Leggere le Scritture

Testi di Gioacchino La Greca

 

 

LA RESURREZIONE E LE APPARIZIONI

 

 

Resurrezione di Piero della Francesca

 

 

 

Resurrezione

 

 

Cosa significa dire "Gesù è resuscitato"? Significa che un cadavere è stato rianimato ed è stato riportato alla vita, oppure qualcosa d'altro? E se cosi è avvenuto, perché i due discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca, o Maria di Magdala non riescono a riconoscerlo subito? Erano passate neanche 36 ore dalla sua morte, era così diverso dunque da non essere riconosciuto il Cristo da persone che fino a qualche ora prima erano suoi commensali? O c'è qualche significato profondo e altro da cogliere? Io sono profondamente convinto per la fede che professo, che la Resurrezione come evento storico non appartiene ai vangeli, e che essi nessuna prova apportano di questo evento. Come dice Alberto Maggi se ci fosse stata una telecamera a filmare il sepolcro continuamente dalla deposizione del corpo di Gesù fino al mattino del sabato di resurrezione, non avrebbe filmato nulla. Quello che i vangeli invece, sotto diverse forme ed episodi letterari, narrano sono invece le Apparizioni del Risorto, e su di esse i più grandi teologi hanno basato le ricerche e hanno cercato di capirne il significato più pieno. Chiunque voglia vedere Cristo Risorto non è alla storia che deve guardare ma alla fede. Tramite essa noi possiamo sperimentare Gesù risorto mettendo in pratica nella nostra vita il suo messaggio, vivendo il più possibile come lui è vissuto. È questo il messaggio che viene presentato in forme diverse nei vangeli, ove ogni evangelista e comunità si premura di farci pervenire una esperienza sempre viva e attuale. Nel quarto Vangelo, quello di Giovanni, Gesù appare nel cenacolo ove sono riuniti i discepoli. In Matteo, Gesù dice alle donne che per vederlo i suoi discepoli devono andare in Galilea, a 300 km di cammino da Gerusalemme, che all'epoca venivano coperti in almeno una settimana. In Luca, Egli appare a due delusi discepoli che in richiamo ad una vecchia immagine del messia, sono diretti a Emmaus. Quindi tre episodi totalmente diversi e incongruenti, sia come spazialità che come temporalità. Allora vediamo quali possono essere gli aspetti salienti che li accomuna. In Giovanni Gesù dirà: "Come il Padre ha mandato me io così mando voi" (Gv 20,21); cioè praticate il mio messaggio e avrete una vita indistruttibile, divina, e perciò sperimenterete che io sono vivo. In Luca i due distratti discepoli di Emmaus si accorgono che il viandante incontrato casualmente per strada è Gesù quando spezza il pane, Gesù che si fa pane per gli altri: e quel gesto fa vedere che egli è vivo e vivificante. In Matteo 28, Gesù li invita a vederlo in Galilea, dove ha predicato le Beatitudini. Dice il vangelo, "non è più qui, è stato resuscitato". Egli è una nuova creazione da parte di Dio, quindi non una rianimazione di cadavere, ma una nuova creazione. Gesù resuscitato viene sperimentato tale mettendosi nella stessa lunghezza d'onda dell'amore di Dio (Alberto Maggi). Lo si sperimenta vivo mettendo in atto le beatitudini, cioè l'invito del Maestro a prendersi cura degli altri, orientando la propria vita al bene del prossimo. Ecco mi sembra che il punto saliente sia qui: non hanno importanza le modalità della resurrezione di cui nessun vangelo le narra, quando il modo e l'insegnamento trasmesso di sperimentare Cristo vivente nella nostra vita reale, attuando sempre il suo insegnamento. Non cercare di vedere il miracolo e il segno prodigioso che è del diavolo, quanto invece con gli occhi del vero credente attualizzare il vangelo nella nostra vita. La vita eterna che Gesù ci dona non è per il futuro ma per il presente, adesso. Insegnandoci a farci pane per gli altri, egli ci indica il modo di acquisire una qualità di vita che sconfigge la morte, poiché l'unica cosa che ha valore eterno è il bene che si fa agli altri. Secondo Gesù la morte è una trasformazione che comincia già in questa vita, la quale si arricchisce del bene che produce. Ciò comporta l'acquisizione della pienezza della condizione divina che ci permette di continuare a collaborare con Dio alla continua creazione del mondo. La morte consente ad ogni uomo di esplodere nella vita senza fine, come il seme che muore nella terra prima di dare origine alla pianta, se vissuta all'insegna del bene e del dono di sé. Nessun Vangelo, dei 4 canonici, ci dice come Gesù è resuscitato; ma tutti ci danno indicazioni precise su come sperimentarlo vivente. Fare l'esperienza di Gesù risorto, vedere e rendere visibile Cristo in mezzo a noi, nella sua comunità, è possibile applicando alla nostra esistenza l'insegnamento dell'amore agape: le Beatitudini, predicate sul monte di Galilea. Ecco perché il Vangelo di Matteo ci invita ad andare sul monte in Galilea per vederlo resuscitato. La comunità dei credenti è una comunità composta da Signori: il ricco è colui che dà e possiede, il Signore è colui che dona. Nella comunità di Gesù, che è il regno di Dio sulla terra, non si possiede ma si condivide; non si sale nella scala del potere ma si scende; non si comanda agli altri ma si serve. Solamente così rendiamo la resurrezione di Gesù da un puro atto di fede un atto storicamente rinnovabile e sempre attuale in ogni tempo e luogo. La fede è un fatto personale e risponde alla coscienza di ognuno. Poi diventa anche fede dottrinaria e risponde alla comunità a cui si appartiene, e in questo caso alla chiesa, ma essa non deve imporre ciò che ognuno di noi non ritiene accettabile di fronte alla propria intelligenza e alla propria coscienza. La teologia cattolica impone di credere alla resurrezione come avvenimento storico. Ma essa non ha niente di storico, solo le apparizioni e la tomba vuota sono le uniche prove indirette e narrate che abbiamo della storicità di un evento che se fosse tale perderebbe il suo carattere universale e valido per tutti. Credere alla resurrezione è una esperienza di fede che certo non era sconosciuta ai primi discepoli, tanto è vero che certe incongruenze temporali post mortem di Gesù che si incontrano nelle narrazioni del vangelo, più di significato teologico che cronachistico, si spiegano col fatto che Gesù invita i suoi a fare esperienza della resurrezione sul monte di Galilea, a 300 km da Gerusalemme, che altro non è che il monte ove egli aveva proclamato le Beatitudini, la nuova legge fondata sull'amore. Solo agendo secondo quei comandamenti dell'amore delle otto beatitudini del vangelo di Matteo, la comunità farà esperienza del Gesù risorto. Così la stessa cosa può essere citata per Emmaus con il gesto dello spezzare il pane: ogni volta che ripetiamo il gesto, non il rituale, e quindi conformiamo la nostra vita a quella di Gesù facendoci pane spezzato per gli altri, noi facciamo rivivere il risorto in mezzo a noi. Quindi non è Gesù che si rende riconoscibile a chi vuole lui come premio e garanzia di fedeltà, così come l'eucarestia che non deve essere esclusiva di alcuni meritevoli, discriminando altri escludendoli dalla mensa, ma è la fede in Gesù che lo rende visibile e vivente nella sua comunità e come tale deve essere accessibile a tutti, specie i più deboli e peccatori. Quanto a me personalmente non mi cambia nulla se questo è un fatto storico o meno, a me interessa la sua Parola, che è Parola di vita eterna e come tale capace di superare la morte. Dovrebbe valere per tutti la dichiarazione di fede di Simon-Pietro: "Signore da chi andremo? solo tu hai parole di vita eterna", che dovrebbe sostituire a mio avviso quell'ingombrante mea culpa recitato prima di accedere all'eucarestia: Signore non sono degno... Si risorge giorno dopo giorno accanto alla Parola del Signore, beati coloro che l'ascoltano e la mettono in pratica, essi vedranno Dio.

 

 

 

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Le apparizioni del Risorto

 

 

Karl Rahner è uno dei teologi più fecondi della nostra epoca. La sua cristologia ha questo compito: formulare il dogma - Dio è uomo nella figura di Gesù Cristo fatto uomo completo - senza lasciare spazio a dubbi e a concezioni mitologiche, adeguando il contenuto del dogma alla situazione attuale con linguaggio moderno. Questa riflessione teologica avviene partendo dalla trascendenza della cristologia, che succede all'incontro col Gesù storico che diventa Cristo. Il presupposto teologico da cui parte Ranher è la potenza obbedienziale, apriorica verso l'autorivelazione di Dio all'uomo che si pone in ascolto della parola umana con la quale Dio sceglie di rivelarsi. Grazie alla sua autocoscienza e alla sua libertà, l'uomo è l'essere che può trascendersi e proiettarsi verso il mistero di Dio, come colui che "osa sperare che questo mistero si offra a lui" cosicché "la finitudine umana possa in qualche modo divenire partecipe dell'infinito". Su questa speranza l'uomo gioca la sua libertà, sorretta dalla possibilità della "auto partecipazione di Dio", fine ultimo di questo processo dinamico. Animato da questa speranza "arditissima", l'uomo cerca nella storia quella promessa di salvezza assoluta, definitiva, escatologica. Chi incarna questa promessa deve essere una persona che si consegna alla morte, rinunciando al mondo ("coraggio io ho vinto il mondo"): e dall'altro lato accettando liberamente la sua morte, mostri di essere accettata da Dio. Questo è il Salvatore Assoluto. Egli stesso, rivestendo se stesso della assoluta obbedienza, spogliando se stesso, diventa Dio stesso, incarna perfettamente il Logos divino, diventando natura umana. Nella sua kenosis Dio non muta la sua perfetta immutabilità, perché è proprio della perfezione di Dio mutare in qualcosa di finito, e se non potesse farlo non sarebbe perfetto. Quando il Logos diventa uomo, questa sua umanità non è qualcosa che preesiste, ma che diviene e sorge nella sua estrinsecazione. Questo uomo è l'auto comprensione di Dio nella estrinsecazione di sé attraverso la quale Dio esprime se stesso. Quindi Gesù è l'auto promessa di Dio all'uomo e la realizzazione di questa speranza. Vediamo come. Naturalmente Gesù è una vicenda storica, visse i contrasti con il potere religioso e politico del suo tempo che ne facevano prevedere l'esito finale e mortale, senza però essere votato alla morte salvifica. Dice Ranher che Gesù si volgeva verso Dio con coscienza umana, in atteggiamento creaturale, con obbedienza libera e adorante, con consapevole coscienza di un rapporto unico con Dio, che veniva verbalizzato con l'annuncio del regno, che come Salvatore assoluto (vedi sopra) egli presenta per mezzo di lui e in lui, ora, per tutti gli uomini. Con la sua libera accettazione della morte, e con la resurrezione, viene cosi soddisfatta la condizione che vuole la accettazione di essa da parte di Dio. Possiamo parlare della resurrezione di Cristo perché l'uomo nutre la speranza trascendentale della sua stessa resurrezione. Se questa speranza non ci fosse anche quella di Cristo sarebbe rigettata. L'uomo cioè nutre la previa speranza di essere definitivamente e totalmente realizzato. La morte con la quale siamo perennemente a contatto non può essere la fine biologica di tutto. L'uomo è stato anche libertà di bene e di male, e le sue azioni si sono attuate nel tempo e nello spazio, pur non essendo definitive. Solo con la morte si raggiunge tale definitività. Ciò che l'uomo ha realizzato, non rimane circoscritto nel tempo, ma nello spirito e nella libertà: cioè conta ciò che realizziamo in vita grazie alla libertà dello spirito, e questo permane definitivamente. Se si accetta questo concetto si accetta la resurrezione propria, e in questa speranza trascendentale ci si apre alla fede nella resurrezione in Cristo, non cadendo in macroscopici errori di valutazione di credere ad una rianimazione di cadavere. La resurrezione di Gesù quindi diventa un fatto che noi speriamo per noi stessi. Dicevo non confondere tale speranza con la rianimazione di un cadavere, con il ritorno di un morto alla dimensione biologica. Neppure come il sopravvivere di una idea nella coscienza dei discepoli della "causa di Gesù" che continua. Significa invece che un "certo" uomo è passato nella definitività della sua esistenza. L'annuncio di tale evento che offre alla speranza trascendentale dell'uomo un fatto su cui riflettere, è data dagli apostoli. La resurrezione, dice Ranher, viene attinta solo nella fede che sa di essere stato di liberazione da uno stato di finitezza, delle colpe e della morte, e che questa libertà è stata rivelata a noi e verificata in Gesù stesso. Fede ed esperienza pasquale (resurrezione) sono intrecciati in filo unico, ma tale esperienza è stata vissuta solo dai credenti: Gesù risorge nella fede dei discepoli. I racconti pasquali sono dei rivestimenti plastici e drammatici secondari ("nessuna storicità dai vangeli riguardo questi eventi" dice Ranher, non il papa), perché i dati non collimano. In ogni caso la resurrezione va vista anche con una certa ottica "storica" essendo validata dalla tomba vuota e dalle apparizioni del Risorto, testimoniate in varie occasioni dagli apostoli come fatti oggettivi. Anche se si tratta, a detta dello stesso Ranher, di esperienze sui generis. Esiste cioè una certa incommensurabilità tra l'esperienza degli apostoli e l'evento. In "Lealtà Intellettuale" Ranher afferma che non si tratta di una esperienza di una realtà intra mondana; in "Esperienza Pasquale" parla di un incontro con uno che ha già raggiunto lo stato perfetto; in "Resurrezione di Gesù" dice che si tratta di un contatto con una esistenza già compiuta. Ecco perché è una esperienza sui generis, cioè particolare. Anche se fosse un individuo in carne e ossa, si tratta pur sempre di un "glorificato" che si mostra a chi ancora non lo è, quindi non in grado di percepirne l'intima essenza. Poiché tale evento non è continuo né ripetibile, spetta agli apostoli darne opportuna testimonianza. È importante sottolineare come Ranher, affermando che l'esperienza delle apparizioni e quindi del Risorto non rientra nelle comuni accezioni dei fenomeni conoscibili, "non è possibile parlare di storicità dell'evento", anche perché un evento storico non ne determina il superamento (cioè se questo evento fosse storicizzabile perderebbe il suo valore universale). Secondo, fu una esperienza soggettiva, vissuta in maniera diversa da ogni apostolo, il che giustifica le varie apparizioni. Nella sua opera "Cristologia", Ranher dice che quanto gli apostoli sperimentarono e credettero per testimoniarlo è che questo Gesù è accettato da Dio in pienezza, che con lui si dà una vicinanza nuova con Dio che egli chiama Regno di Dio venuto-veniente che invita ad accettare o rifiutare. In lui si compie la parola definitiva di Dio sull'umanità, come concordano le visioni del nuovo testamento. Certamente sui discepoli esiste la concezione della resurrezione comune a tutta Israele del tempo. Guardando quindi a quanto esemplarmente si verifica efficacemente in Gesù, diveniva per loro possibile credere questo anche per loro stessi. Come dicevamo sopra, questa è la condizione per credere alla resurrezione. La testimonianza, anche visiva, dei discepoli è fondante invece per la nostra fede. Ma tale testimonianza non sarebbe sufficiente poiché deve fare i conti con la nostra esperienza, è cioè incommensurabile. Per rendere univoche le due cose, bisogna metterle sullo stesso piano esperenziale ed esistentiva. Quindi bisogna avere la stessa percezione di esperienza trascendentale alla speranza e la stessa sensibilità allo Spirito che la sostiene. È proprio questa esperienza interiore dello Spirito che la sorregge a rendere possibile la connessione tra fede e vita, come un evento che si nutre all'interno della coscienza di ognuno in virtù della grazia. Vivere tale evento con la speranza di ognuno nella propria resurrezione, apre gli occhi con la fede sulla resurrezione di Gesù, e ci permette di abbandonarci alla forza liberatrice della pienezza di vita di Gesù stesso, che così diventa la nostra. Dice Ranher: "credendo e sperando nella nostra resurrezione noi sperimentiamo il nostro coraggio di stare al di sopra della morte".

 




 

 

 

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