Leggere le
Scritture
Testi di
Gioacchino La Greca
DALLA
LEGGE ALL’AMORE
San Francesco dona il mantello ad un povero
di Giotto
Narra Matteo che Gesù, portando il suo messaggio e la buona
novella di un Dio che tutti ama, raccoglieva intorno a se numerose folle, che
lo seguirono dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme,
dalla Giudea e da oltre il Giordano (Mt 4,25). Già queste prime indicazioni ci dicono come questo annunzio di
salvezza e amore fosse per tutta l’umanità, anche pagana, e non solo per il
popolo eletto di Israele. Quando parliamo di Dio usiamo quasi sempre immagini e concetti
tratti dal Vecchio Testamento, in cui Dio si mostra spesso giudice severo
delle colpe degli uomini e mai lo accostiamo invece a quello che Gesù ci
presenta e mostra nel Nuovo Testamento. Con ciò non si vuol dire
che il Dio dell’Antico Testamento è in contraddizione col Dio del Nuovo
Testamento, ma che la figura del Padre misericordioso è una novità assoluta
che va a sostituire quella dello sposo innamorato di una moglie (Israele)
infedele. Gesù ci mostra cosi un Dio esclusivamente buono che a tutti
manifesta il suo amore, indipendentemente dalle colpe di ognuno. Tutti conosciamo infatti i Dieci Comandamenti mosaici ai quali
dobbiamo osservanza, sappiamo chi era Mosè e l’Esodo del popolo israelita
dalla schiavitù egiziana, ma credo che altrettanta perizia non si abbia
a livello di conoscenza delle Beatitudini. Il Catechismo e l’età per imparare tante cose sul Dio del Vecchio
Testamento vengono in tal modo usati nella educazione alla fede cristiana per
insegnare quasi ad essere dei buoni ”ebrei”, ma non dei bravi cristiani.
Perché questo? Questo succede perché le
Beatitudini invece di essere la carta di identità del cristiano, vengono
quasi sorvolate, nessuno le conosce, e di conseguenza se ne perde il pieno
significato. Matteo nel suo vangelo opera una contrapposizione tra la figura
di Mose e Gesù, il vecchio e il nuovo, la legge e l’amore. Anche gli eventi drammatici della nascita del Messia rivestono
così il ruolo di una riscoperta e di una lettura alla luce della vita
di Mose. E su questa linea tracciata fin dall’inizio, l’evangelista vuole
fare vedere come Gesù, alla stessa stregua di Mose, possa con pieno diritto
dettare una Legge, questa si divina, perché proclamata da Lui che è il Verbo
e l’Emmanuele (Dio con noi). Vedendo le folle, salì sulla Montagna (Mt 5,1) e, sedutosi, si
mise ad ammaestrarli. Gesù siede sul monte come Dio sul Sinai, e siede sia
come Maestro, sia come Dio alla destra del Padre, ed ammaestra perché lui è
la guida e la luce. Viene stipulata una Nuova Alleanza, quella tra figli e Padre, non
tra servi e Signore, come era intesa quella mosaica. Tale Alleanza
viene basata non sulla Obbedienza ma sulla Somiglianza dell’uomo a Dio e tra
gli uomini fra loro per mezzo dell’amore. E questo Amore non è più servizio dell’uomo verso Dio, ma
servizio di Dio verso l’uomo. Alla fine di questo insegnamento, poiché
con l’attuazione delle Beatitudini si realizza la vera fratellanza umana e la
vera figliolanza con Dio Padre al quale cosi rassomigliamo, Gesù proclama il
Padre Nostro (Mt 6,9), così come Mosè pronunciò “l’Ascolta Israele” quando
raggiante scese dal Sinai. Quindi il Padre Nostro, l’unica preghiera che ci ha lasciato Gesù
non è una cosa messa lì per caso, ma la piena presa di coscienza del
cristiano di essere figlio di Dio e fratello in Cristo con gli altri,
realizzando ciò per mezzo delle Beatitudini. Avverso le Dieci parole dei Comandamenti, l’evangelista presenta
le Otto Beatitudini che sono un aperto invito alla pienezza di vita felice.
Vediamole: esse sono Otto perché tale è il numero che indica il giorno della
Resurrezione, quindi simbolo di vita nuova, di vita che supera la morte. Pure
le parole che le costituiscono sono significative, sono Settantadue, e sta a
rappresentare tale numero, l’umanità intera alla quale è rivolto il messaggio
di Cristo. Quindi non più solo il popolo di Israele destinatario della
salvezza, al quale era diretta la legge di Mose, ma tutta l’umanità deve
accogliere le Beatitudini, la nuova legge. La prima beatitudine è la più importante e da essa discendono le
altre. “Beati i poveri per lo spirito
perché di essi è il regno dei cieli“ (Mt 5,3). La errata interpretazione
e predicazione di questa beatitudine, forse nei secoli è stata una delle
prime cause di abbandono della pratica di esse. Normalmente si pensa infatti
che chi è povero sarà ricompensato dalle sue probabili sofferenze economiche
con la beatitudine del Paradiso. Così è il pensiero comune, ma “i poveri che sono poveri ma non scemi”
(A. Maggi) non erano mica tanto d’accordo, e, appena potevano lasciavano la loro
condizione agli altri. Lo stesso per i ricchi, perché raramente persone
ricche lasciano la loro agiata condizione terrena per diventare poveri in
terra e beati in cielo. E allora come la mettiamo? Solo gli imbecilli possono proclamare
beati i poveri. I poveri sono dei disgraziati dei quali la comunità deve
farsi pieno carico per toglierli dalla loro sfortunata condizione. Gesù
proclama Beati, cioè con condizione divina che è il massimo per l’uomo, i poveri
per lo spirito, cioè coloro che volontariamente in forza dello Spirito,
scelgono di farsi poveri per eliminare e togliere i poveri dalla
povertà. Abbassare il proprio livello di vita per permettere a quelli che stanno
sotto di elevarlo, essere cioè responsabili della felicità degli altri non
con l’elemosina stucchevole, ma con la condivisione. Condividere significa
privarsi, non del superfluo, ma di quello che necessita ad un altro per
alzare dignitosamente il proprio tenore di vita. Gesù non invita nessuno a spogliarsi dei propri beni, ma ad
abbandonare l’accumulo delle ricchezze, lo sfruttamento degli altri e delle
risorse, la ricerca esasperata del profitto, che creano miseria e povertà.
Negli sfruttati immiserendo il corpo, ma agli sfruttatori, uccidendone lo
spirito immiserito dall’egoismo. Cristo da ricco si fece povero perché noi fossimo ricchi, cosicchè coloro che si fanno poveri sono beati e di essi
è il Regno dei Cieli. Matteo usa il presente, non il “sarà” escatologico, futuro;
quindi avranno il Regno non nell’aldilà ma in questa vita. Poiché
l’evangelista parla e si rivolge ad una comunità di Giudei, egli non usa mai
nominare Dio, e la parola Cielo è il sinonimo che Lo sottende. Si è beati
qui, su questa terra, perché quando si sperimenta l’amore del Padre e la
condivisione col prossimo la nostra vita è destinata a cambiare. Dice Gesù ”C’è più gioia nel dare che nel ricevere e
quello che si da verrà restituito nella misura di 30, 60, 100, dal Padre”,
perché Lui misura con la misura con la quale misuriamo e ne darà una
aggiunta. Più noi diamo agli altri, più permettiamo al Padre di dare a noi,
poiché il ricco è colui che ha, ma il Signore è colui che da. Allora ricordiamole le Otto
Beatitudini, sperando che possano prendere nel cuore dei cristiani il
posto dei Comandamenti. 1) Beati i poveri per lo Spirito perché di loro è il regno dei
Cieli. 2) Beati gli afflitti perché saranno consolati. 3) Beati i miti perché erediteranno la terra. 4) Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno
saziati. 5) Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia. 6) Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. 7) Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio. 8) Beati i perseguitati per la giustizia perché di loro è il regno
dei cieli. Gli Afflitti che sono
nel pianto saranno resi beati perché saranno consolati e le cause della loro
afflizione verrà eliminata da chi li consola. I Miti, cioè i Diseredati
che nel Vecchio Testamento sono quelli che hanno perso tutto, la loro terra,
e senza terra un uomo perde anche la sua dignità. Ebbene loro riavranno la
terra all’interno della comunità dei credenti, e anche la loro piena dignità.
La 4° beatitudine riassume la 2a e la 3a, cioè coloro
che erano afflitti e diseredati, con fame e sete di giustizia verranno così
saziati. Quindi l’evangelista presenta le beatitudini 5a e 6a
che conseguono la 1a: beati i misericordiosi,
cioè coloro che sempre sono pronti ad aiutare l’altro, e i puri di cuore, le persone limpide e
trasparenti, buone. Questi sono gli Operatori
di pace, che nella 7a sono beati perché agiscono per il bene
degli altri. L’8a beatitudine: chi sarà fedele a questo
programma di giustizia andando incontro alle esigenze degli altri deve sapere
che sarà sì beato, ma non avrà riconoscimenti ma persecuzioni. Accettare le Beatitudini e farne uso nella vita del credente può
significare cambiare completamente atteggiamento nei confronti del prossimo e
della propria vita spirituale. Il coraggio a cui Cristo ci chiama è quello
della azione, agire apertamente in contrasto a chi vuole usare il potere per
sottomettere l’uomo, e a chi vuole usare la religione per
incutere paure ingiustificate di un Dio che invece ama senza chiedere nulla
in cambio. Il credente deve passare da una passività e recettività personale
ad una azione che travalica il proprio Io egoistico per incontrare l’altro e
le sue esigenze. Deve andare al di là della stretta osservanza religiosa di
dottrine e precetti che può diventare vuota e sterile senza un riscontro nella
vita di ogni giorno. Dobbiamo imparare ad usare le nostre capacità non come armi per dominare gli altri, non
per farne piedistallo per innalzarci sopra il prossimo, ma tutto quello che
di buono e utile possediamo, come i talenti dei servitori fedeli nel poco, metterlo a servizio per farli fruttare e
cercare di dare pace, serenità, felicità. Questo Gesù vuole da noi e per
noi stessi. Egli è venuto per dirci non quanto siamo peccatori, ma per
ricordarci che siamo immersi in un oceano d’amore, dove l’oceano è Dio,
l’amore il Figlio suo incarnato, e le gocce d’acqua dell’oceano siamo proprio
noi. |
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