Leggere le Scritture

Testi di Gioacchino La Greca

 

 

SCHIAVI O LIBERI. L’AMORE CI FA LIBERI

 

 

Adorazione del Vitello d'oro di Nicolas Poussin

 

 

Gli avvenimenti e le ricorrenze  liturgiche che durante l’anno civile celebriamo come ringraziamento e ricordo di eventi salvifici, Natale e Pasqua, ormai vengono considerati quasi come avvenimenti mondani e continuano ad essere lontani dai loro significati originari e spirituali. Anzi sono sempre più manifestazione e ripetizione di riti ormai pagani, legati al consumismo e a giorni di festa, storicamente più o meno modeste a secondo dei cicli economici,  ma in linea con la nostra evoluta ma ormai decadente civiltà occidentale industrializzata e  capitalistica.

Essendo spesso in auto per lavoro, da una radio ascoltavo una lezione teologica sui Comandamenti. Tanto per cambiare. Tutto incentrato sulla figura di Mose, il radio predicatore si infervorava sempre più ogni volta che pronunciava le parole Obbedienza e Osservanza. Sono due verbi e due atteggiamenti di spirito che racchiudono in se stessi la parola servitù. Ma siccome si stava parlando di Dio, è chiaro che a lui si deve solo  obbedienza. Si potrebbe pensare di trasgredire un comando divino? Già in passato un frutto colto da un albero costò un’ira di dio, figuriamoci con i suoi Comandamenti.

Mentre stavo col mio predicatore, mi chiedevo quante volte avessi udito trasmissioni educative sulla Nuova Legge che Cristo è venuto a consegnarci con l’esempio della sua vita e della sua morte. In effetti sono sempre state ben poche le occasioni di sentire parlare qualcuno, in trasmissioni generiche o dibattiti popolari per non specialisti, delle Beatitudini, la legge nuova dell’amore che libera. Perché sono cosi importanti, e aggiungo io decisive per una nuova coscienza cristiana?

Sono fondamentali perché esse stanno a trasmettere una nuova immagine di Dio e di un nuovo rapporto tra noi e il Signore, che necessariamente deve passare dal prossimo. Non possiamo dire di amare Dio, se questo amore non si traduce in qualcosa di positivo verso il nostro prossimo.

Con i comandamenti invece l’atteggiamento verso Dio è di pura osservanza o divieto. Tali sono i primi tre dispositivi della legge, mentre gli altri sono impedimenti all’azione, seppur nociva, nei confronti dell’altro.

Se analizziamo in profondità sembra quasi un continuo “non fare questo, non fare quello”, con cui genitori premurosi ma repressivi educano un bambino troppo capriccioso.

In effetti è tale l’umanità agli albori della storia conosciuta, proprio come un bambino che deve crescere e al quale si devono tarpare le ali dei desideri da soddisfare, che non sono tutti leciti. Ecco perché la cara vecchia Legge, che Dio scrisse su tavole di pietra, vergandola col suo dito, e che è stata per lungo tempo così in auge,  adesso deve essere tenuta nella giusta considerazione senza spropositi, ne fraintendimenti.

Dice S. Paolo (Col 2, 16) ”Nessuno più vi giudichi in fatto di cibo o bevanda, o riguardo a feste, noviluni, sabati….la realtà è Cristo”.

Sul Sinai dunque, Mose ricevette con le modalità bibliche che tutti conosciamo, naturalmente non prendendole alla lettera, le due Tavole di pietra, (Es, 19,20) affinché la Legge servisse da guida e fosse propedeutica al cammino di civiltà di un popolo di “schiavi” fuggitivi, che si apprestavano ad assumere dignità di popolo libero e affrancato.

La Legge fu scritta su tavole di pietra perché potesse avere valore eterno, visto che la pietra è materiale duraturo in questo senso. Ma gli ebrei, popolo di “dura cervice” (Es 33,5) e cuore chiuso allo spirito di libertà, che il deserto in cui vagavano ben rappresenta, erano abituati ormai all’asservimento e all’obbedienza ad un Faraone. Essendo ligi alla schiavitù, di cui rimpiangevano le cipolle e l’aglio, costoro, che adesso si nutrivano di manna del cielo e di rugiada, non potevano certo resistere senza un padrone-divinità a cui obbedire e piegare le ginocchia. Ecco perché nell’attesa di Mosè, asceso al Sinai, pregarono Aronne di costruirgli un idolo d’oro da adorare. (Es, 32, 1).

Fu così che quando scese dal Monte, Mosè non poté non credere a quello indegno spettacolo di schiavitù primitiva e idolatrica: un popolo che si prostrava ai piedi di un idolo simbolo di potenza e fertilità, che veniva celebrato e adorato come condottiero di quel popolo che schiavo era e tale voleva restare.

L’ira del Legislatore proruppe sacrilegamente nell’infrangersi delle tavole ai piedi della montagna. Poi bruciò il vitello e la polvere, sparsa nell’acqua, finì trangugiata dai pervertiti figli di Israele (Es 32,20).

La volontà divina cozzava con quella degli uomini e inaspettatamente era quella che andava in frantumi.

Il popolo schiavo sembrava aver cambiato in peggio le sue sorti scegliendo il Padrone sbagliato, come sempre succede quando le scelte sono dettate dalla necessità, inclinato al male, come confessa Aronne a Mose.

Quel giorno per mano dei Leviti e di Mosè perirono tremila uomini del popolo traditore. Ma Dio è sposo fedele e rincorre sempre l’amata infedele, e la Legge prese il posto che le spettava e anche Dio camminò col suo popolo nella Tenda del Convegno (Es 33,7), santa, ove Mosè incontrava Jahve, o davanti come nube, ora protettiva, ora minacciosa.

La legge incisa su pietra venne ad abitare nel popolo, ma la sua osservanza non fu costante, non era sufficiente. Non c’è Legge eterna che possa sopravvivere all’uomo se questa viene imposta dall’alto e dall’esterno. Inoltre la legge, col passare del tempo, che corrompe e cambia tutto, venne mutata da volontà divina a volere di uomini, e fu gravata da pesi impossibili da portare (Mt 23,4).

Poteva allora un Dio previdente e premuroso permettere che questo accadesse? No, certamente, e fu così che nel momento opportuno, memore del patto stretto con l’uomo, quando fu il Kairos stabilito, (Mc 1,15), avvenne il dovuto.

Lo Spirito e il Logos, con una arditezza e un’intelligenza che potevano essere solo divini, permisero con l’Incarnazione che Dio potesse prendere carne di uomo, fino alle sue più intime profondità con il completo annichilimento dell’essere, avvenuto in croce, per poi risorgere in pienezza divina. (Col 2,9).

 

Ma questa Incarnazione assume un vero e grande significato perché è il riuscito tentativo di dare all’uomo la strada per trovare la sua piena e vera libertà nello spirito, e la sua completa dignità. E ciò riconoscendogli la sua somiglianza con Dio nella essenza stessa (omousia, sostanza) che è l’amore, e quindi l’origine divina.

 

Quando parlo di libertà, intendo riferirmi non ad uno stato naturale dell’uomo in quanto materia-energia, legata alla forza e alla necessità, ma allo stato superiore di essa, allo spirito, che è lo stadio evolutivo al quale si perviene quando, lasciando l’angusto spazio  dell’Io e dell’egoismo, nel quale saremmo confinati, noi volgiamo l’attenzione a qualcosa che, fuori di noi, ci chiama e ci attira.

Il Bene, che ci attira, fa sì che si riconosca l’altro fuori di noi come mezzo di espressione del bene, che ci informa e al quale tendiamo. Solo in questo sforzo che ci spoglia del nostro essere, noi acquistiamo la Libertà dei Figli di Dio, liberi dalle lusinghe e dalle catene del mondo, in maniera tale che con Cristo potremmo dire anche noi “Coraggio, io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33).

 

Certo questo non significa che l’umanità non vada più soggetta alle sue cadute verso il basso e il degrado, ma adesso con Cristo abbiamo la coscienza di essere un popolo e ciò ci rende più forti e consapevoli nell’affrontare le prove dei passaggi del Mar Rosso e dei deserti della vita.

Ma come può avere attuato il Cristo questo riscatto?

È chiaro a tutti che quando è in vigore una legge ad essa si può solo obbedire, perché per osservarla si richiede solo e niente altro che obbedienza.

Con Gesù questo atteggiamento cambia. Egli con la sua vita ci ha insegnato e mostrato che non è la cieca obbedienza alle leggi e ai precetti divini quello che ci fa simili a Dio, ma è l’azione positiva verso gli altri, essere credenti attivi e compassionevoli, non solo spettatori passivi nell’ascolto del volere divino. Essendo attivi si va incontro agli altri, ai loro bisogni, come energia d’amore che si espande radialmente da ognuno, e in tale modo vivere beati, cioè felici, non nei cieli, ma nel regno di Dio in terra.

Gesù propone le Beatitudini come la Nuova Legge, che va scritta nel cuore dell’uomo, “il Signore diriga i vostri cuori nella carità di Dio” (Tess 3,5), perché è nel cuore che alberga il sentimento col quale tali Beatitudini vanno messe in pratica, in azione, cioè con l’Amore Agape, concetto che rivoluziona il rapporto tra gli esseri umani e con Dio. Infatti mentre con la Legge si ha un rapporto tra schiavo e signore, con Gesù e la sua legge si fonda un rapporto tra gli uomini basato sulla condivisione e il servizio. Da Dio si propaga un amore che non deve essere ricambiato a Dio ma al prossimo. Ecco come Gesù ci ha liberati e redenti dalla legge. E in forza di quell’amore, che lui offrì fino alla fine, noi possiamo considerarci liberi e affrancati.  Solamente così, dando amore e solidarietà, possiamo vivere in pienezza di vita e trapassare senza soluzione di continuità all’eternità, dove potremo gustare la vera libertà dello spirito.

La dinamica spirituale messa in atto dall’Amore-Agape permette la creazione di forme di umanità sempre più ampie: questo significa “essere Figli di Dio”.

 

 

 

 

Home

Argomenti di Teologia

Scrivi

 

Copyright©LaGreca2012

 

Immagine: https://it.wikipedia.org/wiki/Vitello_d%27oro