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Una rivista per una libera cultura
Intervista al direttore di "Riscontri"
Mario Gabriele Giordano
È difficile fare un discorso
culturale nella misura in cui è difficile il mestiere dell'intellettuale
soprattutto oggi quando questo campo è soggetto a pesanti infiltrazioni di
dilettanti che mettono la propria pochezza alla sicura ombra di qualche
bandiera. Ma la difficoltà non sta nel fatto che non
sia possibile smascherare questi cortigiani della cultura quanto nel fatto che
il nostro tempo forse proprio per il gran numero di questi giullari troppo
facilmente inalbera le comode bandiere delle certezze trasformando il chiaro ed
essenziale dibattito culturale nelle ridicole giostre della pseudocultura.
Or bene, una rivista che inalbera "la fede in una
cultura che non sia strumento in rapporto a fini prestabiliti,
ma coscienza critica della realtà; non filiazione di precostituite
ideologie, ma matrice di fatti e di comportamenti anche etici e politici"
affronta per le ragioni suddette un compito arduo ma che è nello stesso tempo
un diritto e un dovere di chi si propone di entrare correttamente nel dibattito
culturale. Dovere di entrare nella lotta per difendere il
diritto alla ragione che indaga, ed al progresso che nasce proprio dal
riscontro con altre indagini liberamente effettuate.
Su questa linea da dieci anni si muove
"Riscontri", la bella rivista irpina che
nata nel piccolo ambito culturale di una provincia, ha saputo affermarsi in
ambienti di alto livello proprio perché ha saputo
superare le angustie della pseudocultura.
Ora questa rivista inizia il suo decimo anno con un numero
monografico su Benedetto Croce a cura di Mario Gabriele Giordano e Toni Iermano, innestandosi in un articolato discorso non privo
di note polemiche che il mondo culturale sta portando su uno dei maggiori
rappresentanti della cultura di questo secolo.
Per saperne di più abbiamo rivolto alcune domande al
direttore della rivista Mario Gabriele Giordano.
D.:
Perché un monografico su Croce?
R.:
Un monografico su Croce si spiega in ragione al particolare interesse che
oggi riveste un discorso sul pensatore napoletano il quale dopo aver dominato
per decenni il campo della cultura italiana, ha subito un'artificiosa rimozione
in concomitanza con l'avanzante egemonia dell'ideologia comunista. L'attuale
crisi di tale ideologia consente finalmente una serena rivisitazione della
dimensione culturale e civile del personaggio.
D.:
Quando ha dibattuto un problema, "Riscontri" si è sempre distinta per
la partecipazione dei maggiori studiosi dell'argomento. Quali sono quelli che
parteciperanno al discorso su Croce?
R.:
Si tratta in genere di specialisti che vantano un autorevolissima presenza
nel campo degli studi crociani e che vanno da Franchini ad Alfieri, da Morpurgo
Tagliabue a Corsi, da Stella a Terenzio, al
presidente della società robespierrista, accademico
di Francia, Jacques Godechot
e che hanno tutti fornito validissimi contributi che concorrono a riproporre in
termini problematici gli aspetti fondamentali della personalità e dell'opera di
Croce.
D.:
Nell'impianto interdisciplinare della rivista, una specificità sono i numeri
monografici che rappresentano l'approfondimento del discorso culturale in
rapporto a temi particolari. Quali sono gli argomenti finora affrontati?
R.:
Effettivamente i fascicoli monografici pubblicati da "Riscontri"
hanno di volta in volta approfondito temi particolari attraverso i contributi
forniti da specialisti e conviene ricordare che in genere essi sono stati
accolti come significativi punti di riferimento nelle relative bibliografie. I
temi da essi trattati nella storia ormai decennale
della rivista sono stati: Alfonso Gatto, il Nichilismo, Virgilio, De Sanctis, Michele Pironti, la
poesia italiana moderna. Non vanno poi trascurati i vari supplementi che hanno
riguardato problemi di medicina, la poesia del Rippo
e inediti del Croce.
D.:
Significativa perché stimolava risposte solo in ordine strettamente letterario,
è l'inchiesta sulla poesia italiana che "Riscontri" propose nel 1987
ai maggiori rappresentanti della cultura italiana. Quali ne furono i risultati.
R.:
I risultati sono stati certamente significativi per la massiccia presenza di
autorevoli critici e poeti come Angelini, Calabrò, Guidacci, Momnterosso, Moriconi, Piromalli, Nigro, Stella, Santoro per citare solo alcuni
dei 54 paertecipanti, ma anche perchè ha saldato un
discorso che era iniziato con un'altra inchiesta promossa nel 1955 dalla
rivista "Poersia nuova" diretta da Calandra
e Frattini e che quindi ha coperto un ampio spazio
ideale e temporale della poesia contemporanea italiana.
D.:
"Riscontri" è fuori dell'ambito accademico e libera da
ideologie precostituite". Ha incontrato difficoltà in
relazione a questo coraggioso programma?
R.:
"Riscontri" nacque col dichiarato proposito di costituire una
presenza di autentica libertà nell'ambito della cultura nazionale quando questa
era fortemente condizionata da egemonie e da camarille di vario genere e credo
di poter affermare che è rimasta fedele
a tale programma. La coerenza mostrata in questo senso e la serietà scientifica
di cui ha dato costantemente prova, le hanno valso una
progressiva attenzione e un progressivo rispetto anche della cultura accademica
e comunque istituzionalizzata che, attraverso suoi autorevoli rappresentanti,
ha anzi spesso onestamente riconosciuto che quella cultura, per ragioni evidenti,
non potrebbe mai produrre lo spirito e la formula di "Riscontri".
D.:
Più precisamente, qual è lo spazio che "Riscontri" s'è conquistato in
10 anni di attività?
R.:
Lo spazio che "Riscontri ha conquistato nei suoi dieci anni di vita è,
in sintesi, quello che coincide con la sopravvivenza dell'onesta intellettuale
che consente di giudicare la realtà civile e culturale non in rapporto a
interessi particolari o a schemi precostituiti ma in rapporto al libero
esercizio della propria intelligenza critica. Se poi vogliamo attribuire al
termine "spazio" anche un'accezione strettamente geografica, diciamo che "Riscontri" è presente in tutte le
regioni italiane e in diversi paesi stranieri con proprie redazioni come
Francia, Canada, Danimarca, Spagna, Stati Uniti.
D.:
Riferendomi alla prima parte della Sua risposta Le richiamo un'opera che parla di trahison
des cleres
nel mettere in evidenza le responsabilità degli intellettuali come motori della
storia. Cosa può dire in merito?
R.:
Si, gli intellettuali dovrebbero rappresentare il motore della storia o
almeno, come generalmente si dice, la coscienza critica della realtà anche
civile e politica. Ma dobbiamo costatare che di fatto
essi sono invece molto spesso a rimorchio della storia o addirittura di
interessi particolari di natura economica o politica. E bisogna aggiungere che,
data questa loro collocazione, dispongono di mezzi che
consentono una sistematica mistificazione della natura, e del ruolo della
cultura.
Noi ci auguriamo che questi uomini "a rimorchio della
storia", sottomessi alle "forze" che pur produce la storia (ma
che sono improduttive perché senza tensione verso forme migliori), siano solo
il necessario negativo affinché si esalti ancor più il vero compito dell'uomo,
che è invece autore di storia rispondendo a quella tensione che è propria
dell'umana natura, che porta l'uomo sulla linea ascendente del progresso per
realizzare in sé e per gli altri la maggiore quantità di essere"
possibile. E ciò avviene per mezzo della cultura
correttamente intesa e praticata.
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