Leggere le
Scritture
Testi di
Gioacchino
Resurrezione di Piero della Francesca
Resurrezione
Cosa significa dire "Gesù è
resuscitato"? Significa che un cadavere è stato rianimato ed
è stato riportato alla vita, oppure qualcosa d'altro? E se cosi
è avvenuto, perché i due discepoli di Emmaus,
nel Vangelo di Luca, o Maria di Magdala non
riescono a riconoscerlo subito? Erano passate neanche 36
ore dalla sua morte, era così diverso dunque da non essere
riconosciuto il Cristo da persone che fino a qualche ora prima erano suoi
commensali? O c'è qualche significato
profondo e altro da cogliere? Io sono profondamente convinto per la fede che
professo, che |
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Le apparizioni del Risorto
Karl Rahner è uno dei
teologi più fecondi della nostra epoca. La sua cristologia ha questo
compito: formulare il dogma - Dio è uomo nella figura di Gesù
Cristo fatto uomo completo - senza lasciare spazio a dubbi e a concezioni mitologiche,
adeguando il contenuto del dogma alla situazione attuale con linguaggio moderno.
Questa riflessione teologica avviene partendo dalla trascendenza della
cristologia, che succede all'incontro col Gesù storico che diventa
Cristo. Il presupposto teologico da cui parte Ranher
è la potenza obbedienziale, apriorica verso l'autorivelazione
di Dio all'uomo che si pone in ascolto della parola umana con la quale Dio
sceglie di rivelarsi. Grazie alla sua autocoscienza e alla sua
libertà, l'uomo è l'essere che può trascendersi e proiettarsi verso il mistero di Dio, come colui che
"osa sperare che questo mistero si offra a lui" cosicché
"la finitudine umana possa in qualche modo divenire partecipe
dell'infinito". Su questa speranza l'uomo gioca la sua libertà,
sorretta dalla possibilità della "auto partecipazione di
Dio", fine ultimo di questo processo dinamico. Animato da questa
speranza "arditissima", l'uomo cerca nella storia quella promessa
di salvezza assoluta, definitiva, escatologica. Chi incarna questa promessa
deve essere una persona che si consegna alla morte, rinunciando al mondo
("coraggio io ho vinto il mondo"): e
dall'altro lato accettando liberamente la sua morte, mostri di essere
accettata da Dio. Questo è il Salvatore Assoluto. Egli stesso,
rivestendo se stesso della assoluta obbedienza,
spogliando se stesso, diventa Dio stesso, incarna perfettamente il Logos
divino, diventando natura umana. Nella sua kenosis Dio non muta la sua
perfetta immutabilità, perché è proprio della perfezione
di Dio mutare in qualcosa di finito, e se non potesse farlo
non sarebbe perfetto. Quando il Logos diventa uomo, questa sua umanità
non è qualcosa che preesiste, ma che diviene e sorge nella sua
estrinsecazione. Questo uomo è l'auto
comprensione di Dio nella estrinsecazione di sé attraverso la quale
Dio esprime se stesso. Quindi Gesù è
l'auto promessa di Dio all'uomo e la realizzazione di questa speranza.
Vediamo come. Naturalmente Gesù è una vicenda storica, visse i
contrasti con il potere religioso e politico del suo tempo che ne facevano
prevedere l'esito finale e mortale, senza però essere votato alla
morte salvifica. Dice Ranher che Gesù si
volgeva verso Dio con coscienza umana, in atteggiamento creaturale, con
obbedienza libera e adorante, con consapevole coscienza di un rapporto unico
con Dio, che veniva verbalizzato con l'annuncio del
regno, che come Salvatore assoluto (vedi sopra) egli presenta per mezzo di
lui e in lui, ora, per tutti gli uomini. Con la sua libera accettazione della
morte, e con la resurrezione, viene cosi soddisfatta
la condizione che vuole la accettazione di essa da parte di Dio. Possiamo
parlare della resurrezione di Cristo perché l'uomo nutre la speranza
trascendentale della sua stessa resurrezione. Se questa speranza non ci fosse
anche quella di Cristo sarebbe rigettata. L'uomo
cioè nutre la previa speranza di essere definitivamente e totalmente
realizzato. La morte con la quale siamo
perennemente a contatto non può essere la fine biologica di tutto.
L'uomo è stato anche libertà di bene e di male, e le sue azioni
si sono attuate nel tempo e nello spazio, pur non essendo definitive. Solo
con la morte si raggiunge tale definitività.
Ciò che l'uomo ha realizzato, non rimane circoscritto nel tempo, ma
nello spirito e nella libertà: cioè conta ciò che
realizziamo in vita grazie alla libertà dello spirito, e questo
permane definitivamente. Se si accetta questo concetto
si accetta la resurrezione propria, e in questa speranza trascendentale ci si
apre alla fede nella resurrezione in Cristo, non cadendo in macroscopici
errori di valutazione di credere ad una rianimazione di cadavere. La
resurrezione di Gesù quindi diventa un fatto che noi speriamo per noi
stessi. Dicevo non confondere tale speranza con la rianimazione di un
cadavere, con il ritorno di un morto alla dimensione biologica. Neppure come
il sopravvivere di una idea nella coscienza dei
discepoli della "causa di Gesù" che continua. Significa
invece che un "certo" uomo è passato nella definitività della sua esistenza. L'annuncio di tale evento che offre alla speranza trascendentale
dell'uomo un fatto su cui riflettere, è data dagli apostoli. La
resurrezione, dice Ranher, viene
attinta solo nella fede che sa di essere stato di liberazione da uno stato di
finitezza, delle colpe e della morte, e che questa libertà è
stata rivelata a noi e verificata in Gesù stesso. Fede ed esperienza
pasquale (resurrezione) sono intrecciati in filo
unico, ma tale esperienza è stata vissuta solo dai credenti:
Gesù risorge nella fede dei discepoli. I racconti pasquali sono dei
rivestimenti plastici e drammatici secondari ("nessuna storicità
dai vangeli riguardo questi eventi" dice Ranher,
non il papa), perché i dati non collimano. In ogni caso la
resurrezione va vista anche con una certa ottica "storica" essendo
validata dalla tomba vuota e dalle apparizioni del Risorto, testimoniate in varie
occasioni dagli apostoli come fatti oggettivi. Anche se si tratta, a detta
dello stesso Ranher, di esperienze sui generis. Esiste cioè una
certa incommensurabilità tra l'esperienza degli apostoli e l'evento.
In "Lealtà Intellettuale" Ranher
afferma che non si tratta di una esperienza di una
realtà intra mondana; in "Esperienza
Pasquale" parla di un incontro con uno che ha già raggiunto lo
stato perfetto; in "Resurrezione di Gesù" dice che si tratta
di un contatto con una esistenza già compiuta. Ecco perché
è una esperienza sui generis, cioè particolare. Anche se fosse un individuo
in carne e ossa, si tratta pur sempre di un "glorificato" che si
mostra a chi ancora non lo è, quindi non in grado di percepirne
l'intima essenza. Poiché tale evento non
è continuo né ripetibile, spetta agli apostoli darne opportuna
testimonianza. È importante sottolineare come
Ranher, affermando che l'esperienza delle
apparizioni e quindi del Risorto non rientra nelle comuni accezioni dei
fenomeni conoscibili, "non è possibile parlare di
storicità dell'evento", anche perché un evento storico non
ne determina il superamento (cioè se questo evento fosse
storicizzabile perderebbe il suo valore universale). Secondo, fu una esperienza soggettiva, vissuta in maniera diversa da
ogni apostolo, il che giustifica le varie apparizioni. Nella sua opera
"Cristologia", Ranher dice che quanto gli
apostoli sperimentarono e credettero per
testimoniarlo è che questo Gesù è accettato da Dio in
pienezza, che con lui si dà una vicinanza nuova con Dio che egli
chiama Regno di Dio venuto-veniente che invita ad accettare o rifiutare. In
lui si compie la parola definitiva di Dio sull'umanità, come
concordano le visioni del nuovo testamento. Certamente sui discepoli esiste
la concezione della resurrezione comune a tutta Israele
del tempo. Guardando quindi a quanto esemplarmente si
verifica efficacemente in Gesù, diveniva per loro possibile
credere questo anche per loro stessi. Come dicevamo sopra, questa è la
condizione per credere alla resurrezione. La testimonianza, anche visiva, dei
discepoli è fondante invece per la nostra fede. Ma
tale testimonianza non sarebbe sufficiente poiché deve fare i conti
con la nostra esperienza, è cioè incommensurabile. Per rendere
univoche le due cose, bisogna metterle sullo stesso piano esperenziale
ed esistentiva. Quindi
bisogna avere la stessa percezione di esperienza trascendentale alla speranza
e la stessa sensibilità allo Spirito che la sostiene. È proprio
questa esperienza interiore dello Spirito che la sorregge a rendere possibile
la connessione tra fede e vita, come un evento che si nutre all'interno della
coscienza di ognuno in virtù della grazia.
Vivere tale evento con la speranza di ognuno nella
propria resurrezione, apre gli occhi con la fede sulla resurrezione di
Gesù, e ci permette di abbandonarci alla forza liberatrice della pienezza
di vita di Gesù stesso, che così diventa la nostra. Dice Ranher: "credendo e
sperando nella nostra resurrezione noi sperimentiamo il nostro coraggio di
stare al di sopra della morte". |
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