vita che egli ama al di là di tutti i sogni.
Quando Dio tracciò le visoni dei sogni umani dette
all'uomo il senso dell'infinito della realizzazione dell'essere. Non dette
all'uomo la nostalgia per la terra. Il poeta sente di non amare il mondo nelle
sue oggettivazioni, desidera un ritorno verso il più "profondo
dell'animo" che sente impossibile. Spera di adeguarsi al mondo creato
dagli uomini, ma non ha la forza di credervi "il suo dramma è atemporale" fuori del tempo da cui vorrebbe fuggire
animato dalla speranza di un domani irraggiungibile al di là
delle strade (costruzioni degli uomini) contemplando le stelle, il mondo
creato da Dio. Di Jennie desidera conoscere l'animo,
l'origine della vita dolorosa dell'uomo perché conoscere quell'origine
non fa paura anzi dà la "speranza" si sapere
perché la vita è dolore, saperlo dal passato dell'uomo
Egli è conscio della pena eterna degli uomini che gli uomini non intendono e che cercano vanamente di combattere,
di evadere, di amare la vita perché l'uomo è sofferenza, ma l'uomo-materia.
Si sente unito all'avo che ha compreso il senso doloroso della vita
ed è preso come lui dall'angoscia. Ma la gioia non è
di questa terra non è per gli uomini superficiali. E
il treno è la vita degli uomini e la ragazza è il sogno irraggiungibile cui il
poeta non può parlare perché sulla terra i sogni sono freddi, la gente dorme.
La luna attizza i desideri del poeta, ma sono desideri
di sogni.
La donna dell'elegia è il sogno è la poesia degli uomini antichi,
anche il suo canto è triste. Egli si ricorda quando il
poeta sognava e leggeva poeti antichi. Egli ha amato questa fanciulla
di un amore infelice come si amano i sogni. Egli non ha tradito questo antico sogno. Si sente un solitario. Ama la sera . Vorrebbe ritornare al sogno
Ancora in Serata azzurra ricorda
questo senso d'infinito e il senso triste della vita, L'uomo deve fare uno
sforzo ogni giorno per sottrarsi al fascino dell'infinito che è guida all'eterno
al di dietro delle imposte sbarrate cioè nel proprio io.
Il senso dell'infinito è un brivido d'ombra, è atemporalità
disumana che mette a nudo la ragione e mostra la
limitatezza della ragione e fa soffrire. Bagno di gelido azzurro
poiché non c'è azzurro sulla terra. Quel compagno eremita è un ideale
del suo stesso bisogno d'infinito. Tutto si sopporta non la morte di questo
bisogno. Unito è a quel compagno. Egli avverte di essere
inutile, d'essere incompreso, umiliato, perché ha scoperto la colpa degli
altri, il non sentire questo bisogno d'infinito. Egli si sente vivo in questo
suo sentimento, ma vivo inutilmente. La sua ricchezza non elimina lo spasimo anzi tutti gli altri non avvertono la luce, ma gli
altri vengono consolati nella miseria. La verità è pena continua perché è
tensione che non si placa, ma che consola perché è la grandezza dell'uomo,
quella bellezza che il sole non mette in fuga, ma esalta.
In Alla fontana, il poeta è ancora come in sogno
in un rapimento che è tutto spirituale (c'incamminiamo senza carne i un'aria
impalpabile al di fuori del cielo consueto) che è luce. Questo rapimento
spirituale non è distacco, ma gioia inconoscibile d'avere e di dare a se stesso senza inutili
tributi alla ragione. Ci si allontana da questo tormento spirituale nella valle
dove tutto è più facile, dove l'angoscia si smorza lungo i facili viali della
città, dove la campagna è falsa. Così la terra natia è il mondo dove i passi
sono puri, il mondo dell'ideale. (1989)
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Quando canto gli anni, che a grappoli se ne vanno senza che noi li inseguiamo, non m'importa di morire; ma di te ho nostalgia, e dei giorni che ci videro forti lungo la strada affollata nella nebbia, e del freddo che non ci consumò. V. M. Rippo |
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Quando un moto dell'animo riesce ad
effondersi nelle immagini dilagando dall'una all'altra e così facendo riesce
ad impregnarle in modo che esse diventano non solo
lo specchio di quel moto, ma lo stesso sentimento o , come dice Croce, quel
"sentimento contemplato"; quando i versi che comunicano tale
operazione dilagano nell'animo del lettore da provocare un turbamento che non
è affezione violenta, ma multiforme echeggiamento
di quel sentimento come se esso si fosse dissolto nello scintillio di
impalpabili vapori che salgono là "dove è cristallina e perenne
immobilità"; quando t'accorgi che quel sentire, mondo di ciò che è
proprio d'ogni singola individualità, è pure il tuo sentire, allora quella
poesia è vera altissima poesia. |
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