Lettura
di opere letterarie
La poesia di Ketty
Daneo
Sulle tempie del mondo il sangue batte sofferenza e amore (Genesi, Torino, 1992, pp. 102) |
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L’ultimo libro di Ketty Daneo costituisce, nell’iter tracciato dalla sua
produzione, un momento importante e vitale. Giunta all’apice della parabola poetico-spirituale da noi individuata nello studio Temi
e motivi del percorso umano e poetico di Ketty Daneo (1l rinnovamento",
XXIII (1993) 214-215, pp. 67-72), la poesia della scrittrice triestina
infatti si ferma per sostare con la memoria in quei momenti o per incontrarsi
con quelle persone che di essi furono sorgente e statuto. Financo
il verso si allarga e spazia nutrendosi al seno fecondo della rievocazione. E
in questa operazione si conferma e più evidentemente
si esalta il traguardo tematico e poetico raggiunto in Schizofrenia dando
nuova vita ai motivi della sua ispirazione. La memoria dunque insegue e ricrea personaggi e
"luoghi" che fanno parte del retaggio personale e che si scoprono
patrimonio universale perché posti alle scaturigini di ogni
umano accadere: la madre, l’infanzia, l’adolescenza, e poi le persone che
l’accompagnarono nelle scansioni della vita e ne segnarono il corso: i
fratelli, il marito, l’amico, tutti uniti nell’essenziale moto dell’animo,
l’amore. Il viaggio nella memoria che Significativa è la scansione di questi
momenti, che già si trova nella dedica; dal primo "A Renato, mio
marito", esperienza totalizzante che ha raccolto ed esaltato la vicenda
umana della poetessa definendo anche quella spirituale; via via a tutti gli altri: ai fratelli, sodali e testimoni di
un tragitto che si è nutrito alla stessa sorgente; all’amico, importante
tappa che invera il sentimento;
all’adolescenza", "luogo incommensurabile degli affetti che si
definiscono e precisano; infine alla madre, incontro che conduce alle sacre
profondità della vita. È un andare alla fonte, un attingimento
delle origini. Questi eventi della memoria corrispondono alle parti della
silloge (Preludio, A mio fratello Giulio Bon, A mio fratello Enrico
Bon, A Renzo: un amico, Adolescenza, A mia madre), esaltati ed
incorniciati dalla bellissima lirica A Renato che, posta ad epitaffio,
ne è impronta e suggello. In essa
l’incontro nelle regioni eterne con l’uomo, divenuto altare nella memoria, si
configura come "seconde nozze" a cui "giorno dopo giorno
attenta al programma - vita morte -" l'autrice si prepara in sintonia
con i versi del poeta Daigaku Horiguchi
che sono in epigrafe a Preludio: '1o pesco con la canna / nello stagno
nero / per pescare le stelle". Otto componimenti fanno rivivere, tracciato negli spazi della
vicenda terrena, l’intenso rapporto d’amore con l’uomo scomparso che la
lontananza fa più puro" e che "oltre la morte" si fa
"perla serrata in verde conchiglia" (23), cioè
prezioso programma spirituale capace di trasformare i luoghi terreni in
luoghi celesti. Intense trasfigurazioni per le quali perfino il
"silenzio è punto azzurro tra le nubi" ma
soprattutto per le quali il suo uomo, divenuto "mio eterno uomo",
ogni sera è lì "sulle alte cime a spirali del cielo" (25), esso
stesso, "fragore della grande foresta", esso stesso "nelle
radici del vento" (25-27). L'incontro terreno è andato "oltre le
sbarre della vita": realmente nella intensità
della poesia "le parole" sono "petali di rose" (28) perché
il vento possa accoglierle e "portarle al tuo cielo", realmente si
accede alla certezza che "per noi esiste ancora" "un
mattino in cui la prima luce e sinfonie celesti / ci porrà un diadema
sui capelli / e avrà inizio l’eterna felicità" (29). Nell'estremo approdo spirituale l'uomo amato è divenuto una guida
"oltre le ardue strade della vita". Il binomio sofferenza-amore si allarga e si invera nelle due parti dedicate ai fratelli scandite da
un unico paradigma, la guerra. Nella prima, l’oscenità della guerra
accompagna "l’impietosa metamorfosi" del giovane che parte
"come bestiame in disperata intuizione". Se ne coglie la cifra alla
stazione in quel "delirio di voci che strozza l’incrocio degli
abbracci" e nella solennità muta di quello "sguardo incollato al
mio", fermo nello stupore del male (35). Sarà il Don, "il fiume
maciullante", mai sazio di bere sangue umano", a scandire i momenti
più assurdi di questa vicenda che si dipana nella
umiliazione che morde l'anima, tra la barbarie di alcuni ("I tedeschi
sono spiriti disumani nella loro demenza") e l’umanità di altri
("Il popolo russo è generoso, nel suo animo crescono fioretti di primule
e verbene") (37), e ad essere scenario straziante, illogicità dell’odio,
di un miracolo d’amore ("voglio bene a una ragazza siberiana") che
lega nemici di guerra (37-38). Sono infatti i
sentimenti fondamentali a corrodere la follia degli uomini evidenziandone
tutta la inutile crudeltà. Proprio qui, dolore ed amore si uniscono
nel respiro profondo del cuore, sia nell’isba, divenuta tempio di quel
miracolo e altare di un sacrificio ("ha inizio un canto sottovoce
allucinante, motivi russi antichi come il Don, in melico delirio", 41),
sia nell'intenso colloquio a distanza tra il fratello e i pochi rimasti della
famiglia. In entrambi la ragazza siberiana è insieme sacerdotessa e vittima
("Ho tradotto alla ragazza siberiana / ... una frase della tua lettera:
/ - La giovane russa ti ha offerto / un calice di sole nella
immensa steppa del Don", 44). Fratello e sorella riescono ad annullare in virtù di "quel
tempo lontano" che, condotto dalla memoria, "vibra alle tempie con
incontaminata pienezza di esistere", la lontananza fisica, ad onta della "ronda nazista" e ad onta dei
"soldati" russi "con lo sguardo incatenato sui "nostri
visi", e a sorreggersi a vicenda "sui percorsi noti solo a chi li
visse" (46-47). È così essenziale questo dialogo, posto ai confini di ogni umana regione, che la poesia acquista la solennità
epica di un rito di espiazione. Ne sono olocausto Giulio e Tajmyra, angeli umani a sottolineare
l’orrore della guerra, a condannare le sue leggi dinanzi a cui "anche
gli astri precipitano agonizzanti" (55) e dove anche i ricordi
"soffocano in trame fredde di neve e fango" (55), perché alla fine
tutti si trovino uniti nell'unica realtà, fratelli. Nella parte dedicata all'altro fratello, la guerra si disegna
sullo sfondo d’un "pugno di ideali" (67);
anche qui un rito che si consuma "sulle montagne Yugoslave"
(71), anche qui un "dolore che strangola / e ci confina per
sortilegio / oltre le ore umane, / come in una stiva nera di nave" (71)
e "brucia le nostre anime" (73), anche qui "trabocca la goccia
dell’amore" (74). Il dolore dell’amore, "che incide come bisturi /
l’anima" e sfida 1e barriere terrene", unisce i fratelli "dentro
il sangue che sprizza dalle azzurre arterie" (75). L’altro spazio segnato dai ricordi (A Renzo: un amico)
è quello per l’amico morto in cui amore e sofferenza hanno toni e
accenti diversi, quelli di "una dolce adamantina amicizia" viva di "un affetto puro religioso". Con questo obelisco al sentimento amicale si entra nella
dimensione umana in cui l’amore forgia il rapporto interpersonale inteso come
modalità primaria dell’essere. Questo momento perciò si unisce agli ultimi due tratti della silloge
(Ado1escenza e A mia madre) con i
quali siamo all’origine della poesia daneiana
là dove i motivi che l’alimentano prendono luce e ragione. L’adolescenza infatti è il luogo dove si "dischiude il grande dono
dell’amore" (85) e "il senso della vita / pulsa intenso
innocente"' (86) nel crogiuolo degli affetti familiari. "Nell’umile
casa" della madre "ricca di noi figli / scorrevano come
fiume ore felici / perché il suo amore era immenso" (87) e "una
gloria di sole e di sogni" "facevano da sfondo e guardia ai nostri
anni" (88). In quei giorni, condotti dietro la gonna della madre,
crescevano forti sentimenti (" mi si dilatava il cuore fino alla radice
/ del mio essere", 95-96). Sentimenti mai più smorzati nella vita, presenza materna mai
lontana, invece sempre viva a guidare e alimentare
di speranza il cammino della vita, se ancora oggi la poetessa può dire:
"Sulla soglia della casa / aspetti ferma nel cristallo trasparente / del
coraggio senza mai calpestare la speranza, / il cuore preme la tua casta preghiera
/ resta per noi figli come scesa dal cielo / la freschezza dei biancospino,
la tua voce" (97). La poesia della Daneo esce rinnovata e
più ricca dal bagno nella sorgente dei sentimenti intorno a quel centro che
costituisce il nesso significativo del vissuto
personale di ogni poeta. |
In "Quaderni meridionali", anno IX, n. 23-24, dicembre 1994, pp. 49-51. |
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