Solofra, problemi
Necessità di
ampliare la promozione culturale
Solofra del benessere vien su paga della sua floridezza, giustamente orgogliosa
del suo essere, ma anche inconscia della sua storia e non pochi pensano che
questa nostra meravigliosa attività industriale, che è venuta dal più profondo
della nostra storia, sia l'unica cosa che abbia
prodotto il paese, oltre al governo feudale degli Orsini e alla stupenda
Collegiata impreziosita dai dipinti del Guarini.
Scoprire che nella nostra valle, insieme
al commercio, anzi proprio da questo determinato, fiorì una cultura e vi furono
attività che abbracciavano i campi più vari, significa
comprendere il senso del nostro essere.
Il nostro paese non fu
come tanti di questo nostro sud addormentato nel sonno secolare
dell'apatia e dell'inattività. Su di esso il tempo,
nella sua sonnolenta avanzata, "non ha deposto alcuna polvere.
Ha conosciuto, invece, Solofra la
vivacità di due non lontani centri di cultura e di vita economica, Salerno e
Napoli. Anche quando si viaggiava con la velocità del
mulo o di strade che s'inerpicavano sui monti per ridiscendere ripide, ma non
comode a valle, questi centri furono uniti a noi da frequenti viaggi resi
necessari dal commercio.
Allora, insieme ai prodotti, si portavano
via da Solofra anche giovani desiderosi di conoscere e progredire, che, poi,
riportavano in paese una ricchezza diversa da quella dei mercanti.
Perciò i solofrani ebbero sempre,
accanto alla prima ricchezza, anche la seconda, la ricchezza dell'intelligenza
fecondata dalla cultura, della mente aperta a nuovi orizzonti, del sentire non
rozzo, del cuore che non si spaura, la ricchezza del
coraggio che non conosce ostacoli, della forza che non si perde
in inutili sussulti, ma che prende vigore dal desiderio della riuscita. Anche
se questi giovani portarono fuori il potere del loro ingegno e in altri luoghi
deposero il frutto, del loro operato e altrove
divennero famosi ed apprezzati, essi non si staccarono mai definitivamente dal
paese di origine, ove avevano la casa avita.
Solofra vivrà di riflesso la vita
culturale dei suoi figli, si gioverà di essi, si
aprirà agli orizzonti che si schiudevano nelle città. Da Napoli, per esempio,
giunsero dietro al Guarini le innovazioni pittoriche della scuola napoletana. E nel settecento, quando la capitale del Regno sarà scossa
dai sussulti culturali europei, tanti solofrani ne sentiranno il fascino.
La nostra antica attività, dunque,
sostenuta dalla nostra felice posizione geografica, di una conca aperta verso
gli sbocchi dell'ovest, ci salò dalla generale arretratezza, e dai drammi di
povertà e di incultura degli
altri.
Tanti figli illustri ebbe
Solofra che a poco a poco, trasformarono in tradizione ciò che avevano trovato
nel centro maggiore. Abbiamo, così, la tradizione giuridica dei
Ronca, dei Maffei, dei Murena, dei Giliberti, dei Landolfi, quella
letteraria di Fasano, ancora dei Giliberti con Honofrio
e Antonio, quella medica ancora dei Fasano e di Leonardo Santoro, quella
scientifica di Matteo Barbieri, di Marianna Vigilante e di Gregorio Ronca,
quella artistica di Francesco Guarini e Matteo Vigilante, quella religiosa dei
tanti vescovi, abati e presbiteri che salirono i più alti gradini. Tutti
costoro permettono a Solofra, di avere una storia propria, che non sia solo quella della famiglia feudale con la quale entra ed
esce
Noi, invece, possiamo addentrarci in
qualsiasi periodo della nostra storia e sempre troviamo una messe di uomini di campi dello scibile da essi percorsi. Possiamo
arrivare al regno di Federico II quando troviamo una
comunità che lotta contro il potere feudale già allora avvertendo, quando in
tutta Europa il sistema stava morendo per il suo intrinseco carattere
antimercantile, e quando senza difficoltà troviamo medici o religiosi o notai
che già allora emergere nella pur limitata società di allora che non ancora si
era arricchita degli innesti del secolo XIV.
Crediamo che tutto questo
oneroso passato non debba restare ignorato e rischiare di perdersi
dietro le ruspe del presente. La temperie post-tecnologica del mondo del
computer deve alimentarsi di quella linfa.
Conoscere meglio la nostra storia è
gratificante, ma anche utile e necessario. Essa ci mostra che la ricchezza
economica vive in simbiosi con quella culturale: l'una vive e si sostiene della
forza dell'altra anzi la seconda dà il substrato in cui la prima possa trovare
linfa per non esaurirsi.
È sempre stato così d'altronde.
Purtroppo questo binomio sembra aver
subito un'atrofizzazione di una sua parte per un
eccessivo sviluppo dell'altra, le due ricchezze oggi non sono direttamente
proporzionate, anzi si assiste ad uno spregiudicato disprezzo, ad una tracotante
spavalderia nel disprezzo di ciò che la cultura può
apportare all'economico.
Per non sembrare astratti facciamo un
esempio, ma avvertiamo che le esemplificazioni possono essere molteplici e le implicanze imprevedibili. Nell'attività economica nella
quale Solofra va giustamente orgogliosa ci vuole imprenditorialità, coraggio
apertura mentale, chiarezza di vedute, possibilità di innestarsi in un processo
che si protende prepotentemente nel futuro per essere domani già passato. È
necessario saper far fronte ai rapidi cambiamenti, saper
comprendere i tempi così veloci.
Tutte queste capacità non si acquistano
gratuitamente. È ormai finito il tempo in cui l'artigiano cuoiaio
poteva rimanere ignorante poiché aveva appreso dal
genitore il mestiere, che a sua volta lo aveva imparato dall'avo ed egli lo
avrebbe trasmesso, identico, al figlio e questi al nipote. Allora era possibile
questo lento passaggio, in uno stereotipato andare di padre in figlio, perché
la lentezza dei tempi lo permetteva. Nel passato le tecniche di concia
rimanevano le stesse per anni, così pure le modalità del commercio. Oggi la
velocità si è impadronita di tutto. Non si è ancora spento l'eco della
rivoluzione tecnologica che ha messo fuori uso i
vecchi macchinari delle antiche concerie, che già i moderni macchinari si
rivelano inadeguati perché non programmabili con il computer. E con la tecnica corrono anche i sistemi di concia, le
richieste del mercato, gli sbocchi del commercio, la gestione manageriale
dell'industria ed infinite possibilità si prefigurano a volte inimmaginabili
solo ieri.
Noi ci auguriamo che il processo di
promozione culturale di cui abbiamo auspicato l'evento
segua la rapida ascesa dello status economico e che nasca soprattutto da un
intimo bisogno di miglioramento e da una convinzione precisa.
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Su "Il Campanile", 1988. |
I problemi dell'inquinamento
Alla scadenza della proroga della legge
Merli sono state chiuse a Solofra altre concerie non ancora in regola con detta
legge che da dieci anni tutela il cittadino dall'inquinamento industriale delle
acque e dell'aria.
Quella della concia delle pelli è
un'attività che anche quando venivano impiegati
prodotti naturali, ha sempre provocato il problema delle acque di scarico che è
la parte più vistosa ma non la sola dell'inquinamento di questo tipo di
industria, ma è con l'uso dei prodotti chimici che questo problema è divenuto
non più occultabile né procrastinabile.
Eppure le concerie costruite da quando è
andata in vigore la su citata legge avrebbero dovuto
tutte avere le vasche di depurazione delle acque di scarico e se ciò non è
successo non è colpevole solo il conciatore che non ha decurtato dal suo
profitto la pur forte spesa per provvedersi del proprio sistema di depurazione.
Il problema dell'inquinamento solofrano non si può ridurre alla semplice
applicazione di una legge, esso investe, invece più vasti parametri, né è il
solo della complessa realtà industriale.
Dobbiamo considerare l'alto costo degli
impianti di depurazione richiesti per le concerie solofrane, ma l'inconveniente
solofrano si sarebbe potuto risolvere cooperativisticamente se da noi lo spirito consorziale non
avesse difficoltà a diffondersi. Così non si può in coscienza non ammettere che
c'è stata superficialità e leggerezza fin dall'inizio
nell'affrontare i problemi dell'inquinamento, che s'è fatta la politica delle
"pezze", del "tira a campà" e che
ci si è limitati ad affrontare quotidianamente i problemi senza inquadrarli in
più ampie visioni funzionali.
Possiamo anche tentare una spiegazione
di questa mentalità da ascriversi a quella egoistica
tracotanza a quella idolatria del guadagno che ha caratterizzato da noi
l'artigiano e il mercante prima, l'industriale e commerciante poi, mentalità
che ora deve fare i conti con problemi di ordine socio-ecologico. Se
consideriamo, che, poi a Solofra l'attività conciaria si svolgeva per lo più in
un ristretto contesto abitativo-familiare
con locali ubicati presso le abitazioni ci rendiamo conto quanto questo tipo di
convivenza impedisse qualsiasi oggettivazione del problema. Quando, poi, i
moduli di una tecnologia avanzata in piena era
post-industriale hanno rotto questo schema di vita ci si è trovati impreparati
alla nuova realtà
È dunque, uno scotto di mentalità che si
paga mancando da noi una "cultura dell'industria".
Con questo non vogliamo disconoscere le
grandi cose che sono state fatte che le concerie della zona industriale hanno
le loro vasche di depurazione o i filtri per i fumi e mandano le acque che
hanno subito un primo processo di disinquinamento nel depuratore comune
costruito a valle, ma bisogna pure dire che esistono
ancora concerie nel tessuto cittadino che non hanno voluto o potuto trasferirsi
nella zona industriale e che certo non hanno adeguati mezzi disinquinanti.
Per comprendere la complessità del
problema non si deve pensare che trasferendo le concerie nella zona industriale
si sia risolto il problema dell'inquinamento, poiché se con la delocalizzazione il paese viene
liberato dalle industrie e le stesse sono messe in condizioni migliori di
igiene e di uso dei servizi, d'altra parte non si deve dimenticare che tra la
zona industriale e quella cittadina non c'è alcuna demarcazione anzi quest'ultima sta letteralmente assalendo la prima che quasi
si difende arrancando fin sulle parti alte dei monti.
Purtroppo abbiamo un'area comunale limitata, ma certe zone cuscinetto per il verde e per i
servizi potevano essere rispettate quando ciò era possibile cioè con una
diversa politica invece di costruirvi nuovi complessi industriali che sono ad
un tiro di schioppo dai moderni complessi residenziali.
La mancanza di una "cultura
dell'industria" ha fatto anche perdere un'occasione
storica intendiamo quella del terremoto se la ricostruzione del quasi
80% se non oltre del paese è avvenuta "in loco" invece di creare nel
centro storico quegli spazi necessari che sono piazze, giardini, strade ampie
che avrebbero potuto dare alla cittadina la possibilità di difendersi, almeno
in questo modo, da quei condizionamenti cui la realtà industriale
necessariamente la costringe.
C'è da considerare, infine, per
un'ultima conferma della complessità del problema che il grosso impianto che
nella zona di San Severino avrebbe dovuto trattare
biologicamente le acque già depurate a Solofra, impianto che entra nel
faraonico progetto del disinquinamento del golfo di Napoli non ancora è stato
realizzato. Se allora il povero conciapelli è punito
o perché non ha costruito le vasche o perché pur avendole non coinvoglia le acque in una irraggiungibile
zona industriale, chi punirà gli organi colpevoli di non aver costruito il
grande depuratore biologico di cui dicevamo?
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Sulla stampa locale:
"Il Campanile". |
I problemi della ricostruzione
Tutti
sanno che la speculazione edilizia consiste nel costruire in modo irrazionale e
senza ordine. Essa ha permesso il sorgere di quartieri tutto cemento, tutto un susseguirsi di palazzi, gli uni accanto agli altri,
dove gli spazi carenti, per verde pubblico o per altri servizi, li condannano
ad essere solo "quartieri dormitorio", dove la vita si spersonalizza,
tutto diviene amorfo, uniforme e senza vitalità.
A
Solofra il boom edilizio c'è stato, ma per fortuna non c'è stata speculazione
edilizia come descritto sopra.
Ci intendiamo,
però. È vero che non ci sono i quartieri dormitorio, ma una curiosa
speculazione edilizia sta avvenendo o è avvenuta a
Solofra. La potremmo chiamare la "speculazione individuale" di
piccole costruzioni che, sommate tra loro, portano alla costituzione ex novo di intere zone abitate che vengono ad avere le stesse
carenze dei quartieri delle cinture metropolitane.
Mi
spiego.
Il
singolo cittadino a Solofra costruisce la propria casa, una
"villetta" preferendola al quartino nel condominio centrale, si
trasformano case coloniche, stalle, si inventano nuove
costruzioni addizionando e dividendo gli indici in una bellissima danza
matematica. E tutto questo "può" essere
legittimo e legale. Tutti hanno il diritto alla casa e a costruirla dove posseggono il suolo. Ma succede che
la casetta diviene plurifamiliare, si gonfia a più
non posso fìno a scoppiare, tutto regolarmente
recintato fino all'ultima goccia di suolo anche sulla strada pubblica e senza
marciapiede. Poi succede che sul suolo vicino un altro proprietario fa
esattamente la stessa cosa e poi un altro ancora. Ecco allora sorgere
all'insaputa di tutti un quartiere intero. Tutta una
vasta zona risulta costruita disordinatamente e
disorganicamente. Solo allora ci si accorge che la zona è priva di strutture,
quelle essenziali ad un vivere civile. Non c'è spazio per il verde attrezzato,
come non c'è lo spazio per il centro commerciale o sportivo, non ci sono altri
servizi non c'è neanche un marciapiede, per difendersi dal traffico dei bolidi
solofrani. Allora il nuovo quartiere risulta avere le
stesse carenze o peggio del quartiere periferico metropolitano, dove per fare
la spesa è un problema, la scuola è lontana mentre la legge prevede che non
disti più di dieci minuti di cammino a piedi, gli altri servizi sono assenti.
Fino
a quando continueranno a determinarsi situazioni simili o a svilupparsi
ulteriormente le persistenti?
Sarebbe
bene che non solo gli abitanti di queste zone, ma tutti noi cittadini
prendessimo coscienza di ciò che sotto i nostri occhi sta avvenendo e ci
organizzassimo affinché il vivere sia più civile.
Costruire
una casa singola non deve esser solo una moda o un modo per mostrare che si
hanno i soldi. La propria abitazione dovrebbe essere, l'espressione di noi
stessi, una realtà in cui si specchia ciò che ognuno riesce a realizzare della
propria personalità.
Allora
vediamo che anche qui c'entra il grado di senso civico che ognuno ha acquisito
e che ci porta a vivere più o meno bene in società.
Non
bisogna chiudersi in se stesso recintarsi e non pensare ad altro. Bisogna
innestarsi nel tessuto urbano come un'unità viva e determinante,
sentirsi parte di questo tessuto, condizionarlo positivamente con la nostra
presenza, rendere bello ed abitabile l'ambiente.
Se
riusciamo a sentire questo senso di partecipazione alla vita comunitaria
ci renderemo conto che ognuno in modo molto semplice può contribuire affinché
la vita nostra e quella di tutti sia più civile. Vedremo allora abbellirsi e
cambiarsi l'ambiente intorno a noi.
Se
ci chiudiamo, viceversa nel nostro guscio, isolandoci, tutto sarà estraneo e
freddo intorno a noi. Lo stesso ambiente in cui viviamo
sarà specchio di questo isolamento e di questa freddezza.
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Sulla stampa locale: "Il Campanile". |
Un bilancio
Ogni scadenza richiede un bilancio e lo
facciamo anche noi a sette anni dal terremoto per sottolineare
come il paese sia riuscito a rialzarsi.
Il sisma ne lesionò profondamente le
fondamenta tanto è vero che solo un terzo delle costruzioni ha subito
interventi di ristrutturazione mentre tutto il resto è
stato integralmente ricostruito.
La ricostruzione, dunque, unita ad una
vivace espansione edilizia che vive in questo momento una stagione favorevole
ha profondamente cambiato l'aspetto della cittadina, la cui estensione ha
assorbito molti spazi liberi abolendo ogni divisione tra la zona industriale e quella abitata, mentre dobbiamo ai moderni strumenti
urbanistici se la speculazione edilizia non ha potuto invadere le zone
destinate ai servizi.
I nuovi insediamenti, dislocati lontano
dal centro hanno creato un ambiente nel complesso gradevole, pur se qua e là ci
sono risultati che evidenziano la carenza di progetti
di ampio respiro.
Nel centro cittadino la ricostruzione,
avvenuta in loco, ha mantenuto il tracciato delle vecchie strade e gli spazi di
una volta. Solo in alcuni punti è stato possibile ampliare, ma di poco, qualche
strada o dare allo spazio antico una diversa sistemazione.
Dove ciò non è avvenuto ci troviamo di
fronte ad esiti che hanno messo in evidenza come il
cemento armato soffochi negli spazi di una volta. Ora ci si accorge che sarebbe stato meglio progettare una ristrutturazione moderna
del rione antico con parziale ed inevitabile dislocamento di alcune costruzioni
o mantenerne la tipologia antica.
La soluzione adottata, invece - ricostruire
ex-novo nei vecchi spazi - risulta un
aborto dell'una e dell'altra.
Solofra comunque
ha perduto l'habitat che i secoli le avevano donato, la tipologia dei rioni è
stata stravolta se non completamente annullata. Pochi palazzi nobiliari
riavranno l'aspetto primitivo.
Si è salvata solo la parte storica più
rappresentativa, quella intorno alla Collegiata, già aperta al culto ove
saranno completati oltre all'antico complesso di S. Chiara sia il Palazzo
ducale che il Palazzo Zurlo.
Tra le chiese prossima
sarà l'apertura al culto del Convento di S. Domenico tenuto dai padri Oblati
mentre è cominciata la ricostruzione di S. Giuliano, chiesa parrocchiale del
rione Fratta. (1987).
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I problemi della ricostruzione
Necessità di recuperare la storia di Solofra
Forse oggi più di ieri
ci si rende conto quanto sia profondo lo sconvolgimento subìto
dalla nostra cittadina, se, cadute le speranze di riavere, a ricostruzione
ultimata, Irrimediabilmente sotto
le ruspe, col palazzo, è andata via anche la nostra storia, poiché le nuove
strutture cementizie non sono
in grado di restituire alle vie dove queste sorgono l'impronta ricevuta lungo
i secoli. Ci ritroviamo, così, un
"centro antico" con case nuove che mal si accomodano negli stretti
spazi di una volta. Ad ogni tempo il suo spazio, il nostro non è quello di
ieri, ecco perché un bel palazzo in cemento armato, che magari mostra vezzose
fogge, mal si addice negli angusti spazi di ieri, in cui è stato costretto a
sistemarsi. A questa sensazione di
sconveniente collocamento si aggiunge la delusione, di cui prima dicevamo, di
aver perduto per sempre quell'immagine che gli anni
avevano dato a Solofra. Se, invece, alziamo lo
sguardo fino a comprendere tutta la valle, quel senso di angustia,
che l'osservazione della zona antica ci aveva messo addosso, cede il posto
alla più accettabile costatazione di una cittadina
in piena espansione che sale fin sulle falde più ripide dei suoi monti, ma
dove le costruzioni sono più a loro agio nel nuovo ambiente rubato ai campi,
alle vigne, ai castagneti di una volta. Evidente allora appare
il particolare fervore che la eccita tutta e che dà la misura di un'attività
prorompente, senz'altro positiva. Questa attività
tuttavia a noi non sembra essere molto dissimile,
nel dovuto rapporto temporale, da quella già un tempo dovette caratterizzare
la vita solofrana. Basta una superficiale scorsa ai soli documenti solofrani
esistenti nella raccolta di Scandone per rendersi
conto della vivacità commerciale, politica e culturale che caratterizzò la
vita di Solofra perlomeno in tre buoni secoli, quelli che possiamo collocare
intorno alla ideazione e costruzione della nostra
Collegiata, compresi i successivi interventi su di essa. Questa nostra realtà,
che è stata scandagliata solo in superficie, ha un'enorme parte di sé
nascosta, la cui conoscenza, per fortuna, non è condizionata da un processo
irreversibile, basta che ci convinciamo che la storia non è
solo quella imposta dai manuali e che il confine tra storia più
importante e storia meno importante non è un diaframma immobile. Soprattutto
dobbiamo considerare che è dovere di ogni paese
recuperare la propria storia e serbarla come un emblema di famiglia. Quando il mondo che
contava era solo quello della nostra piccola Europa, allora la nostra storia
poteva sbiadirsi rispetto a quella, di gran lunga
più ponderosa, di una Roma o di una Firenze. Ma ora che i confini del mondo
si sono allargati per comprendere con uguale dignità
popoli senza storia, la nostra piccola storia acquista una luce diversa, data
ad essa dalla dignità dei secoli. Veniamo, così, a
considerare che quando i luoghi ove ora sorgono le metropoli americane erano solo lande sconosciute e disabitate, Solofra aveva
già una vita intensa ed articolata. Allora questa nostra antichità acquista
il valore epico delle mitiche leggende e questo nostro paese, onusto di
passato, si veste di quella nobiltà che solo il tempo può dare. Il sapere poi che una
parte dei nostri documenti, ove la storia degli Orsini si lega a quella di
Solofra - oltre 2500 documenti - sono gelosamente
custoditi nella Biblioteca Universitaria di Los Angeles, serve proprio a
confermare quanto abbiamo detto. Quella scoperta
fortunata ci riempì di gioia per un passato che possiamo recuperare, ma ci
fece fare una serie di considerazioni non ultima quella nata dall'orgoglio,
legittimo, di vedere come una grande nazione, che
noi possiamo elencare tra quelle "senza storia", andasse alla
ricerca della storia degli altri, la nostra, per farsene un blasone. L'immagine
dei nani che guardano più oltre perché salgono sulle spalle dei giganti ben
si accorda con questa situazione.
Noi siamo quei giganti vetusti di antichità da cui
quei nani, con appena due secoli di storia, traggono la linfa per creare le
meraviglie della loro realtà di oggi. E il costatare come quei nani siano le vestali di un focolare, che loro appartiene solo
per derivazione, ci deve essere di insegnamento e farci prendere coscienza di
quanta storia noi trascuriamo nelle chiese diroccate, nei ruderi abbandonati,
negli archivi polverosi, nella noncuranza di ciò che fu l'ieri. Solofra ha un blasone
offuscato dalla trascuratezza più sopra lamentata, è necessario liberarlo
dalle fuliggini degli anni, pulirlo dalla patina di incultura, rimuovere le incrostazioni di tante
distorsioni e sottoporlo ad un lavoro di restauro che gli dia in ogni sua
parte quell'impronta che ebbe dal quotidiano
scorrere del tempo. Scavare in questo
passato, portare alla luce tanti momenti della vita di Solofra è il nostro
intento per restituire alla nostra cittadina la sua memoria storica, che è
quella di tutti noi, che ci lega e tiene uniti al di sopra
delle diversità di oggi. Solo così potremo guardare alla nostra
Solofra, risorta dalle macerie del terremoto, estesasi in tutta la sua valle,
fiorente di attività, palpitante di vita senza quel
rammarico di prima. Il suo blasone può brillare nel ricordo dei suoi uomini
che si cimentarono in tutti i campi dello scibile, che lottarono nelle epiche
battaglie per la libertà, che percorsero tutte le vie del mondo dalle più
gloriose alle più umili, nella ritrovata memoria storica
che vive in quelle opere che non temono l'usura del tempo o i guasti delle
catastrofi. . |
Le scuole
superiori di Solofra
L’Istituto
tecnico conciario
Le industrie solofrane fino al 1975
usufruivano di tecnici provenienti dal nord poiché
solo ad Arzignano (VC) e a Torino esistevano Istituti
tecnici con specializzazione conciaria oppure si servivano di addetti con altre
specializzazioni che si improvvisavano tecnici conciari con negativi risultati
sulla produzione che non poteva essere qualificativamente
positiva. La maggioranza delle industrie però si rifaceva all'esperienza dei
conciatori che avevano le loro "ricette" per la concia, conservate
anche gelosamente.
Nel 1971 sorse a Solofra una sezione
dell'Istituto Tecnico di Avellino con specializzazione
conciaria, il terzo in Italia, che si rivelò utile per la realtà industriale
del paese. I tecnici conciari diplomati hanno subito trovato posto nelle
industrie locali, presso le concessionarie di prodotti chimici o di macchine
industriali. L'Istituto si distinse per la sua serietà e per la preparazione
che dava agli allievi i quali si iscrivevano con
successo anche alle facoltà di chimica, biologia, medicina, agraria.
Intanto Solofra ebbe un'altra scuola
superiore, l'ITC, che vide rapidamente aumentare la popolazione scolastica fino
a creare in zona una vera inflazione di ragionieri. Di questi, secondo
un'indagine dell'anno scorso, solo il 50% risultavano
occupati, di cui 20% sottoccupati. Il 10% dei diplomati proseguivano gli studi,
il restante 40% restava senza occupazione, poiché le industrie non potevano
assorbire l'alto numero di di
questo tipo di diplomati.
È successo però che questa scuola
proprio perché numerosa, ha avuto l'autonomia dall'Istituto di
Avellino, da cui dipendeva ed una sede staccata a Montoro Superiore. E questa situazione l’ha messe in grado di gestirsi meglio.
Intanto sorse per questa scuola il problema della sede che si acuì dopo il
terremoto del 23 novembre
Ora ha sede in un prefabbricato donato
dagli inglesi che risulta esiguo e non idoneo a
contenere una popolazione così numerosa.
Per l'ITS le
cose sono andate diversamente. Era ubicato in un
edificio privato che non ha subito danni dal sisma e che però era inadeguato
per le esigenze della specializzazione e per gli obiettivi che una scuola legata
alle strutture produttive locali richiedeva (gabinetti di chimica, laboratori
di concia, ecc).
Per queste inadeguatezze, perché si inquadrava bene nell'attività industriale locale e perchè
poteva essere un trampolino di lancio per l'Irpinia e
il sud arretrato, gli Americani, nel quadro dei loro aiuti alle zone terremotate,
decisero di fornire Solofra di una moderna struttura ove questa scuola potesse
realizzare in pieno le sue prerogative.
La visione realistica degli statunitensi
dotava così Solofra di una struttura essenziale e vitale per la sua economia e
per il futuro della stabilità industriale locale, che è
costretta continuamente ad aggiornarsi per le mutate esigenze del
mercato internazionale e per far fronte alla concorrenza. Nel frattempo la
scuola intensificava l'attività e si impegnava in
contatti con le industrie locali, con varie industrie chimiche e con le università.
Nacque l’idea di trasformare la scuola in sede di studi di ricerca legati alla Università di Salerno e che avrebbe avuto legami
preferenziali con l’Università americana di Cincinnati, l’unica con
specializzazione conciaria a livello universitario. Quella della concia delle pelle è un'attività in continuo sviluppo, nuove
tecniche di concia, nuovi prodotti, nuovi metodi devono essere conosciuti,
studiati, appresi, sperimentati. L'Istituto rispondeva a questa
esigenza anche per la sua collocazione al centro della zona industriale.
La scuola sarebbe stata di supporto e sostegno agli intenti reali e
progressisti di tutti quelli che, con i moderni laboratori, avevano lo scopo di
mantenere l'attività industriale del paese al passo con il progresso ed essere
motore per ogni ulteriore ricerca. Si sarebbe creato
in loco, e in tutto il circondario, un'attività di primaria importanza per lo
sviluppo economico del polo industriale.
Dinanzi a queste prospettive è successo
che l’Istituto conciario non ha ottenuto l’autonomia da quello di Avellino da cui ancora dipendeva, che l’Istituto madre ha
ostacolato ogni possibilità di distacco non intenzionata a perdere la
succursale. Di conseguenza la sezione di Solofra ha visto diminuire la popolazione
scolastica anche per la carente politica dell’Amministrazione locale, che non
ha saputo cogliere l’opportunità che si presentava a questa scuola superiore idonea
all’attività locale.
L’edificio è stato destinato a sede
dell'ITC cosa che smorza ogni prospettiva, mentre incentiva
la già preoccupante inflazione di ragionieri, per i quali la disoccupazione o
la sottoccupazione è già una realtà. Certamente l'ITIC ha bisogno di risolvere
i suoi problemi di carenza locali, ma
l'Amministrazione provinciale e quella Comunale avrebbero dovuto mettere in
campo altre soluzioni e non soffocare le prospettive che un istituto a
specializzazione conciaria avrebbe dato alle attività produttive solofrane.
L'Istituto Tecnico Commerciale
Per
continuare l'analisi degli Istituti Superiori di Solofra, ora ci occuperemo
dell'Istituto Tecnico Commerciale, che
fin dall'inizio si è distinto per l'affluenza, significando che la popolazione
studentesca solofrana vede nel settore impiegatizio una soddisfacente e facile
possibilità di lavoro anche se con l'andar de1 tempo s'è venuto a creare in
loco un surplus di ragionieri senza lavoro o sottopagati oppure con impieghi
impropri, fino a giungere al fenomeno
di cugini, tutti ragionieri, che si contendono la gestione degli
uffici dell'unica conceria, possesso societario di più fratelli, loro
genitori.
Con
queste note siamo solo fedeli testimoni di una situazione senza nulla togliere
all'importanza che l'alta frequenza di una scuola superiore ha per una società
che presenta mastodontiche crepe culturali messe in evidenza proprio dalla positiva situazione economica, di cui la stessa società è soggetto
e oggetto insieme.
Questo
Istituto nel 1981, all'indomani del terremoto, che lo aveva privato
dell'edificio, ebbe l'autonomia con una sezione staccata a Montoro Inferiore.
Era ubicato
in una sede la cui precarietà poteva essere giustificata allora, non oggi. Eppure ancora oggi questa scuola occupa due prefabbricati
leggeri con complessivi 22 locali.
Abbiamo
toccato con mano questa precarietà, che è inaccettabile se pensiamo che in essa si
svolge un'attività di primaria importanza. Giovani in un'età delicata e
difficile sono impegnati a costruire il loro "essere" uomini di domani
in ambienti di cubatura largamente inferiori a quelli che le norme igieniche
esigono. Giovani a cui il mancato rispetto dello spazio presenta distorto il
rapporto discepolare e con i professori, svalutando
lo stesso atto educativo, senza citare i danni dovuti alla mancanza di aria e di luce.
Questi
locali sono divenuti sempre più carenti con l'ulteriore ampliarsi della popolazione
scolastica, che oggi raggiunge 368 allievi, divisi in 19 classi, con 40
professori, 6 impiegati e 2 bidelli.
Tre
conteiner sono stati elevati al rango di laboratorio
linguistico con attrezzature di prim'ordine, a sala
di dattilografia con trenta macchine Olivetti lettera 90 e a sala elaborazione dati con un computer. I bagni
sono ubicati in due prefabbricati leggeri per raggiungere
i quali bisogna uscire all'aperto con tutti i disagi della cattiva stagione.
Il
tutto in uno spazio ove la connotazione del definitivo, data
dalla recinzione con relativo cancello, contrasta con quella del
provvisorio e del precario dell'intera struttura.
Il
tempo inesorabilmente colpisce locali costruiti per un uso limitato;
abbiamo, infatti, visto durante la nostra visita - era un giorno di pioggia - gocciolare dell'acqua lungo i fili elettrici
di un corridoio. Allora ci siamo meravigliati come tali strutture possano
ancora reggere pur avendo ospitato ed ospitando ancora
giovani la cui esuberanza è stata ed è inevitabilmente compressa e
costretta, ma che senza dubbio hanno saputo e sanno rispettare ciò che la
società, invece, non rispettando, ha offerto ed offre ancora loro come ambiente
di studio.
Sono
epiche le lotte che l'Istituto ha fatto per una sede idonea, mentre Solofra
rimaneva fuori dal piano di ricostruzione delle scuole
superiori della provincia. Solo l'anno scorso l'allora preside Antonietta
Tartaglia conduceva positivamente in porto una tenace battaglia ed otteneva i
fondi pel la costruzione di un nuovo edificio, il cui
progetto è stato già approvato dall'Amministrazione Provinciale. Ora c'è da
superare l'ostacolo del recupero dell'area, che dovrebbe accogliere l'edificio,
in località Starza Novella, occupata da un villaggio
di prefabbricati leggeri, che sono però in via di
smantellamento.
Noi
ci auguriamo che i tempi siano i più celeri affinché ITC di Solofra abbia una
sede degna.