Solofra, problemi 

 

Necessità di ampliare la promozione culturale

 

Solofra del benessere vien su paga della sua floridezza, giustamente orgogliosa del suo essere, ma anche inconscia della sua storia e non pochi pensano che questa nostra meravigliosa attività industriale, che è venuta dal più profondo della nostra storia, sia l'unica cosa che abbia prodotto il paese, oltre al governo feudale degli Orsini e alla stupenda Collegiata impreziosita dai dipinti del Guarini.

Scoprire che nella nostra valle, insieme al commercio, anzi proprio da questo determinato, fiorì una cultura e vi furono attività che abbracciavano i campi più vari, significa comprendere il senso del nostro essere.

Il nostro paese non fu come tanti di questo nostro sud addormentato nel sonno secolare dell'apatia e dell'inattività. Su di esso il tempo, nella sua sonnolenta avanzata, "non ha deposto alcuna polvere.

Ha conosciuto, invece, Solofra la vivacità di due non lontani centri di cultura e di vita economica, Salerno e Napoli. Anche quando si viaggiava con la velocità del mulo o di strade che s'inerpicavano sui monti per ridiscendere ripide, ma non comode a valle, questi centri furono uniti a noi da frequenti viaggi resi necessari dal commercio.

Allora, insieme ai prodotti, si portavano via da Solofra anche giovani desiderosi di conoscere e progredire, che, poi, riportavano in paese una ricchezza diversa da quella dei mercanti.

Perciò i solofrani ebbero sempre, accanto alla prima ricchezza, anche la seconda, la ricchezza dell'intelligenza fecondata dalla cultura, della mente aperta a nuovi orizzonti, del sentire non rozzo, del cuore che non si spaura, la ricchezza del coraggio che non conosce ostacoli, della forza che non si perde in inutili sussulti, ma che prende vigore dal desiderio della riuscita. Anche se questi giovani portarono fuori il potere del loro ingegno e in altri luoghi deposero il frutto, del loro operato e altrove divennero famosi ed apprezzati, essi non si staccarono mai definitivamente dal paese di origine, ove avevano la casa avita.

Solofra vivrà di riflesso la vita culturale dei suoi figli, si gioverà di essi, si aprirà agli orizzonti che si schiudevano nelle città. Da Napoli, per esempio, giunsero dietro al Guarini le innovazioni pittoriche della scuola napoletana. E nel settecento, quando la capitale del Regno sarà scossa dai sussulti culturali europei, tanti solofrani ne sentiranno il fascino.

La nostra antica attività, dunque, sostenuta dalla nostra felice posizione geografica, di una conca aperta verso gli sbocchi dell'ovest, ci salò dalla generale arretratezza, e dai drammi di povertà e di incultura degli altri.

Tanti figli illustri ebbe Solofra che a poco a poco, trasformarono in tradizione ciò che avevano trovato nel centro maggiore. Abbiamo, così, la tradizione giuridica dei Ronca, dei Maffei, dei Murena, dei Giliberti, dei Landolfi, quella letteraria di Fasano, ancora dei Giliberti con Honofrio e Antonio, quella medica ancora dei Fasano e di Leonardo Santoro, quella scientifica di Matteo Barbieri, di Marianna Vigilante e di Gregorio Ronca, quella artistica di Francesco Guarini e Matteo Vigilante, quella religiosa dei tanti vescovi, abati e presbiteri che salirono i più alti gradini. Tutti costoro permettono a Solofra, di avere una storia propria, che non sia solo quella della famiglia feudale con la quale entra ed esce la Storia in tanti paesi e dopo di essa c'è una massa amorfa, paurosa, insignificante, sofferente, inconscia della propria situazione.

Noi, invece, possiamo addentrarci in qualsiasi periodo della nostra storia e sempre troviamo una messe di uomini di campi dello scibile da essi percorsi. Possiamo arrivare al regno di Federico II quando troviamo una comunità che lotta contro il potere feudale già allora avvertendo, quando in tutta Europa il sistema stava morendo per il suo intrinseco carattere antimercantile, e quando senza difficoltà troviamo medici o religiosi o notai che già allora emergere nella pur limitata società di allora che non ancora si era arricchita degli innesti del secolo XIV.

Crediamo che tutto questo oneroso passato non debba restare ignorato e rischiare di perdersi dietro le ruspe del presente. La temperie post-tecnologica del mondo del computer deve alimentarsi di quella linfa.

Conoscere meglio la nostra storia è gratificante, ma anche utile e necessario. Essa ci mostra che la ricchezza economica vive in simbiosi con quella culturale: l'una vive e si sostiene della forza dell'altra anzi la seconda dà il substrato in cui la prima possa trovare linfa per non esaurirsi.

È sempre stato così d'altronde.

Purtroppo questo binomio sembra aver subito un'atrofizzazione di una sua parte per un eccessivo sviluppo dell'altra, le due ricchezze oggi non sono direttamente proporzionate, anzi si assiste ad uno spregiudicato disprezzo, ad una tracotante spavalderia nel disprezzo di ciò che la cultura può apportare all'economico.

Per non sembrare astratti facciamo un esempio, ma avvertiamo che le esemplificazioni possono essere molteplici e le implicanze imprevedibili. Nell'attività economica nella quale Solofra va giustamente orgogliosa ci vuole imprenditorialità, coraggio apertura mentale, chiarezza di vedute, possibilità di innestarsi in un processo che si protende prepotentemente nel futuro per essere domani già passato. È necessario saper far fronte ai rapidi cambiamenti, saper comprendere i tempi così veloci.

Tutte queste capacità non si acquistano gratuitamente. È ormai finito il tempo in cui l'artigiano cuoiaio poteva rimanere ignorante poiché aveva appreso dal genitore il mestiere, che a sua volta lo aveva imparato dall'avo ed egli lo avrebbe trasmesso, identico, al figlio e questi al nipote. Allora era possibile questo lento passaggio, in uno stereotipato andare di padre in figlio, perché la lentezza dei tempi lo permetteva. Nel passato le tecniche di concia rimanevano le stesse per anni, così pure le modalità del commercio. Oggi la velocità si è impadronita di tutto. Non si è ancora spento l'eco della rivoluzione tecnologica che ha messo fuori uso i vecchi macchinari delle antiche concerie, che già i moderni macchinari si rivelano inadeguati perché non programmabili con il computer. E con la tecnica corrono anche i sistemi di concia, le richieste del mercato, gli sbocchi del commercio, la gestione manageriale dell'industria ed infinite possibilità si prefigurano a volte inimmaginabili solo ieri.

Noi ci auguriamo che il processo di promozione culturale di cui abbiamo auspicato l'evento segua la rapida ascesa dello status economico e che nasca soprattutto da un intimo bisogno di miglioramento e da una convinzione precisa.

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Su "Il Campanile", 1988.

 

 

I problemi dell'inquinamento

 

Alla scadenza della proroga della legge Merli sono state chiuse a Solofra altre concerie non ancora in regola con detta legge che da dieci anni tutela il cittadino dall'inquinamento industriale delle acque e dell'aria.

Quella della concia delle pelli è un'attività che anche quando venivano impiegati prodotti naturali, ha sempre provocato il problema delle acque di scarico che è la parte più vistosa ma non la sola dell'inquinamento di questo tipo di industria, ma è con l'uso dei prodotti chimici che questo problema è divenuto non più occultabile né procrastinabile.

Eppure le concerie costruite da quando è andata in vigore la su citata legge avrebbero dovuto tutte avere le vasche di depurazione delle acque di scarico e se ciò non è successo non è colpevole solo il conciatore che non ha decurtato dal suo profitto la pur forte spesa per provvedersi del proprio sistema di depurazione. Il problema dell'inquinamento solofrano non si può ridurre alla semplice applicazione di una legge, esso investe, invece più vasti parametri, né è il solo della complessa realtà industriale.

Dobbiamo considerare l'alto costo degli impianti di depurazione richiesti per le concerie solofrane, ma l'inconveniente solofrano si sarebbe potuto risolvere cooperativisticamente se da noi lo spirito consorziale non avesse difficoltà a diffondersi. Così non si può in coscienza non ammettere che c'è stata superficialità e leggerezza fin dall'inizio nell'affrontare i problemi dell'inquinamento, che s'è fatta la politica delle "pezze", del "tira a campà" e che ci si è limitati ad affrontare quotidianamente i problemi senza inquadrarli in più ampie visioni funzionali.

Possiamo anche tentare una spiegazione di questa mentalità da ascriversi a quella egoistica tracotanza a quella idolatria del guadagno che ha caratterizzato da noi l'artigiano e il mercante prima, l'industriale e commerciante poi, mentalità che ora deve fare i conti con problemi di ordine socio-ecologico. Se consideriamo, che, poi a Solofra l'attività conciaria si svolgeva per lo più in un ristretto contesto abitativo-familiare con locali ubicati presso le abitazioni ci rendiamo conto quanto questo tipo di convivenza impedisse qualsiasi oggettivazione del problema. Quando, poi, i moduli di una tecnologia avanzata in piena era post-industriale hanno rotto questo schema di vita ci si è trovati impreparati alla nuova realtà

È dunque, uno scotto di mentalità che si paga mancando da noi una "cultura dell'industria".

Con questo non vogliamo disconoscere le grandi cose che sono state fatte che le concerie della zona industriale hanno le loro vasche di depurazione o i filtri per i fumi e mandano le acque che hanno subito un primo processo di disinquinamento nel depuratore comune costruito a valle, ma bisogna pure dire che esistono ancora concerie nel tessuto cittadino che non hanno voluto o potuto trasferirsi nella zona industriale e che certo non hanno adeguati mezzi disinquinanti.

Per comprendere la complessità del problema non si deve pensare che trasferendo le concerie nella zona industriale si sia risolto il problema dell'inquinamento, poiché se con la delocalizzazione il paese viene liberato dalle industrie e le stesse sono messe in condizioni migliori di igiene e di uso dei servizi, d'altra parte non si deve dimenticare che tra la zona industriale e quella cittadina non c'è alcuna demarcazione anzi quest'ultima sta letteralmente assalendo la prima che quasi si difende arrancando fin sulle parti alte dei monti.

Purtroppo abbiamo un'area comunale limitata, ma certe zone cuscinetto per il verde e per i servizi potevano essere rispettate quando ciò era possibile cioè con una diversa politica invece di costruirvi nuovi complessi industriali che sono ad un tiro di schioppo dai moderni complessi residenziali.

La mancanza di una "cultura dell'industria" ha fatto anche perdere un'occasione storica intendiamo quella del terremoto se la ricostruzione del quasi 80% se non oltre del paese è avvenuta "in loco" invece di creare nel centro storico quegli spazi necessari che sono piazze, giardini, strade ampie che avrebbero potuto dare alla cittadina la possibilità di difendersi, almeno in questo modo, da quei condizionamenti cui la realtà industriale necessariamente la costringe.

C'è da considerare, infine, per un'ultima conferma della complessità del problema che il grosso impianto che nella zona di San Severino avrebbe dovuto trattare biologicamente le acque già depurate a Solofra, impianto che entra nel faraonico progetto del disinquinamento del golfo di Napoli non ancora è stato realizzato. Se allora il povero conciapelli è punito o perché non ha costruito le vasche o perché pur avendole non coinvoglia le acque in una irraggiungibile zona industriale, chi punirà gli organi colpevoli di non aver costruito il grande depuratore biologico di cui dicevamo?

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Sulla stampa locale: "Il Campanile".

 

 

 

I problemi della ricostruzione

 

Tutti sanno che la speculazione edilizia consiste nel costruire in modo irrazionale e senza ordine. Essa ha permesso il sorgere di quartieri tutto cemento, tutto un susseguirsi di palazzi, gli uni accanto agli altri, dove gli spazi carenti, per verde pubblico o per altri servizi, li condannano ad essere solo "quartieri dormitorio", dove la vita si spersonalizza, tutto diviene amorfo, uniforme e senza vitalità.

A Solofra il boom edilizio c'è stato, ma per fortuna non c'è stata speculazione edilizia come descritto sopra.

Ci intendiamo, però. È vero che non ci sono i quartieri dormitorio, ma una curiosa speculazione edilizia sta avvenendo o è avvenuta a Solofra. La potremmo chiamare la "speculazione individuale" di piccole costruzioni che, sommate tra loro, portano alla costituzione ex novo di intere zone abitate che vengono ad avere le stesse carenze dei quartieri delle cinture metropolitane.

Mi spiego.                

Il singolo cittadino a Solofra costruisce la propria casa, una "villetta" preferendola al quartino nel condominio centrale, si trasformano case coloniche, stalle, si inventano nuove costruzioni addizionando e dividendo gli indici in una bellissima danza matematica. E tutto questo "può" essere legittimo e legale. Tutti hanno il diritto alla casa e a costruirla dove posseggono il suolo. Ma succede che la casetta diviene plurifamiliare, si gonfia a più non posso fìno a scoppiare, tutto regolarmente recintato fino all'ultima goccia di suolo anche sulla strada pubblica e senza marciapiede. Poi succede che sul suolo vicino un altro proprietario fa esattamente la stessa cosa e poi un altro ancora. Ecco allora sorgere all'insaputa di tutti un quartiere intero. Tutta una vasta zona risulta costruita disordinatamente e disorganicamente. Solo allora ci si accorge che la zona è priva di strutture, quelle essenziali ad un vivere civile. Non c'è spazio per il verde attrezzato, come non c'è lo spazio per il centro commerciale o sportivo, non ci sono altri servizi non c'è neanche un marciapiede, per difendersi dal traffico dei bolidi solofrani. Allora il nuovo quartiere risulta avere le stesse carenze o peggio del quartiere periferico metropolitano, dove per fare la spesa è un problema, la scuola è lontana mentre la legge prevede che non disti più di dieci minuti di cammino a piedi, gli altri servizi sono assenti.

Fino a quando continueranno a determinarsi situazioni simili o a svilupparsi ulteriormente le persistenti?

Sarebbe bene che non solo gli abitanti di queste zone, ma tutti noi cittadini prendessimo coscienza di ciò che sotto i nostri occhi sta avvenendo e ci organizzassimo affinché il vivere sia più civile.

Costruire una casa singola non deve esser solo una moda o un modo per mostrare che si hanno i soldi. La propria abitazione dovrebbe essere, l'espressione di noi stessi, una realtà in cui si specchia ciò che ognuno riesce a realizzare della propria personalità.

Allora vediamo che anche qui c'entra il grado di senso civico che ognuno ha acquisito e che ci porta a vivere più o meno bene in società.

Non bisogna chiudersi in se stesso recintarsi e non pensare ad altro. Bisogna innestarsi nel tessuto urbano come un'unità viva e determinante, sentirsi parte di questo tessuto, condizionarlo positivamente con la nostra presenza, rendere bello ed abitabile l'ambiente.

Se riusciamo a sentire questo senso di partecipazione alla vita comunitaria ci renderemo conto che ognuno in modo molto semplice può contribuire affinché la vita nostra e quella di tutti sia più civile. Vedremo allora abbellirsi e cambiarsi l'ambiente intorno a noi.

Se ci chiudiamo, viceversa nel nostro guscio, isolandoci, tutto sarà estraneo e freddo intorno a noi. Lo stesso ambiente in cui viviamo sarà specchio di questo isolamento e di questa freddezza.

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Sulla stampa locale: "Il Campanile".

 

 

Un bilancio

 

Ogni scadenza richiede un bilancio e lo facciamo anche noi a sette anni dal terremoto per sottolineare come il paese sia riuscito a rialzarsi.

Il sisma ne lesionò profondamente le fondamenta tanto è vero che solo un terzo delle costruzioni ha subito interventi di ristrutturazione mentre tutto il resto è stato integralmente ricostruito.

La ricostruzione, dunque, unita ad una vivace espansione edilizia che vive in questo momento una stagione favorevole ha profondamente cambiato l'aspetto della cittadina, la cui estensione ha assorbito molti spazi liberi abolendo ogni divisione tra la zona industriale e quella abitata, mentre dobbiamo ai moderni strumenti urbanistici se la speculazione edilizia non ha potuto invadere le zone destinate ai servizi.

I nuovi insediamenti, dislocati lontano dal centro hanno creato un ambiente nel complesso gradevole, pur se qua e là ci sono risultati che evidenziano la carenza di progetti di ampio respiro.

Nel centro cittadino la ricostruzione, avvenuta in loco, ha mantenuto il tracciato delle vecchie strade e gli spazi di una volta. Solo in alcuni punti è stato possibile ampliare, ma di poco, qualche strada o dare allo spazio antico una diversa sistemazione.

Dove ciò non è avvenuto ci troviamo di fronte ad esiti che hanno messo in evidenza come il cemento armato soffochi negli spazi di una volta. Ora ci si accorge che sarebbe stato meglio progettare una ristrutturazione moderna del rione antico con parziale ed inevitabile dislocamento di alcune costruzioni o mantenerne la tipologia antica.

La soluzione adottata, invece  - ricostruire ex-novo nei vecchi spazi -  risulta un aborto dell'una e dell'altra.

Solofra comunque ha perduto l'habitat che i secoli le avevano donato, la tipologia dei rioni è stata stravolta se non completamente annullata. Pochi palazzi nobiliari riavranno l'aspetto primitivo.

Si è salvata solo la parte storica più rappresentativa, quella intorno alla Collegiata, già aperta al culto ove saranno completati oltre all'antico complesso di S. Chiara sia il Palazzo ducale che il Palazzo Zurlo.

Tra le chiese prossima sarà l'apertura al culto del Convento di S. Domenico tenuto dai padri Oblati mentre è cominciata la ricostruzione di S. Giuliano, chiesa parrocchiale del rione Fratta. (1987).

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I problemi della ricostruzione

 

Necessità di recuperare la storia di Solofra

 

 

Forse oggi più di ieri ci si rende conto quanto sia profondo lo sconvolgimento subìto dalla nostra cittadina, se, cadute le speranze di riavere, a ricostruzione ultimata, la Solofra di una volta, che ci ricordasse con i suoi palazzi settecenteschi, le stradine antiche, le "cortine longobarde", la sua storia lontana, ci ritroviamo a vivere in un ambiente certamente nuovo, ma con una fisionomia non più sua o, perlomeno, quella che avevamo nella mente.

Irrimediabilmente sotto le ruspe, col palazzo, è andata via anche la nostra storia, poiché le nuove strutture cementizie non sono in grado di restituire alle vie dove queste sorgono l'impronta ricevuta lungo i secoli.

Ci ritroviamo, così, un "centro antico" con case nuove che mal si accomodano negli stretti spazi di una volta. Ad ogni tempo il suo spazio, il nostro non è quello di ieri, ecco perché un bel palazzo in cemento armato, che magari mostra vezzose fogge, mal si addice negli angusti spazi di ieri, in cui è stato costretto a sistemarsi.

A questa sensazione di sconveniente collocamento si aggiunge la delusione, di cui prima dicevamo, di aver perduto per sempre quell'immagine che gli anni avevano dato a Solofra.

Se, invece, alziamo lo sguardo fino a comprendere tutta la valle, quel senso di angustia, che l'osservazione della zona antica ci aveva messo addosso, cede il posto alla più accettabile costatazione di una cittadina in piena espansione che sale fin sulle falde più ripide dei suoi monti, ma dove le costruzioni sono più a loro agio nel nuovo ambiente rubato ai campi, alle vigne, ai castagneti di una volta.

Evidente allora appare il particolare fervore che la eccita tutta e che dà la misura di un'attività prorompente, senz'altro positiva. Questa attività tuttavia a noi non sembra essere molto dissimile, nel dovuto rapporto temporale, da quella già un tempo dovette caratterizzare la vita solofrana. Basta una superficiale scorsa ai soli documenti solofrani esistenti nella raccolta di Scandone per rendersi conto della vivacità commerciale, politica e culturale che caratterizzò la vita di Solofra perlomeno in tre buoni secoli, quelli che possiamo collocare intorno alla ideazione e costruzione della nostra Collegiata, compresi i successivi interventi su di essa.

Questa nostra realtà, che è stata scandagliata solo in superficie, ha un'enorme parte di sé nascosta, la cui conoscenza, per fortuna, non è condizionata da un processo irreversibile, basta che ci convinciamo che la storia non è solo quella imposta dai manuali e che il confine tra storia più importante e storia meno importante non è un diaframma immobile. Soprattutto dobbiamo considerare che è dovere di ogni paese recuperare la propria storia e serbarla come un emblema di famiglia.

Quando il mondo che contava era solo quello della nostra piccola Europa, allora la nostra storia poteva sbiadirsi rispetto a quella, di gran lunga più ponderosa, di una Roma o di una Firenze. Ma ora che i confini del mondo si sono allargati per comprendere con uguale dignità popoli senza storia, la nostra piccola storia acquista una luce diversa, data ad essa dalla dignità dei secoli.

Veniamo, così, a considerare che quando i luoghi ove ora sorgono le metropoli americane erano solo lande sconosciute e disabitate, Solofra aveva già una vita intensa ed articolata. Allora questa nostra antichità acquista il valore epico delle mitiche leggende e questo nostro paese, onusto di passato, si veste di quella nobiltà che solo il tempo può dare.

Il sapere poi che una parte dei nostri documenti, ove la storia degli Orsini si lega a quella di Solofra - oltre 2500 documenti - sono gelosamente custoditi nella Biblioteca Universitaria di Los Angeles, serve proprio a confermare quanto abbiamo detto.

Quella scoperta fortunata ci riempì di gioia per un passato che possiamo recuperare, ma ci fece fare una serie di considerazioni non ultima quella nata dall'orgoglio, legittimo, di vedere come una grande nazione, che noi possiamo elencare tra quelle "senza storia", andasse alla ricerca della storia degli altri, la nostra, per farsene un blasone.

L'immagine dei nani che guardano più oltre perché salgono sulle spalle dei giganti ben si accorda con questa situazione. Noi siamo quei giganti vetusti di antichità da cui quei nani, con appena due secoli di storia, traggono la linfa per creare le meraviglie della loro realtà di oggi. E il costatare come quei nani siano le vestali di un focolare, che loro appartiene solo per derivazione, ci deve essere di insegnamento e farci prendere coscienza di quanta storia noi trascuriamo nelle chiese diroccate, nei ruderi abbandonati, negli archivi polverosi, nella noncuranza di ciò che fu l'ieri.

Solofra ha un blasone offuscato dalla trascuratezza più sopra lamentata, è necessario liberarlo dalle fuliggini degli anni, pulirlo dalla patina di incultura, rimuovere le incrostazioni di tante distorsioni e sottoporlo ad un lavoro di restauro che gli dia in ogni sua parte quell'impronta che ebbe dal quotidiano scorrere del tempo.

Scavare in questo passato, portare alla luce tanti momenti della vita di Solofra è il nostro intento per restituire alla nostra cittadina la sua memoria storica, che è quella di tutti noi, che ci lega e tiene uniti al di sopra delle diversità di oggi. Solo così potremo guardare alla nostra Solofra, risorta dalle macerie del terremoto, estesasi in tutta la sua valle, fiorente di attività, palpitante di vita senza quel rammarico di prima. Il suo blasone può brillare nel ricordo dei suoi uomini che si cimentarono in tutti i campi dello scibile, che lottarono nelle epiche battaglie per la libertà, che percorsero tutte le vie del mondo dalle più gloriose alle più umili, nella ritrovata memoria storica che vive in quelle opere che non temono l'usura del tempo o i guasti delle catastrofi.

 

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Le scuole superiori di Solofra

 

L’Istituto tecnico conciario

 

Le industrie solofrane fino al 1975 usufruivano di tecnici provenienti dal nord poiché solo ad Arzignano (VC) e a Torino esistevano Istituti tecnici con specializzazione conciaria oppure si servivano di addetti con altre specializzazioni che si improvvisavano tecnici conciari con negativi risultati sulla produzione che non poteva essere qualificativamente positiva. La maggioranza delle industrie però si rifaceva all'esperienza dei conciatori che avevano le loro "ricette" per la concia, conservate anche gelosamente.

Nel 1971 sorse a Solofra una sezione dell'Istituto Tecnico di Avellino con specializzazione conciaria, il terzo in Italia, che si rivelò utile per la realtà industriale del paese. I tecnici conciari diplomati hanno subito trovato posto nelle industrie locali, presso le concessionarie di prodotti chimici o di macchine industriali. L'Istituto si distinse per la sua serietà e per la preparazione che dava agli allievi i quali si iscrivevano con successo anche alle facoltà di chimica, biologia, medicina, agraria.

Intanto Solofra ebbe un'altra scuola superiore, l'ITC, che vide rapidamente aumentare la popolazione scolastica fino a creare in zona una vera inflazione di ragionieri. Di questi, secondo un'indagine dell'anno scorso, solo il 50% risultavano occupati, di cui 20% sottoccupati. Il 10% dei diplomati proseguivano gli studi, il restante 40% restava senza occupazione, poiché le industrie non potevano assorbire l'alto numero di di questo tipo di diplomati.

È successo però che questa scuola proprio perché numerosa, ha avuto l'autonomia dall'Istituto di Avellino, da cui dipendeva ed una sede staccata a Montoro Superiore. E questa situazione l’ha messe in grado di gestirsi meglio. Intanto sorse per questa scuola il problema della sede che si acuì dopo il terremoto del 23 novembre 1980 in seguito al crollo dell'edificio che la ospitava.

Ora ha sede in un prefabbricato donato dagli inglesi che risulta esiguo e non idoneo a contenere una popolazione così numerosa.

Per l'ITS le cose sono andate diversamente. Era ubicato in un edificio privato che non ha subito danni dal sisma e che però era inadeguato per le esigenze della specializzazione e per gli obiettivi che una scuola legata alle strutture produttive locali richiedeva (gabinetti di chimica, laboratori di concia, ecc).

Per queste inadeguatezze, perché si inquadrava bene nell'attività industriale locale e perchè poteva essere un trampolino di lancio per l'Irpinia e il sud arretrato, gli Americani, nel quadro dei loro aiuti alle zone terremotate, decisero di fornire Solofra di una moderna struttura ove questa scuola potesse realizzare in pieno le sue prerogative.

La visione realistica degli statunitensi dotava così Solofra di una struttura essenziale e vitale per la sua economia e per il futuro della stabilità industriale locale, che è costretta continuamente ad aggiornarsi per le mutate esigenze del mercato internazionale e per far fronte alla concorrenza. Nel frattempo la scuola intensificava l'attività e si impegnava in contatti con le industrie locali, con varie industrie chimiche e con le università. Nacque l’idea di trasformare la scuola in sede di studi di ricerca legati alla Università di Salerno e che avrebbe avuto legami preferenziali con l’Università americana di Cincinnati, l’unica con specializzazione conciaria a livello universitario. Quella della concia delle pelle è un'attività in continuo sviluppo, nuove tecniche di concia, nuovi prodotti, nuovi metodi devono essere conosciuti, studiati, appresi, sperimentati. L'Istituto rispondeva a questa esigenza anche per la sua collocazione al centro della zona industriale. La scuola sarebbe stata di supporto e sostegno agli intenti reali e progressisti di tutti quelli che, con i moderni laboratori, avevano lo scopo di mantenere l'attività industriale del paese al passo con il progresso ed essere motore per ogni ulteriore ricerca. Si sarebbe creato in loco, e in tutto il circondario, un'attività di primaria importanza per lo sviluppo economico del polo industriale.

Dinanzi a queste prospettive è successo che l’Istituto conciario non ha ottenuto l’autonomia da quello di Avellino da cui ancora dipendeva, che l’Istituto madre ha ostacolato ogni possibilità di distacco non intenzionata a perdere la succursale. Di conseguenza la sezione di Solofra ha visto diminuire la popolazione scolastica anche per la carente politica dell’Amministrazione locale, che non ha saputo cogliere l’opportunità che si presentava a questa scuola superiore idonea all’attività locale.

L’edificio è stato destinato a sede dell'ITC cosa che smorza ogni prospettiva, mentre incentiva la già preoccupante inflazione di ragionieri, per i quali la disoccupazione o la sottoccupazione è già una realtà. Certamente l'ITIC ha bisogno di risolvere i suoi problemi di carenza locali, ma l'Amministrazione provinciale e quella Comunale avrebbero dovuto mettere in campo altre soluzioni e non soffocare le prospettive che un istituto a specializzazione conciaria avrebbe dato alle attività produttive solofrane.

 

L'Istituto Tecnico Commerciale

 

Per continuare l'analisi degli Istituti Superiori di Solofra, ora ci occuperemo dell'Istituto Tecnico Commerciale, che fin dall'inizio si è distinto per l'affluenza, significando che la popolazione studentesca solofrana vede nel settore impiegatizio una soddisfacente e facile possibilità di lavoro anche se con l'andar de1 tempo s'è venuto a creare in loco un surplus di ragionieri senza lavoro o sottopagati oppure con impieghi impropri, fino a giungere al fenomeno di cugini, tutti ragionieri, che si contendono la gestione degli uffici dell'unica conceria, possesso societario di più fratelli, loro genitori. 

Con queste note siamo solo fedeli testimoni di una situazione senza nulla togliere all'importanza che l'alta frequenza di una scuola superiore ha per una società che presenta mastodontiche crepe culturali messe in evidenza proprio dalla positiva situazione economica, di cui la stessa società è soggetto e oggetto insieme.

Questo Istituto nel 1981, all'indomani del terremoto, che lo aveva privato dell'edificio, ebbe l'autonomia con una sezione staccata a Montoro Inferiore.

Era ubicato in una sede la cui precarietà poteva essere giustificata allora, non oggi. Eppure ancora oggi questa scuola occupa due prefabbricati leggeri con complessivi 22 locali.

Abbiamo toccato con mano questa precarietà, che è inaccettabile se pensiamo che in essa si svolge un'attività di primaria importanza. Giovani in un'età delicata e difficile sono impegnati a costruire il loro "essere" uomini di domani in ambienti di cubatura largamente inferiori a quelli che le norme igieniche esigono. Giovani a cui il mancato rispetto dello spazio presenta distorto il rapporto discepolare e con i professori, svalutando lo stesso atto educativo, senza citare i danni dovuti alla mancanza di aria e di luce.

Questi locali sono divenuti sempre più carenti con l'ulteriore ampliarsi della popolazione scolastica, che oggi raggiunge 368 allievi, divisi in 19 classi, con 40 professori, 6 impiegati e 2 bidelli.

Tre conteiner sono stati elevati al rango di laboratorio linguistico con attrezzature di prim'ordine, a sala di dattilografia con trenta macchine Olivetti lettera 90 e a sala elaborazione dati con un computer. I bagni sono ubicati in due prefabbricati leggeri per raggiungere i quali bisogna uscire all'aperto con tutti i disagi della cattiva stagione.

Il tutto in uno spazio ove la connotazione del definitivo, data dalla recinzione con relativo cancello, contrasta con quella del provvisorio e del precario dell'intera struttura.

Il tempo inesorabilmente colpisce locali costruiti per un uso limitato; abbiamo, infatti, visto durante la nostra visita  - era un giorno di pioggia -  gocciolare dell'acqua lungo i fili elettrici di un corridoio. Allora ci siamo meravigliati come tali strutture possano ancora reggere pur avendo ospitato ed ospitando ancora giovani la cui esuberanza è stata ed è inevitabilmente compressa e costretta, ma che senza dubbio hanno saputo e sanno rispettare ciò che la società, invece, non rispettando, ha offerto ed offre ancora loro come ambiente di studio.

 Sono epiche le lotte che l'Istituto ha fatto per una sede idonea, mentre Solofra rimaneva fuori dal piano di ricostruzione delle scuole superiori della provincia. Solo l'anno scorso l'allora preside Antonietta Tartaglia conduceva positivamente in porto una tenace battaglia ed otteneva i fondi pel la costruzione di un nuovo edificio, il cui progetto è stato già approvato dall'Amministrazione Provinciale. Ora c'è da superare l'ostacolo del recupero dell'area, che dovrebbe accogliere l'edificio, in località Starza Novella, occupata da un villaggio di prefabbricati leggeri, che sono però in via di smantellamento.

Noi ci auguriamo che i tempi siano i più celeri affinché ITC di Solofra abbia una sede degna.

 

 

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