Leggere le Scritture

Testo di Gioacchino La Greca

 

Sfatiamo alcuni luoghi comuni

 

Vangelo di Lindisfarne (VIII secolo)

 

Leggiamo spesso il Vangelo facendoci fuorviare dai titoli che i vari redattori  mettono agli inizi dei capitoli, oppure da quello che una certa tradizione devozionale ci ha tramandato e che noi tranquillamente diamo per scontato.

Ecco quindi che Gesù è nato in una grotta col bue e l’asinello attorno, che Maria ed Elisabetta erano cugine e che i tre maghi fossero dei re magi,  che non significa niente, e che i loro nomi fossero per davvero quelli un po’ ridicoli e intonati col colore della loro pelle che tutti abbiamo imparato da piccoli. Per non dire poi delle tre cadute di Gesù con la croce sulle spalle sulla via del Calvario, altra bufala buona solo per le vie crucis devozionali dei pii fedeli.

Alla luce di questa esigenza di verità affine ai testi, non possiamo certo continuare a nutrire la nostra fede e di conseguenza la nostra vita di tante inutili credenze. Esse alla lunga possono anche apportare danni sia spirituali che materiali. Si pensi per esempio all’episodio del fallito tentativo di scacciare i presunti demoni da parte dei discepoli, in cui Gesù interviene dicendo loro che “questa specie particolare va scacciata con la preghiera”. Solo che nel corso delle varie copiature del testo che si sono succedute nei secoli, un copista devoto aggiunse, forse per far risaltare ancor di più la difficoltà di vincere quei presunti satanelli, anche il “digiuno” oltre la preghiera. E da allora in poi questa pratica, che mai fu consigliata da Gesù, entrò nell’armamentario del credente devoto. Proprio perché il digiuno è così tanto propagandato in tempi in cui sembra prevalere il relativismo materialistico, come arma di redenzione spirituale, bisogna ricordare che Gesù ebbe fieri scontri con le autorità religiose del tempo che accusavano lui di non riprendere i suoi discepoli perché mai osservavano il digiuno e addirittura di sabato mangiavano le spighe appena colte. La sapiente risposta di Gesù, e non poteva essere altrimenti, fu che “finché lo sposo (lui) è con i suoi amici, questi devono banchettare e fare festa; poi verrà il giorno, solo uno però, in cui essi digiuneranno per il dolore della sua morte. Quindi tutti quelli che sperano col digiuno di acquistarsi un posto in paradiso a discapito di coloro che magari digiunano obbligatoriamente per fame, raccomandiamo altre pratiche più idonee e utili al prossimo.

Altro luogo comune da sfatare, l’umiltà di Giovanni Battista nei confronti di Gesù. La frase “non sono degno di slacciare il sandalo” non è gesto di umiltà. Ma fa riferimento alla legge del “Levirato”, cioè del cognato. La vedova alla quale il marito defunto non lasciava prole, poteva essere messa incinta dal fratello del defunto. Se costui si rifiutava per qualsiasi motivo, il terzo che accettava l’incombenza scalzava del sandalo il cognato (levir) e ne prendeva il posto. Poiché Gesù è visto come colui che degnamente feconderà la sposa, Israele, rimasta vedova del suo Dio, il Battista cede il passo e l’incombenza a colui al quale  tocca questo compito, il Messia.

Un altro spunto mi viene doveroso dal ricordo giovanile della lavanda dei piedi, che noi chierichetti “subivamo” la sera del giovedì santo. Nessuno di noi voleva interpretare Giuda, e tutti volevamo essere Pietro. A parte il fatto che Giuda era sì il traditore, e quindi la sua fama ormai era assicurata, ma mi sembrava che anche la fama di buoni e devoti di alcuni altri era usurpata, così come la fama di discepolo molto significativo da parte di Pietro. Non solo questi due, ma anche altri meritano di essere incorniciati in una giusta cornice. Prendiamo Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, o figli del tuono per la loro irruenza caratteriale. Sono sfacciatamente attaccati al potere, e la loro madre non è da meno dei figli, chiedendo spudoratamente per loro il posto alla destra e alla sinistra del Messia trionfante sui suoi nemici. La stolta non poteva sapere quale era il posto d’onore alla destra e alla sinistra, cioè quelli che furono occupati dai due malfattori!

Poi c’è Tommaso, il Didimo, detto così perché gemello di Gesù, che una certa tradizione erroneamente ci tramanda come l’incredulo. Ma il titolo di “gemello” non è dovuto ad una somiglianza fisica, ma morale con Gesù, poiché egli è il solo che comprende la sorte che attende il suo Maestro e vuole andare a morire con lui. Dopo la crocifissione del suo maestro, mentre gli altri sono chiusi e tappati in casa per paura del sommo sacerdote, lui non è dentro con gli altri a ricevere l’apparizione del Risorto. Ma nel Vangelo di Giovanni (20, 28) ci lascia la più alta professione di fede mai pronunciata ”Signore mio e Dio mio”. Alla faccia dell’incredulità!

 E veniamo al capo in pectore degli Apostoli, Pietro il cui nome vero è Simone. Pietro è il nome che con un accorgimento letterario gli evangelisti usano per farci notare che in quel momento sta avvenendo uno scontro con Gesù. E di scontri e mancanza di fede nei confronti del suo maestro, Simone ne ebbe abbastanza, se si considera il quasi triplice rinnegamento e la sua tardiva conversione narrata da Luca negli Atti (At, 12). Ma nelle pagine del Vangelo di Marco sono frequenti le occasioni di scontro e contrasto che definiscono bene il perché del soprannome pietra, duro come un sasso. Uno degli scontri più conosciuti Gesù lo ebbe, quando (Mc 8, 33), dopo aver loro detto che il Figlio dell’uomo avrebbe molto patito e sarebbe morto, ingiunse a Pietro, dopo le sue vibranti proteste, dicendogli “Vattene dietro me Satana perché tu non ti preoccupi delle cose di Dio ma di quelle degli uomini”. Ancora, un episodio in cui spesso si esalta la vicinanza e l’intimità inesistente fra Gesù e Pietro. La sera del giovedì (Gio 13), come a rendere effettiva la partecipazione al regno e alla comunità dei credenti, Gesù, cintosi il grembiule del servo lava i piedi ai suoi discepoli, lui, che è grande si fa piccolo per gli altri. Intuendo la gravità della situazione, Pietro, con un malcelato gesto di umiltà si rifiuta di farsi lavare i piedi, poiché se lo fa il suo maestro a maggior ragione deve farlo lui agli altri. Ma le parole risolute di Gesù lo richiamano alla realtà, e, fallito l’estremo tentativo di buttarla sul rito religioso (lavami anche la testa) Pietro cede, poiché l’amore di Cristo vince sopra qualsiasi testardaggine.

Maria di Magdala, la donna peccatrice dalla quale uscirono sette demoni, diventa simbolo della umanità redenta e discepola importante nel gruppo delle donne che erano al seguito di Gesù. Fu lei che assieme alla madre del Cristo pianse la  sua morte  ai piedi della croce, abbandonate come il loro maestro dal gruppo dei discepoli maschi, fuggiti o nascosti. Fu proprio lei che vide il sepolcro vuoto e corse ad annunciare a Pietro la scoperta, rivestendo il ruolo dell’angelo annunziatore della Pasqua. In seguito ebbe un ruolo importante dopo la nascita delle prime comunità cristiane, essendo dotata di un carisma  naturale, in virtù della profonda fede nel suo “Rabbuni” risorto e nella piena accoglienza del suo messaggio. Ecco perché Pietro era quasi intollerante nei suoi confronti, specie lui che tardi ,molto più tardi si converti veramente al messaggio di amore universale predicato da Gesù (At,12) . Alcuni secoli dopo, la malcelata misoginia che da sempre caratterizza la comunità e l’autorità ecclesiale, trovò compimento nella fusione e diluizione di questa forte figura  femminile in una immagine di Maddalena penitente, ad opera di papa Gregorio V,  che fondeva in unico personaggio la figura della prostituta che asciugò coi capelli i piedi di Gesù e con Maria di Lazzaro. Ci pensò poi la grande arte pittorica rinascimentale a cristallizzare tale immagine nella donna dalla lunga capigliatura in pio e assorto atteggiamento accanto ad alabastri e bocce di  prezioso profumo, cancellando  dalla memoria della cristianità corrente quella che fu un ministro eucaristico e sicuramente la prima donna sacerdote.

 

 

 

 

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