Rime
sparse nel tempo
Alle radici
A Solofra
Alla
terra natia I Raccontami madre mia la tua storia lenta. Mostrami in te fotografati i giorni, gli anni, i secoli. Nascosto è nelle ossa il tuo passato marino. Vive ancora nei tuoi occhi il fuoco dell'aria che dai fondi azzurri ti portò. E divenisti nuda squama terrestre. Poi venne la linfa che modellò i fianchi tuoi e i seni. Dimmi quando sentisti fremere la pelle quando ti apristi alla vita. In qualche recondito accesso avrai ancora il ricordo del manto di gelo che le tue membra coprì e dei boschi e dei fiumi che scesero a valle sontuosi abiti e vene di vita. Era la tua consistenza ancora giovinetta quando conoscesti tracolli, ire, placide invasioni poi l'età matura venne e si consolidò la tua geografia. Fosti d'un fiore la corolla in attesa del suo fecondatore. II
La tua chioma selvosa venne dal mare e s'aprì pietrificata al cielo che le regalò il velluto e la rugiada. I petali ebbero seni e valli e si posero a barriera tutt'intorno mentre il fiore sulla pianura s'adagiava. E attese i millenni prima di ricevere la fecondazione della storia. III
Mia terra come Venere nata dalla spuma del mare nei tuoi monti è nascosta la tua storia vetusta nei budelli quella del viso Il respiro sa come fece a darti il manto che verde ti rendeva. I tempi tuoi lunghi videro pastori villosi prendere stanza nei tuoi risposi videro bere alla candida linfa fieri guerrieri dalla fibula bianca placidi coloni di vigne e d'oliveti qui divenuti. Sulla verde d'alberi vallata poi bianco di morte un velo fu gettato. Al suono di scudi ed alabarde la conca si svegliò ch'era addormentata un seme germogliava che forte ti faceva. Eri piccola fra tante ma unica sola nascosta. Sapesti bere alle tue radici vivere i tuoi tempi leggere la tua geografia e divenisti forte e coraggiosa idolatra genuina fedele dei tuoi santi fiera come il tuo dio. Nella lentezza dei secoli come furia animò le tue vene la febbre del guadagno la voglia di grandezza la forza del sapere, come aquila che salda gli occhi al sole guardavi lontano come belva lottavi il monarca come rude artiere costruivi la tua immagine.
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Paese
mio Soffro a guardarti, terra mia. Mostri assassini ti hanno assalita. Avidi fauci hanno divorato il grano, la vigna, il castagno. Hanno strappato le radici con le mani d'acciaio penetrato la terra umida e calda che mandò fumi d'impotenza.
Non erano venuti come esercito nemico per far guerra ai campi alle selve alle querce ma per frangere ataviche catene.
Hanno scavato per piantarvi la nuova civiltà.
E gli artigli si conficcarono nella tua carne traforarono le ossa tue graffiarono un nastro d'asfalto sulla tua pelle bruna e soda perché vi penetrassero arpie fameliche. Ad una ad una violarono le tue membra rigogliose e il sangue fluì dalle vene che ora mandano scoli nauseabondi quelli d'un essere in cancrena.
E il tuo corpo rigoglioso, ove il bosco cedeva alla pianura vellutata e l'abetaia giocava sul pendio scosceso ora ha rughe e squame e segni di vecchiaia.
Il tuo respiro era pregno di fiori di primavera di fresca brezza di erba di rugiada ora in sé alita la morte.
O terra mia quando eri pieve quando fervevi di vita artigiana o quando i tocchi delle ore segnavano la vita valligiana tu avevi la carezza dell'aurora il riso della luna dei tramonti il bacio, avevi il canto degli uccelli la danza delle lucciole di sera alla brezza nelle fratte e le stelle ti dicevano parole. Era per te il cielo lo scroscio dei ruscelli le nenie dei boschi e delle selve.
Ora hai il corpo divorato non senti la voce della notte nei sogni agitati dai pensieri.
Ora hai una selva di cemento non vedi l'azzurro dei tuoi giorni presi nel lavoro. Invano nasce qualche fiore l'usignolo canta invano spaurito invano vola una farfalla malata.
Tutto quello che hai orgogliosa sono croci conficcate nel tuo corpo un dì turgido e vitale e tra queste i tuoi figli indaffarati a produrre produrre e poi produrre a lottare vegliare agitarsi per produrre produrre ancor produrre. |
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Sera
a Solofra Lentamente la mia valle avvolgi carezzi i monti sui campi vai giungendo tra le case. Dal tuo torpore pian piano tutto è preso e s'addormenta la mia gente. E tu consegni alla sorella notte questo paese addormentato che insegue nei sogni le sue fole.
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Paese Sottile un manto sul dorso del monte spigoloso un borgo antico intorno ad una chiesa c'era una volta. Tra case civettuole non più protegge la campana sul poggio guarda e sorride un forestiero e la valle in basso si chiude pesante nell'ultima luce.
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La
mia valle È nel cavo di questi monti che per me s'ammantano di verde che io vivo.
Carezza il vento dell'ovest i fianchi e le cime bacia il sole scioglie la bruma
e si riempiono queste cose vuote.
Il tempo invidia le mie sere e le mie notti. perché io vivo tra i miei monti.
Per me si risveglia la brezza d'aprile e all'alba depone sul prato di fine erba tessuto che chiama le membra a posare la guazza, per me coglie il velluto e la seta la mia valle il rosa pel cielo il respiro sottile per cullare il grano maturo.
E desta i sapori più raffinati, le note più dolci, dei colori i toni più delicati sceglie,
e m'invade m'inebria mi penetra tutta la mia valle suadente mi culla.
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