Sia l’Antico che il
Nuovo Testamento sono pieni di esempi di Beatitudini per i poveri, e di
ammonizioni e minacce contro i ricchi. Addirittura è contemplata la
sterilità, cioè l’incapacità di concepire, come simbolo dell’aridità del
cuore, mentre chi viene premiata è l’umiltà della vergine ancella, a cui il
Signore guarda dall’alto (Lc 1,48).
Consideriamo
solamente il Vangelo in questo capitolo, dove è presente un’ampia umanità con
cui Gesù si schiera e che chiama “poveri”. Chi sono? Sono i piccoli, gli ultimi
della società, gli esclusi; quelli che non contano, i trascurati, i
disprezzati e calunniati; i perseguitati, coloro che dispongono di poco, che
vivono dell’essenziale. E poi i peccatori e i pagani, accomunati da uno stato
di perenne impurità, per i quali era impossibile avvicinarsi al tempio e al
dio del tempio; c’è il disabile, la vittima, il sofferente. Insomma il povero
è l’uomo debole, per uno stato di indegnità e di indigenza indipendenti dalla
sua volontà, spesso vittima delle circostanze sfortunate della vita o della
cattiveria degli uomini.
Con questo tipo
di persone Gesù forma la sua prima comunità, forgiando un’etica rivoluzionaria
che cancella ogni legge del più forte, mettendo al primo posto il Bene
dell’Uomo.
È quanto
sottolinea J. Castillo, che dice come Gesù abbia introdotto un criterio
sovversivo da autentico rivoluzionario sociale, nel senso di un’inversione di
valori e situazioni cristallizzate dal tempo, che si applica alla vita delle
persone e alla società nella dimensione della solidarietà che deve affermarsi
al di sopra del diritto. Solo a partire dall’eguaglianza o, meglio ancora dal
basso, si crea pertanto solidarietà, poiché solo dall’ultimo posto è
realmente possibile alleviare la sofferenza e diffondere felicità e realizzare
il cambiamento e il nuovo Regno.
All’opposto c’è
un altro tipo di umanità, il ricco, distratto dal possesso dei beni, succube
della schiavitù dell’avere (Mc 10,23 in cui il
giovane che corre mostra possessione ad opera dei beni di cui non può
disfarsi per seguire Gesù). C’è il potente preso dalle preoccupazioni del
comando, indurito dall’ego, colui che regola i rapporti con la forza, che si
impone sul debole.
Questo tipo di
“povertà” è quella di chi si accontenta del necessario e del poco, il che
suona quasi blasfemo in tempi in cui profitto e possesso sono i demoni del
mondo. Povertà è quella dello stesso Gesù e dei suoi discepoli, della povera
vedova, che nel tempio dà la sua offerta per i bisognosi quando è lei quella
che il tempio dovrebbe sostenere. E ancora, “povertà” è quella dello spirito
delle Beatitudini, punto centrale e cuore della Rivelazione, la povertà che
ha esperienza delle sofferenze dell’esistenza e delle situazioni di
esclusione.
Il biblista Alberto Maggi
sottolinea come Gesù non ha proclamato beati i disgraziati della società
opulenta e beatificato quelle condizioni di sofferenza e di dolore, né ha
proclamato beati quelli che la società affama e opprime. Gesù è venuto per
eliminare la povertà, per strappare i miseri dalla condizione di indigenza e
di dolore. Gesù vuole portare a compimento la volontà del Padre, il bene e la
felicità dell’uomo, dando la certezza che il Cristo è presente in una comunità
dove non esistono gerarchie e diseguaglianze,
ricchi e non abbienti, chi comanda e chi è schiavo, ma dove tutti sono e si
comportano da fratelli, responsabili gli uni della felicità e del benessere
dell’altro.
La povertà che ci
ha insegnato Gesù ha un grande valore spirituale, perché è la strada per
giungere al centro dell’umanità. Essa è infatti ”essenzialità e semplicità”,
cioè capacità di svuotare se stessi del proprio “ego” diventando “genuinità e
nudità”. Possiamo affermare con H. Balthasaar, che i poveri per la mancanza di qualcosa di
proprio, dispongono dello spazio per accogliere con gioia Dio e il suo
messaggio, hanno l’atteggiamento di un’anima generalmente aperta, che permane
nell’ascolto e nell’accoglimento della parola.
Una volta che
l’individuo riesce a cancellare la sua “prospettiva”, che vede se stesso come
centro del cosmo, si acquista un’apertura logica diversa, ad ampio raggio, e
questo salto in alto che si compie permette di vedere tutte le catene che
legano gli uomini alla necessità, tutto il vuoto che riempie i nostri modi
del vivere comune, svilendone i contenuti, ci si rende conto della povertà di
tali situazioni e di come non si è liberi, ne tanto meno autosufficienti. E
perciò si sente il bisogno di incrementare se stessi, la parte buona dell’Io,
e si desidera qualcosa di più importante, ci si pone al servizio di ciò che
ha più valore, in attesa del suo nutrimento.
Afferma il
teologo Vito Mancuso che “l’anima diviene divina quando cessa di volere
diventare qualcosa di importante, affermare se stessa, diventare qualcuno.
Quando l’anima si fa povera, aderendo al nudo essere qui, felice di esserci,
conciliata, innocente, essa aderisce totalmente all’ininterrotto processo
divino… Siamo noi che dobbiamo tornare ad essere come bambini, tornare
innocenti, ottenere l’immortalità mediante la povertà dello spirito che non
vuole nulla e che è semplicemente felice di essere”. Spogliandosi di se
stessa, in questa nudità, si acquista disposizione ad accogliere, apertura
alla fecondazione, inizio del cammino nella dimensione dello spirito, dove
agisce la Libertà e si cresce in umanità. “Solo a livello spirituale”, dice
Simone Weil, ”si può rinunciare alle cose
garantite” e conoscere la vera povertà di spirito.
Il povero di
spirito è colui che “niente vuole, niente ha, e niente sa” (M. Eckhart). L’uomo trova questa povertà quando retrocede
allo stato originario, dove Dio opera più facilmente, perché opera in se
stesso visto che tutte le creature sono in lui. Il farsi povero, quindi,
significa rientrare in Dio, nella situazione iniziale che richiede
svuotamento di sè e il nulla.
Quindi in questa
ricerca di apertura agli altri e di crescita interiore e spirituale si
innesta il messaggio di Amore-Agape di Cristo. Esso si avverte come bene che
riempie l’animo per cui trasborda sull’altro, su tanti altri, la comunità,
ricevendo altro nutrimento, in una dinamica di andata e ritorno che è
arricchimento reciproco. Così si diventa humus per sé e per gli altri, si
scoprono le ragioni del cuore che vanno al di là di tutti gli altri obblighi,
ci si fa umili (da humus che
significa fertile) e miti, che non è debolezza , ma dolce caparbietà, la
forza della mitezza, capace di fecondare con poco e farsi attenti al tutto.
Così avviene la crescita di tutti nella dimensione dello Spirito, così si
diventa “primi” nel senso di genuini figli di Dio, che realizzano la vera
rivoluzione di tutti gli uomini a partire da se stessi.
La povertà è
dunque la categoria umana capace di attingere alla vera umanità e di crearla
comprendendo tutti. È qui che nasce il nucleo dell’umanità, il suo archetipo,
l’elemento che unisce tutti gli uomini e che viene esaltato
dall’Incarnazione, perché Gesù appartiene a questa carne, è umile, è libero,
è vero. È questa categoria che sale con Cristo sulla croce per dare a tutti
coloro che diventano come lui, la possibilità di salvezza. La rivoluzione di
Gesù, che scardina i pilastri del comune modo di vivere, opera una totale
liberazione dell’uomo dal retaggio dell’animalità in un processo di
maturazione che è di emancipazione sociale e di profonda umanizzazione, e
dove si raggiunge la pienezza dello spirito che è accesso alla dimensione divina,
a quella che Theilhard de Chardin
chiamava punto omega. Il Crocifisso
parla a nome di questo uomo vero, per il quale si immola, innamorato del
grandioso progetto del Padre, in cui la sua morte in croce è toccare il punto
estremo dell’umanità che si è incarnata. È il processo iniziale, che porta
l’uomo alla sua divinizzazione, ecco il senso di redenzione e salvezza, una
nuova creazione di un nuovo uomo che vira energicamente il suo cammino verso
l’alto, fino al ritorno nel seno di Dio che lo ha generato.
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