Leggiamo spesso il Vangelo facendoci
fuorviare dai titoli che i vari redattori
mettono agli inizi dei capitoli, oppure da quello che una certa
tradizione devozionale ci ha tramandato e che noi
tranquillamente diamo per scontato.
Ecco quindi che Gesù è nato in una
grotta col bue e l’asinello attorno, che Maria ed Elisabetta erano cugine e
che i tre maghi fossero dei re magi,
che non significa niente, e che i loro nomi fossero per davvero quelli
un po’ ridicoli e intonati col colore della loro pelle che tutti abbiamo
imparato da piccoli. Per non dire poi delle tre cadute di Gesù con la croce
sulle spalle sulla via del Calvario, altra bufala buona solo per le vie
crucis devozionali dei pii fedeli.
Alla luce di questa esigenza di
verità affine ai testi, non possiamo certo continuare a nutrire la nostra
fede e di conseguenza la nostra vita di tante inutili credenze. Esse alla
lunga possono anche apportare danni sia spirituali che materiali. Si pensi
per esempio all’episodio del fallito tentativo di scacciare i presunti demoni
da parte dei discepoli, in cui Gesù interviene dicendo loro che “questa
specie particolare va scacciata con la preghiera”. Solo che nel corso delle
varie copiature del testo che si sono succedute nei secoli, un copista devoto
aggiunse, forse per far risaltare ancor di più la difficoltà di vincere quei
presunti satanelli, anche il “digiuno” oltre la preghiera.
E da allora in poi questa pratica, che mai fu consigliata da Gesù, entrò
nell’armamentario del credente devoto. Proprio perché il digiuno è così tanto
propagandato in tempi in cui sembra prevalere il relativismo materialistico,
come arma di redenzione spirituale, bisogna ricordare che Gesù ebbe fieri
scontri con le autorità religiose del tempo che accusavano lui di non
riprendere i suoi discepoli perché mai osservavano il digiuno e addirittura
di sabato mangiavano le spighe appena colte. La sapiente risposta di Gesù, e
non poteva essere altrimenti, fu che “finché lo sposo (lui) è con i suoi
amici, questi devono banchettare e fare festa; poi verrà il giorno, solo uno
però, in cui essi digiuneranno per il dolore della sua morte. Quindi tutti
quelli che sperano col digiuno di acquistarsi un posto in paradiso a
discapito di coloro che magari digiunano obbligatoriamente per fame,
raccomandiamo altre pratiche più idonee e utili al prossimo.
Altro luogo comune da sfatare,
l’umiltà di Giovanni Battista nei confronti di Gesù. La frase “non sono degno
di slacciare il sandalo” non è gesto di umiltà. Ma fa riferimento alla legge del
“Levirato”, cioè del cognato. La vedova alla quale
il marito defunto non lasciava prole, poteva essere messa incinta dal
fratello del defunto. Se costui si rifiutava per qualsiasi motivo, il terzo
che accettava l’incombenza scalzava del sandalo il cognato (levir) e ne prendeva il posto. Poiché Gesù è visto come
colui che degnamente feconderà la sposa, Israele, rimasta vedova del suo Dio,
il Battista cede il passo e l’incombenza a colui al quale tocca questo compito, il Messia.
Un altro spunto mi viene doveroso
dal ricordo giovanile della lavanda dei piedi, che noi chierichetti
“subivamo” la sera del giovedì santo. Nessuno di noi voleva interpretare
Giuda, e tutti volevamo essere Pietro. A parte il fatto che Giuda era sì il
traditore, e quindi la sua fama ormai era assicurata, ma mi sembrava che
anche la fama di buoni e devoti di alcuni altri era usurpata, così come la
fama di discepolo molto significativo da parte di Pietro. Non solo questi
due, ma anche altri meritano di essere incorniciati in una giusta cornice.
Prendiamo Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, o
figli del tuono per la loro irruenza caratteriale. Sono sfacciatamente attaccati
al potere, e la loro madre non è da meno dei figli, chiedendo spudoratamente
per loro il posto alla destra e alla sinistra del Messia trionfante sui suoi
nemici. La stolta non poteva sapere quale era il posto d’onore alla destra e
alla sinistra, cioè quelli che furono occupati dai due malfattori!
Poi c’è Tommaso, il Didimo, detto
così perché gemello di Gesù, che una certa tradizione erroneamente ci
tramanda come l’incredulo. Ma il titolo di “gemello” non è dovuto ad una somiglianza
fisica, ma morale con Gesù, poiché egli è il solo che comprende la sorte che
attende il suo Maestro e vuole andare a morire con lui. Dopo la crocifissione
del suo maestro, mentre gli altri sono chiusi e tappati in casa per paura del
sommo sacerdote, lui non è dentro con gli altri a ricevere l’apparizione del
Risorto. Ma nel Vangelo di Giovanni (20, 28) ci lascia la più alta professione
di fede mai pronunciata ”Signore mio e Dio mio”. Alla faccia
dell’incredulità!
E veniamo al capo in pectore degli Apostoli,
Pietro il cui nome vero è Simone. Pietro è il nome che con un accorgimento
letterario gli evangelisti usano per farci notare che in quel momento sta
avvenendo uno scontro con Gesù. E di scontri e mancanza di fede nei confronti
del suo maestro, Simone ne ebbe abbastanza, se si considera il quasi triplice
rinnegamento e la sua tardiva conversione narrata da Luca negli Atti (At,
12). Ma nelle pagine del Vangelo di Marco sono
frequenti le occasioni di scontro e contrasto che definiscono bene il perché
del soprannome pietra, duro come un sasso. Uno degli scontri più conosciuti
Gesù lo ebbe, quando (Mc 8, 33), dopo aver loro
detto che il Figlio dell’uomo avrebbe molto patito e sarebbe morto, ingiunse
a Pietro, dopo le sue vibranti proteste, dicendogli “Vattene dietro me Satana
perché tu non ti preoccupi delle cose di Dio ma di quelle degli uomini”.
Ancora, un episodio in cui spesso si esalta la vicinanza e l’intimità
inesistente fra Gesù e Pietro. La sera del giovedì (Gio
13), come a rendere effettiva la partecipazione al regno e alla comunità dei
credenti, Gesù, cintosi il grembiule del servo lava i piedi ai suoi
discepoli, lui, che è grande si fa piccolo per gli altri. Intuendo la gravità
della situazione, Pietro, con un malcelato gesto di umiltà si rifiuta di
farsi lavare i piedi, poiché se lo fa il suo maestro a maggior ragione deve
farlo lui agli altri. Ma le parole risolute di Gesù lo richiamano alla
realtà, e, fallito l’estremo tentativo di buttarla sul rito religioso (lavami
anche la testa) Pietro cede, poiché l’amore di Cristo vince sopra qualsiasi
testardaggine.
Maria di Magdala, la donna
peccatrice dalla quale uscirono sette demoni, diventa simbolo della umanità
redenta e discepola importante nel gruppo delle donne che erano al seguito di
Gesù. Fu lei che assieme alla madre del Cristo pianse la sua morte
ai piedi della croce, abbandonate come il loro maestro dal gruppo dei
discepoli maschi, fuggiti o nascosti. Fu proprio lei che vide il sepolcro
vuoto e corse ad annunciare a Pietro la scoperta, rivestendo il ruolo
dell’angelo annunziatore della Pasqua. In seguito
ebbe un ruolo importante dopo la nascita delle prime comunità cristiane, essendo
dotata di un carisma naturale, in
virtù della profonda fede nel suo “Rabbuni” risorto
e nella piena accoglienza del suo messaggio. Ecco perché Pietro era quasi
intollerante nei suoi confronti, specie lui che tardi ,molto più tardi si
converti veramente al messaggio di amore universale predicato da Gesù (At,12)
. Alcuni secoli dopo, la malcelata misoginia che da sempre caratterizza la
comunità e l’autorità ecclesiale, trovò compimento nella fusione e diluizione
di questa forte figura femminile in
una immagine di Maddalena penitente, ad opera di papa Gregorio V, che fondeva in unico personaggio la figura
della prostituta che asciugò coi capelli i piedi di Gesù e con Maria di
Lazzaro. Ci pensò poi la grande arte pittorica rinascimentale a
cristallizzare tale immagine nella donna dalla lunga capigliatura in pio e
assorto atteggiamento accanto ad alabastri e bocce di prezioso profumo, cancellando dalla memoria della cristianità corrente
quella che fu un ministro eucaristico e sicuramente la prima donna sacerdote.
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