Leggere le
Scritture
Testi di
Gioacchino La Greca
Salvatore di El Greco
La vita di Gesù, dal punto di vista del comportamento religioso, lascia
molto a desiderare, nonostante l’esistenza di una numerosa letteratura sui
testi del Nuovo Testamento, che trattano apologeticamente tale modo di vivere
la religione del suo tempo. In altre parole esiste chi vede Gesù come il menager che viene in fabbrica a mostrare ai suoi operai
come rendere felice il proprietario della stessa fabbrica, lavorando in una
certa dovuta maniera. Al contempo, c’è chi vede nei suoi atteggiamenti niente
altro che il minimo dovuto ad una religione che non serve a glorificare nè Dio nè l’uomo, e perciò inutile,
se non addirittura dannosa. Sembra anzi che l’insegnamento di Gesù, oltre che contrapporsi
per sostituzione alla vecchia Legge ebraica di Mosè, sia volto anche ad una
profonda critica e revisione delle pratiche religiose del tempo. Questa
religiosità poggiava su tre pilastri: elemosina, preghiera digiuno, che erano
esercitate dai farisei per essere di esempio al popolo1. Ma
l’esempio non è l’atteggiamento ideale del cristiano, il quale viene reso
riconoscibile dal servizio e solo da quello (Mt 20,25). Con l’esempio l’uomo
non fa altro che mostrare le sue virtù e capacità, ergendosi così al di sopra
degli altri e a modello da imitare. L’insegnamento di Gesù invece verte sul fatto che qualità e virtù
non vanno esibite, ma messe al servizio di chi ha bisogno, perché l’esempio
mantiene le distanze fra gli uomini, il servizio le elimina. Il desiderio di
dare l’esempio può indurre l’individuo ad assumere atteggiamenti di
comportamenti religiosi che non corrispondono però alla vita che conduce. E
infatti Gesù demolisce questi atteggiamenti definendo ipocriti coloro che li
praticano (Mt 6,12), cioè commedianti che recitano una parte, un clichè2.
Tali erano gli Scribi e i Farisei che facevano questo per
suscitare l’ammirazione della gente. Nulla è più osceno per Gesù che
pubblicizzare il bene che si fa, e chi si trovasse in tale condizione deve
sapere che ha già ricevuto la sua ricompensa da parte degli uomini, ma nessun
compenso avrà da Dio (Mt 6,2). Riguardo al digiuno, pratica devozionale delle persone pie e
religiose, Gesù non risparmia critiche. Il digiuno dai tempi antichi è sempre
stato associato a pratiche funebri, praticamente si faceva col morto in casa.
Tale era per gli ebrei, ma anche per nostra tradizione ereditata da loro. I
Giudei poi digiunavano due volte a settimana, al ricordo della salita e
discesa di Mosè dal Sinai, così come si vanta il fariseo nel tempio. Gesù
definisce i digiunanti attori e commedianti ”che assumono aria melanconica” e
sofferente nel digiuno, e perciò invita a profumarsi e lavarsi il capo ”per
non far vedere agli uomini che digiuni”, ma è importante che in segreto lo
sappia Dio. Più giusto a questo punto condividere il pane con chi non ha di
che nutrirsi, piuttosto che mortificarsi in una pratica inutile senza nessun
beneficiato. Così questo diventa un altro invito di Gesù a farsi pane per gli
altri, perché solo così possiamo rendere grazie al Padre e farci somiglianti
a lui nell’amore. Mai Gesù invita al digiuno, e ai discepoli di Giovanni (Mt 9,14),
che gli fanno notare che nè lui nè
i suoi discepoli digiunano, egli risponde che gli amici dello Sposo devono
banchettare finchè lo sposo è in mezzo a loro.
“Verranno giorni in cui verrà rapito a loro lo sposo ed essi allora
digiuneranno”. D’altronde il meglio di sè e tanti
gesti significativi e importanti, Gesù li dà proprio nei momenti conviviali.
È in queste occasioni che lui può avvicinarsi meglio alle persone che
abitualmente vengono ritenute lontane da Dio, pranzando con esattori delle
tasse e con pagani. Così non trova modo migliore che accettare l’invito al
banchetto del pubblicano Levi (Lc 5,27). Ed è
durante un altro banchetto che egli perdona la prostituta a casa di un
fariseo (Lc 7,36), scandalizzando i benpensanti e
mostrando che anche il poco, purchè dato con amore,
è bene accetto da Dio, che non fa distinzione tra puro e impuro, ma tra cuore
generoso che sa donare (la prostituta) e il fariseo, che preso dal rito, non
onora l’ospite come dovrebbe. Mentre grande importanza hanno i veri e propri banchetti
eucaristici, in cui Gesù lascia il suo comandamento d’amore alla perpetua
memoria e attuazione della sua comunità e di tutti i futuri credenti,
diventando il centro della liturgia del cristianesimo. Da questa breve disamina, necessariamente incompleta, si nota
come Gesù abbia definito il digiuno quando gli è stato proposto, e come tale
pratica non figura tra quelle che egli esercita o raccomanda. Anzi è
importante richiamare l’attenzione a quell’episodio del mancato esorcismo di
demoni da parte dei suoi discepoli, in cui a Gesù stesso viene messa in bocca
la parola “digiuno” associata a preghiera, che non è opera sua o
dell’evangelista Marco, ma di un tardivo e zelante copista che volle rendere
più arduo il compito dell’esorcista. A questo errore, più o meno voluto, alcuni legano la fortuna
della pratica religiosa del digiuno, ed è curioso come la chiesa e la
liturgia abbiano accolto senza tentennamenti una pratica di per sè punitiva e mortificante, mentre sembra poco propensa
ad esaltare e celebrare gioiosamente la convivialità del Cristo, che sempre e
in ogni modo trova tempo e occasione per banchettare con i suoi discepoli e
con la gente comune. Come a dire ben vengano sofferenze e digiuni e anche
dolori corporali, che sono volontà divina, ma alla larga da gioia e letizia
che possono essere armi di un inesistente demonio tentatore che spinge al
peccato. L’altro importante momento che esamineremo è la preghiera, che,
pur presente nei vangeli in particolari momenti della vita di Gesù, non
occupa per tanti esegeti un posto preminente, tale da non fare apparire Gesù
come devoto e sdolcinato orante. Assieme alla preghiera, Gesù si abbatte come un tornado anche
contro il luogo di culto per eccellenza: il Tempio di Gerusalemme con i suoi
sacerdoti. Edificato per essere il luogo della presenza di Dio, custodito nel
Sancta Sanctorum, celato alla vista da un enorme velo, che verrà squarciato
con la morte di Gesù a significare la definitiva rivelazione di Dio e del suo
amore per l’umanità, consacrato sulla Croce, il Tempio era diventato il
piedistallo della gloria degli uomini che lo custodivano e gestivano nel loro
esclusivo interesse. Il tempio viene paragonato da Gesù all’albero di fico,
ricco di fogliame ma senza frutto (Mt 21,19), appariscente ma inutile. Ecco
perché dovendo indicare un luogo appropriato di preghiera, egli esclude i
luoghi di culto ufficiali (Gio 4,23) e consiglia di pregare nei luoghi più
nascosti della casa, la grotta delle dispense (Mt 6,6). Gesù ci ha insegnato
che la preghiera deve essere una lode continua e gioiosa al Padre che ci ama,
un ringraziamento per quello che Egli ci dona sempre con cuore generoso. Pregando non è necessario chiedere perché il Padre conosce cosa
abbiamo bisogno e sempre precede le nostre richieste. Anzi più è grande la
fede meno formule e parole sono necessarie da pronunciare (A. Maggi). Pregava Gesù? Certo, egli ha pregato in diverse occasioni,
appartato sulla montagna, passando la notte in orazione a Dio (Lc 6,12), ha pregato il Padre benedicendo: ”Perché hai
nascosto queste cose ai sapienti e le hai mostrato ai semplici” (Mt 11,25).
Ha pregato ringraziando il Padre per averlo ascoltato e aver resuscitato
Lazzaro (Gio 11,41). Ha pregato nell’angoscia della solitudine e della morte
imminente perché possa essere allontanato il calice della sofferenza, il suo
destino di passione e morte, ma che in ogni caso venga fatta la volontà del
Padre ( Lc 22,44 e Mt 26,36). Sono sempre poche e sobrie le parole di preghiera di Gesù
riportate dagli evangelisti, perché non è necessario pregare come i pagani
che moltiplicano le parole e sembrano rivolgersi a un Dio lontano, sordo,
insensibile: Ricordati Signore del popolo che tu ti sei acquistato (Sal. 74). Il Dio a cui si rivolge Gesù non è un idolo inerte, ma un Dio la
cui stessa sostanza è amore, che si irradia incontenibile come energia che si
manifesta continuamente nell’atto creativo e nella stessa Incarnazione del
Figlio, e che trova nel mistero della Trinità la formula completa e perfetta
della circolarità amorosa tra Dio e il creato, tramite lo Spirito. Poiché
tale amore è fuoco incontenibile e vivificante, esso si può esprimere nella
donazione completa di se stesso, e Dio lo ha fatto manifestandosi nel Figlio
che ha mostrato e donato all’uomo lo Spirito dell’amore del Padre. Come
conseguenza e avendo perciò questa certezza, sull’esempio e sullo stesso
insegnamento di Gesù, la preghiera non diventa solo richiesta di grazia, ma
espressamente ringraziamento al Padre per ciò che egli ci dona in abbondanza.
In tutti e quattro i vangeli viene riportata così solo una
preghiera che Gesù lascia alla sua comunità a conclusione del Discorso delle
Beatitudini, a voler significare che solamente mettendo in atto la nuova
legge dell’amore da lui proclamata sul Monte, noi ci facciamo uguali e
somiglianti a Dio nell’amore e possiamo cosi chiamarlo Padre, come fa lui in
ogni occasione in cui lo invoca e ne parla. Vediamola nel dettaglio questa importante preghiera di cui ci riportano
le parole, neanche identiche ma simili, sia Luca in 11,1 che Matteo in 6,7.
Accogliendo la Legge dell’amore possiamo dunque chiamare Dio con
l’appellativo di Padre Nostro, cioè
Padre della comunità; Che sei nei cieli,
non come sede abitativa, ma per sua condizione divina; Sia santificato il tuo nome, l’unico nome che indica attività
creatrice, Padre, e santificato significa separato dal male; Venga il tuo Regno, è la richiesta più
importante, il Regno è la comunità dei credenti realizzata sulla terra e non
nell’aldilà, che permette a Dio di esercitare la sua funzione di Padre; Come in cielo così in terra, tutta
l’umanità è chiamata a realizzare il disegno d’amore di Dio; Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
il pane di Dio è Gesù che dà la vita; Rimetti
a noi i nostri debiti, le nostre colpe sono perdonate; Come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
quando noi perdoniamo gli altri; Non
abbandonarci nella prova, non farci mai mancare la fede; Liberaci dal male, liberaci dalla
tentazione di esercitare il nostro potere sugli altri. Questa è la preghiera della comunità che esercita l’amore e il
servizio, nulla di complicato o difficile, solo una richiesta e un
ringraziamento. È un continuo invito quello di Gesù ad usare le nostre capacità non
come armi per dominare gli altri, non per farne piedistallo per innalzarci
sopra gli altri, ma tutto quello che di buono e utile possiamo mettere a
disposizione, lo dobbiamo cedere per cercare di dare e creare pace,
tranquillità, serenità, legando in altre parole la nostra esistenza ad
un’idea del bene verso il quale si deve tendere per immettere in misura
sempre maggiore ordine e armonia nel mondo, favorendone la corretta
evoluzione verso la perfetta realizzazione nella libertà dello Spirito.
Questo è venuto a insegnare Gesù, egli è venuto non per dirci quanto siamo
peccatori, ma per ricordarci che siamo immersi in un oceano d’amore, dove Dio
è l’oceano e il Figlio è l’amore incarnato. |
1.
A. Maggi, Gesù, l‘ebreo per parte di madre, Cittadella Editrice,
2007
2.
Ibidem.
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