Analisi di opere letterarie
La poesia di Rosa Berti Sabbieti
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I passi del tempo (Venezia, Edizioni del Leone, 1992) |
Passi del Tempo, passi di un’anima, biografia poetica che già si annuncia nella esplosione di una "rosa canina" sui "rovi
fitti e sanguigni" o in quella "corsa che vorrebbe essere
sfrenata" da e su luoghi, che sono nel medesimo tempo "confine
esiguo" e "quinta", e, quasi ad unire sortilegio a sortilegio,
sono incantati evocatori del fascino maliardo della Sibilla Cimmeria.
Così
L’opera è insieme un’indagine sul patrimonio accumulato ed una epifania dello
spirito scandita col ritmo delle stagioni umane. C’è l’età delle corse su larghe praterie", quella dei Biglietti
d’amore infantile, ariosi e teneri, cifrati da un raggio di luna nella
stanza o da mani in preghiera, "due petali stretti di tulipano"; e
preghiera, l’età delle Canzonette, giuliva e vagheggiante, come
"l’inizio di primavera", segnata dalle
corse "tra papaveri e fiordalisi", quando il sogno è totale
appro-priazione ("tutto era nostro
anche l’ultima stella") ed esperienza piena: è Icaro che fiammeggia
sull’azzurro chiaro" ed è "Ulisse tra canti di sirene e l’onda
alta"; c’è infine il magico e luminoso tempo "aperto ad ogni
direzione", intreccio di luce / che pende da sole e luna" de La
prima giovinezza.
Nel meriggio invece (Pallido mezzogiorno), quando i sogni
cadono insieme alle stelle d’agosto e il 1ibro s’impone in ordine di studio o
di scelta", l’incontro col dolore e la forza di certe "sagome
ferme" conducono alle "essenziali scoperte" per le quali 1a lucciola nera diventa
luce" e "il cane bastardo azzoppato una
luce" e "il cane bastardo azzoppato un povero cane familiare". Difatto il fuoco che brucia i sogni ne distrugge solo
"l’ombra" perché di essi si è nutrito.
E viene l’età dei frutti (Après-midi),
quando dinanzi ai tempi franati come "sogni di carta" ed alle
"false allegorie della luna", nella tensione di ricerca appagante si
scopre la carica nucleare di un semplice tutt’intero, un alfa-omega, anche in un "vicolo"
"né bello né brutto" i cui doni ("fiori del buio e zampilli di
sorriso") si palesano allo scandaglio della poesia, "soffio suono
sospiro sussurro / del sangue che si articola di luce".
In questi momenti quale atteggiamento assumere, quello della
"vecchietta" "con la sua piccola storia di donna sola" che
porge "un ramoscello di spino bianco fiorito" alla "Vergine di
Loreto / da cui brilla una luce che consola", oppure quello che interroga
la "Sfinge del mio destino" dal "volto di pietra"? Gli
approdi spirituali, le rinascite anche se solo di un giorno, capovolgono i
normali parametri ("Il reale ho frantumato all'imbarcadero / con un sasso
lanciato sul mare") e fanno emergere la pregnanza di certi momenti
fondamentali o permettono di scoprire un volto nuovo nel "paesaggio d’ogni
giorno".
Nella ricchezza dell’ultima stagione (da La
sera) al pensiero che indaga alla ricerca di più vaste prospettive si
palesano forti contraddizioni ("C’è qualche dubbio che ti azzanna / ma
anche un disegno che ti sfugge"). Il mistero del dolore e del male pone
tremendi interrogativi, il medesimo dilemma che percorre i libri sacro. Allora
ci si può comporre negli approdi della "piantina piccola" ma anche
essere dilacerati dalle fitte dell’incapacità a comprendere.
Nelle liriche di quest’ultimo gruppo si
avverte un respiro potente che si dilata ad accogliere l'esigenza di una verità
che sfugge e che si restringe nel dubbio nella paura, sistole e diastole delle
prerogative permesse all’uomo. Nella bellissima lirica che chiude questa parte (Il
tempo della madre) Dio e la madre sono uniti, al
termine del cammino, a sorreggere il desiderio di fuga e a sostenere quel
tremare "senza arroganza e senza orgoglio" dinanzi a "tanta
verità".
La prima sezione dell’opera ha tracciato una biografia spirituale,
la seconda ne precisa la mappa in una sorta di affettuosi
colloqui con persone, luoghi, eventi della vita o semplici elementi della
natura che sono gli intestatari delle "Lettere respinte al mittente",
ma che soprattutto sono enzimi, coaguli, segni vivi, comunque punti significativi
del percorso precedentemente tracciato.
C’è la voce della terra natale, la montagna d’origine, sintesi ed
indizio di doti primigenie (Alla Sibilla appenninica) e c’è il
patrimonio familiare: la miracolosa fecondità materna ("Due volte sono
nata da te e per te", Alla madre) e la profonda traccia paterna
("Ancora oggi, padre, sono albero-uomo / e un grande
piccolo animale" Al padre); c’è l’incontro con le avversità,
l’esperienza che rende forti ("ho imparato a vivere / tra il fragore delle
rapide [...] ho preso quasi gusto del combattimento /
che sprona alla vittoria") e sostiene la speranza estrema "che dopo
il corridoio nero della morte / lampeggiante la sorte si farà futura" (Al
cobra); e c’è il doveroso tributo alla città natale, la terra dove ognuno
"ritorna pellegrino d’amore" perché essa circoscrive i luoghi
fondamentali della maturazione umana ("la madre e la terra mi prendono per
mano", A Camerino).
Segue una serie di significative metafore
di altrettanti momenti evolutivi (Al cipresso, Al melo, Al ponte, Al
vento, Al brivido) che indicano una traccia della umana epistemologia.
L’avvenuta purificazione, la metamorfosi della "farfalla" che si
nutre "del colore del fiore al sole / anche se
permane il giorno affogato nella nebbia / o gelato dallo schiaffo della
tramontana", permette di sintonizzarsi sulle alte frequenze della storia
ignota "dei mio gene antico" e scoprire lontane ascendenze rifratte dal prisma dei tempo (Al mio gene antico) o portate
dalle voci della natura e dei poeti (All'eco), oppure captare sulle onde
della memoria una eredità più vicina (A nonna Fiorenza, A Roma).
In questo crogiolo s’immerge la poesia che è "lampo che
spezza la notte", è "brivido di ricognizione", è "volo tra
ignote latitudini" (Alla poesia) e si fa grido sulle brutture e sulle paure
dell’uomo (Alla guerra, Alla morte) perché è la poesia che può rilevare
all’intuizione ciò a cui non può giungere la razionalità.
Solo nella pienezza del "tempo nuovo" nasce un altro
senso del tempo ("vedo un salto del tempo oltre il tempo per più essere e
più divenire") fino alla certezza finale: "anche
in un deserto esilio pianto ombre perché diventino luce" (Al mio tempo
nuovo). Questa età dell’oro dell’uomo maturo, "tempo di fughe ma pieno
d’armonie", quando ci si scopre "piccolo corso d’acqua" che
nasce "nell’eterna goccia del mare" o anche "ciabatta da
buttare" ma dove "il piede meglio si riposa e corre", è il tempo
in cui si disvela la vera ricchezza della vita (Alla
mia vecchia giovinezza). Ed è il tempo in cui si realizza il richiamo
dell’Apostolo ("Non spegnete lo spirito") perché è col travaglio
delle avversità e dell’esperienza che si tien desto lo spirito. E ora, quando cioè
si è percorso il tragitto tutto intero, può avere pregnanza la preghiera A
Dio: "Rebus adversis obstantibus
fac ne te unquam obliviscar".
La poesia della Berti Sabbieti,
che nelle opere precedenti aggrediva "con passione e furore una realtà del
mondo amara e crudele" (G. Barberi Squarotti) e
diventava protesta sorda e indomita persino gridata (P. Ruffilli),
sfocia nell’estremo messaggio-testimonianza di questa raccolta. In essa diventa efficace strumento espressivo quell’irrompere dell’immagine" che tanto piaceva a
Margherita Guidacci, la poetessa fiorentina legata
alla Sabbieti da una lunga amicizia molto sentita e
pertanto indimenticabile" (F. M. lannace, ed., Etica cristiana e scrittori del Novecento,
Stony Brook, N.Y., Forum Italicum, 1993: 106).
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In "Forum Italicum", v. 28, n. 2, 1994, pp. 475-477. |
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