LO SPAZIO-TEMPO

 

 

La fisica moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati; non sono aspetti della realtà, come tendiamo a credere, ma creazioni della mente; sono parti della mappa, non del territorio. Ogni volta che estendiamo il campo della nostra esperienza, i limiti della nostra mente razionale diventano evidenti e siamo costretti a modificare, o persino ad abbandonare, alcuni dei nostri concetti.

 

I VECCHI CONCETTI DI SPAZIO E DI TEMPO

Le idee di spazio e di tempo hanno un posto preminente nella nostra mappa della realtà. Esse servono a ordinare cose ed eventi nel nostro ambiente e sono quindi di capitale importanza non solo nella vita quotidiana, ma anche nei nostri tentativi di comprendere la natura attraverso la scienza e la filosofia. Non c'è legge della fisica che per la sua formulazione non richieda l'uso dei concetti di spazio e di tempo. La profonda modificazione di questi concetti fondamentali determinata dalla teoria della relatività fu perciò una delle più grandi rivoluzioni nella storia della scienza.

La fisica classica era basata sull'idea sia di uno spazio assoluto, tridimensionale, indipendente dagli oggetti materiali in esso contenuti e regolato dalle leggi della geometria euclidea, sia di un tempo inteso come dimensione separata, anch'esso assoluto, che scorre uniformemente e indipendentemente dal mondo materiale. In Occidente, questi concetti di spazio e di tempo erano così profondamente radicati nella mente di filosofi e scienziati che furono assunti come proprietà vere e indiscusse della natura.

 

La geometria

La convinzione che la geometria, più che far parte della struttura che usiamo per descrivere la natura, sia inerente a questa ha le sue origini nel pensiero greco. La geometria assiomatica era l'aspetto principale della matematica greca ed ebbe una profonda influenza sulla filosofia greca. Il suo metodo, che consisteva nel partire da assiomi indiscussi per ricavarne dei teoremi mediante il ragionamento deduttivo, divenne caratteristico del pensiero filosofico greco; la geometria fu perciò al centro di tutte le attività intellettuali e costituì la base dell'educazione filosofica. Si dice che la porta dell'Accademia di Platone in Atene recasse la scritta «Non entri chi non conosce la geometria». I Greci ritenevano che i loro teoremi matematici fossero espressioni di verità eterne ed esatte riguardanti il mondo reale, e che le forme geometriche fossero manifestazioni della bellezza assoluta. La geometria era considerata la combinazione perfetta della logica e della bellezza e pertanto era ritenuta di origine divina. Di qui il detto di Platone, «il dio è geometra».

Poiché la geometria era vista come la rivelazione del dio, era ovvio per i Greci ritenere che i cieli dovessero avere forme geometriche perfette; ciò volle dire che i corpi celesti dovevano muoversi su orbite circolari. Per presentare il quadro in modo ancor più geometrico si pensò che i corpi celesti fossero fissati a una serie di sfere cristalline concentriche che si muovevano come un tutto unico, con la Terra nel centro.

Nei secoli successivi, la geometria greca continuò a esercitare una forte influenza sulla filosofia e sulla scienza dell'Occidente. Gli Elementi di Euclide furono il libro di testo classico nelle scuole europee fino all'inizio di questo secolo, e la geometria euclidea venne considerata la vera natura dello spazio per più di duemila anni. Fu necessaria l'opera di Einstein perché scienziati e filosofi si rendessero conto che la geometria non è inerente alla natura, ma è imposta a essa dalla nostra mente. Dice Henry Margenau:

 

«Al centro della teoria della relatività c'è il riconoscimento che la geometria... è una costruzione dell'intelletto. Solo accettando questa scoperta, la mente può sentirsi libera di modificare le nozioni tradizionali di spazio e di tempo, di riesaminare tutte le possibilità utilizzabili per definirle, e di scegliere quella formulazione che più concorda con l'esperienza».

 

 

SPAZIO E TEMPO PER LA FILOSOFIA ORIENTALE

La filosofia orientale, a differenza di quella greca, ha sempre sostenuto che lo spazio e il tempo sono costruzioni della mente. I mistici orientali consideravano questi concetti  - come tutti gli altri concetti intellettuali -  relativi, limitati e illusori. In un testo buddhista, per esempio, troviamo le seguenti parole:

 

«Il Buddha insegnava, o monaci, che... il passato, il futuro, lo spazio fisico,... e le singole cose non fossero che nomi, forme di pensiero, parole di uso comune, realtà puramente superficiali».

 

Quindi, nell'Estremo Oriente la geometria non raggiunse mai la considerazione di cui godeva nell'antica Grecia, sebbene ciò non significhi che gli Indiani e i Cinesi ne avessero una scarsa conoscenza. Essi se ne servivano ampiamente per costruire altari di precise forme geometriche, per misurare i terreni e per tracciare le mappe celesti, ma mai per determinare verità astratte ed eterne. Questo atteggiamento filosofico si riflette anche nel fatto che l'antica scienza orientale generalmente non ritenne necessario far rientrare la natura in uno schema geometrico di linee rette e di cerchi perfetti. A tale proposito, le osservazioni di Joseph Needham sull'astronomia cinese sono molto interessanti:

 

«Gli [astronomi] cinesi non sentirono la necessità di forme [geometriche] di spiegazione: gli esseri che costituivano l'organismo universale seguivano il loroT ao ciascuno secondo la propria natura, e i loro movimenti avrebbero potuto essere trattati nella forma essenzialmente "non rappresentativa" dell'algebra. I Cinesi furono quindi liberi dall'ossessione degli astronomi europei per il cerchio inteso come la più perfetta delle figure, ... né fecero l'esperienza dello stretto vincolo medioevale delle sfere cristalline».

 

Gli antichi scienziati e filosofi orientali possedevano già l'atteggiamento, tanto fondamentale per la teoria della relatività, secondo il quale le nostre nozioni di geometria non sono proprietà assolute e immutabili della natura, bensì costruzioni intellettuali.

 

Secondo le parole di Aśvaghosa,

 

«Sia chiaro che lo spazio non è altro che un modo di particolarizzazione che non ha esistenza reale di per se stesso... Lo spazio esiste solo in relazione alla nostra coscienza che particolarizza».

 

Queste stesse considerazioni valgono per la nostra idea di tempo. I mistici orientali collegano entrambe le nozioni di spazio e di tempo a particolari stati di coscienza. Essendo in grado, mediante la meditazione, di oltrepassare lo stato ordinario, essi si sono resi conto che i concetti convenzionali di spazio e di tempo non sono la verità ultima. La loro esperienza mistica porta a concetti di spazio e tempo più raffinati, che per molti aspetti somigliano a quelli della fisica moderna così come sono presentati dalla teoria della relatività.

 

NUOVA CONCEZIONE SPAZIO E TEMPO

Qual è, dunque, questa nuova concezione dello spazio e del tempo che emerge dalla teoria della relatività? Essa si basa sulla scoperta che tutte le misure di spazio e tempo sono relative. Ovviamente, la relatività delle specificazioni spaziali non costituiva nulla di nuovo. Si sapeva bene prima di Einstein che la posizione di un oggetto nello spazio può essere definita solo rispetto a qualche altro oggetto. Di solito, ciò viene fatto servendosi di tre coordinate e il punto dal quale si misurano le coordinate può essere chiamato la posizione dell'«osservatore».

 

 

Due osservatori A e B che osservano un ombrello

 

Perché la relatività di tali coordinate risulti chiara, immaginiamo due osservatori che galleggiano nello spazio e che osservano un ombrello, come nel disegno. L'osservatore A vede l'ombrello alla sua sinistra e leggermente inclinato, cosicché l'estremo superiore è un po' più vicino a lui. L'osservatore B , viceversa, vede l'ombrello alla sua destra inclinato in modo tale che l'estremità superiore risulta più distante. Estendendo questo esempio bidimensionale alle tre dimensioni, diventa chiaro che tutte le specificazioni spaziali  - quali, «sinistra», «destra», «sopra», «sotto», obliquo», ecc. –  dipendono dalla posizione dell'osservatore e sono quindi relative. Ciò era noto molto prima della teoria della relatività. Per quanto riguarda il tempo, tuttavia, la situazione nella fisica classica era completamente differente. Si supponeva infatti che l'ordine temporale tra due eventi fosse indipendente da qualsiasi osservatore, e alle specificazioni che si riferivano al tempo - quali, «prima», «dopo», o «simultaneamente» -  veniva dato un significato assoluto, indipendente da qualsiasi sistema di coordinate.

 

Einstein riconobbe che anche le specificazioni temporali sono relative e dipendono dall'osservatore. Nella vita quotidiana, l'impressione di poter ordinare gli eventi attorno a noi in un'unica sequenza temporale è creata dal fatto che la velocità della luce - 300.000 chilometri al secondo -  è tanto grande rispetto a qualsiasi altra velocità della quale possiamo avere un'esperienza diretta, che possiamo supporre di star osservando gli eventi nell'istante stesso in cui essi avvengono. Tuttavia ciò non è affatto vero, poiché la luce richiede un certo tempo per andare dall'evento all'osservatore. Normalmente, questo tempo è talmente piccolo che la propagazione della luce può considerarsi istantanea; ma quando l'osservatore si muove ad alta velocità rispetto al fenomeno osservato, il breve intervallo di tempo tra l'istante in cui avviene un evento e l'istante in cui lo si osserva svolge un ruolo decisivo nello stabilire la sequenza degli eventi. Einstein comprese che, in un caso come questo, osservatori in moto con velocità diverse ordineranno diversamente gli eventi nel tempo [1].

 

1. Per ottenere questo risultato è essenziale tener conto del fatto che la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori.

 

Due eventi che un osservatore vede come simultanei possono avvenire in diverse sequenze temporali per altri osservatori. A velocità ordinarie, le differenze sono talmente piccole che non possono essere rivelate, ma quando le velocità si avvicinano a quella della luce, esse danno luogo ad effetti misurabili. Nella fisica delle alte energie, in cui gli eventi sono interazioni tra particelle che si muovono con velocità quasi uguale a quella della luce, la relatività del tempo è ben dimostrata e ha ricevuto conferma da innumerevoli esperimenti. [2]

 

2. Si noti che in questo caso l'osservatore è in quiete nel suo laboratorio, ma gli eventi che egli osserva sono prodotti da particelle che si muovono con velocità differenti. L'effetto è lo stesso. Ciò che conta è il moto relativo tra l'osservatore e gli eventi osservati, mentre è irrilevante quale dei due si muove rispetto al laboratorio.

 

La relatività del tempo ci costringe anche ad abbandonare il concetto newtoniano di spazio assoluto. Tale spazio era immaginato come qualcosa che in ciascun istante conteneva una definita configurazione di materia; ora però si è visto che la simultaneità è un concetto relativo, che dipende dallo stato di moto dell'osservatore, e quindi non è più possibile definire un preciso istante di tempo uguale per tutto l'universo. Un evento lontano che avviene in un particolare istante per un osservatore può avvenire prima o dopo per un altro osservatore. Non si può dunque parlare in senso assoluto dell'«universo in un dato istante»: non esiste uno spazio assoluto indipendente dall'osservatore.

La teoria della relatività ha quindi dimostrato che tutte le misure che implicano spazio e tempo perdono il loro significato assoluto e ci ha costretti ad abbandonare i concetti classici di spazio e tempo assoluti. L'importanza fondamentale di questa evoluzione è stata espressa chiaramente da Mendel Sachs con le seguenti parole:

 

«L'effettiva rivoluzione avvenuta con la teoria di Einstein... fu l'abbandono dell'idea secondo la quale il sistema di coordinate spazio-temporali ha un significato obiettivo come entità fisica indipendente. Al posto di questa idea, la teoria della relatività suggerisce che le coordinate spazio e tempo sono soltanto elementi di un linguaggio che viene usato da un osservatore per descrivere il suo ambiente».

 

Questa affermazione di un fisico contemporaneo mostra la stretta affinità che c'è tra le nozioni di spazio e di tempo nella fisica moderna e quelle dei mistici orientali, i quali sostengono, con parole già da noi citate, che spazio e tempo «non sono altro che nomi, forme di pensiero, parole di uso comune».

 

Poiché spazio e tempo sono ora ridotti al ruolo soggettivo di elementi del linguaggio usato da un particolare osservatore per descrivere i fenomeni naturali dal suo punto di vista, ciascun osservatore descriverà quei fenomeni in modo diverso. Per astrarre alcune leggi naturali universali dalle loro descrizioni, gli osservatori devono formulare queste leggi in modo tale che esse abbiano la stessa forma in tutti i sistemi di coordinate, cioè per tutti gli osservatori, qualunque sia la loro posizione e il loro moto relativo. Questa condizione è nota come principio di relatività ed è stata, in effetti, il punto di partenza della teoria omonima. È interessante notare come questa teoria fosse già contenuta in forma embrionale in un paradosso che si presentò ad Einstein all'età di soli sedici anni. Egli provò a immaginare come sarebbe apparso un fascio di luce a un osservatore che viaggiasse insieme con esso alla stessa velocità, e concluse che tale osservatore avrebbe visto il fascio di luce come un campo elettromagnetico che oscillava su e giù senza propagarsi, cioè senza formare un'onda. Tuttavia, in fisica non si conosce un tale campo elettromagnetico. Il giovane Einstein pensò allora che, se era così, la stessa cosa che a un osservatore appariva come un ben noto fenomeno elettromagnetico, cioè un'onda luminosa, a un altro osservatore sarebbe apparsa come un fenomeno che contraddiceva le leggi della fisica, e questo non gli sembrò possibile.

Negli anni successivi, Einstein capì che il principio di relatività può essere soddisfatto, nella descrizione dei fenomeni elettromagnetici, solo se tutte le specificazioni, non solo spaziali ma anche e temporali, sono relative.

Le leggi della meccanica, che governano i fenomeni associati ai corpi in movimento, e le leggi dell'elettrodinamica, la teoria dell'elettricità e del magnetismo, possono allora essere formulate in uno schema «relativistico» comune che, insieme con le tre coordinate spaziali, incorpori il tempo come quarta coordinata che deve essere specificata rispetto all'osservatore.

Per verificare se il principio di relatività è soddisfatto, cioè se le equazioni di una certa teoria appaiono le stesse in tutti i sistemi di coordinate, si deve naturalmente essere in grado di tradurre le specificazioni spazio-temporali da un sistema di coordinate, o «sistema di riferimento», all'altro.

 

Tali traduzioni, o «trasformazioni», come vengono chiamate, erano già ben note e ampiamente usate nella fisica classica. Per esempio, la trasformazione tra i due sistemi di riferimento rappresentati a pag. 191 esprime ciascuna delle due coordinate dell'osservatore A (una orizzontale e altra verticale, indicate nel disegno dalle linee orientate che si intersecano) come combinazione delle coordinate dell'osservatore B, e viceversa. Le espressioni esatte possono essere ricavate facilmente con l'aiuto della geometria elementare.

Nella fisica relativistica, si presenta una situazione nuova, perché alle tre coordinate spaziali si aggiunge il tempo come quarta dimensione. Poiché le trasformazioni tra differenti sistemi di riferimento esprimono ciascuna coordinata di un sistema come combinazione delle coordinate dell'altro, in generale una coordinata spaziale in un sistema apparirà, in un altro sistema, come combinazione sia delle coordinate spaziali sia di quella temporale. Siamo in presenza di una situazione completamente nuova. Ogni variazione del sistema di coordinate ricombina spazio e tempo in un modo matematicamente ben definito. Pertanto i due concetti non possono più essere separati, poiché ciò che è spazio per un osservatore sarà combinazione di spazio e tempo per l'altro. La teoria della relatività ha dimostrato che lo spazio non è tridimensionale e il tempo non è una entità separata. Entrambi sono profondamente e inseparabilmente connessi e formano un continuo quadridimensionale chiamato «spazio-tempo». Questo concetto di spazio-tempo fu introdotto da Hermann Minkowski in una famosa conferenza del 1908 con le seguenti parole:

 

«Le concezioni di spazio e tempo che desidero esporvi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse sono fondamentali. D'ora in poi lo spazio di per se stesso e il tempo di per se stesso sono condannati a svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente».

 

I concetti di spazio e tempo sono talmente fondamentali per la descrizione dei fenomeni naturali che la loro modificazione comporta un cambiamento dell'intero schema teorico di cui ci serviamo in fisica per descrivere la natura. Nel nuovo schema, spazio e tempo sono trattati sullo stesso piano e sono connessi in modo inseparabile: nella fisica relativistica non possiamo mai parlare di spazio senza parlare di tempo, e viceversa. Ogni volta che ci si occupa di fenomeni che comportano elevate velocità, si deve usare questo nuovo schema di interpretazione.

 

Il legame profondo che esiste tra spazio e tempo era ben noto in astronomia, in un contesto diverso, molto prima della teoria della relatività. Gli astronomi e gli astrofisici hanno a che fare con distanze estremamente grandi e di nuovo, in questo caso, diventa importante il fatto che la luce impieghi un certo intervallo di tempo per andare dall'oggetto osservato all'osservatore. Poiché la velocità della luce è finita, gli astronomi non osservano mai l'universo nel suo stato attuale, ma guardano sempre indietro, nel passato. Per andare dal Sole alla Terra, la luce impiega otto minuti, e quindi, in ogni momento, noi vediamo il Sole come era otto minuti prima. Analogamente, vediamo la stella più vicina come essa era quattro anni fa, e con i nostri potenti telescopi possiamo vedere le galassie come erano milioni di anni fa.

Il fatto che la velocità della luce è finita non rappresenta in alcun modo un problema per gli astronomi, anzi costituisce un grande vantaggio. Permette loro di osservare tutte le fasi dell'evoluzione di stelle, ammassi stellari o galassie guardando semplicemente nello spazio e indietro nel tempo. Tutti i tipi di fenomeni che sono avvenuti nei milioni di anni del passato possono effettivamente essere osservati in qualche punto del cielo. Gli astronomi sono quindi abituati a riconoscere l'importanza del legame che esiste tra spazio e tempo. Quello che la teoria della relatività ci dice di nuovo è che questo legame è importante non solo quando abbiamo a che fare con grandi distanze, ma anche quando abbiamo a che fare con grandi velocità. Persino qui sulla Terra la misura di una distanza non è indipendente dal tempo, perché essa richiede la specificazione dello stato di moto dell'osservatore, e quindi un riferimento al tempo.

 

FUNZIONE UNIFICATRICE

L'unificazione dello spazio e del tempo comporta - come è già stato detto nel capitolo precedente - una unificazione di altri concetti fondamentali, e questa funzione unificatrice è l'aspetto più caratteristico della struttura della relatività. Concetti che nella fisica non relativistica sembravano del tutto privi di qualsiasi relazione, ora sono considerati semplicemente aspetti diversi di un medesimo concetto. La sua funzione unificatrice conferisce alla struttura della relatività una grande eleganza e una profonda bellezza dal punto di vista matematico. Molti anni di lavoro con la teoria della relatività ci hanno portato ad apprezzare questa eleganza e a impadronirci perfettamente del suo formalismo matematico; tuttavia ciò è stato di scarso aiuto per la nostra intuizione. Non abbiamo alcuna esperienza sensoriale diretta dello spazio-tempo quadridimensionale né degli altri concetti relativistici. Ogni volta che studiamo dei fenomeni naturali che comportano alte velocità, ci risulta molto difficile trattare questi concetti sia a livello di intuizione sia a livello di linguaggio ordinario.

Per esempio, nella fisica classica si è sempre dato per scontato che un regolo ha la stessa lunghezza in moto o in quiete. La teoria della relatività ha mostrato che ciò non è vero. La lunghezza di un oggetto dipende dal suo moto rispetto all'osservatore e cambia con la velocità di quel moto. La variazione è tale che l'oggetto si contrae nella direzione del moto. La lunghezza del regolo è massima in un sistema di riferimento nel quale esso è in quiete e diminuisce col crescere della velocità rispetto all'osservatore. Durante gli esperimenti di «diffusione» della fisica delle alte energie, in cui le particelle si urtano a grandissime velocità, la contrazione relativistica raggiunge valori così elevati che particelle di forma sferica vengono schiacciate fino ad assumere la forma di «frittelle». È importante comprendere che non ha alcun senso chiedersi  quale sia la lunghezza «reale» di un oggetto, proprio come nella vita quotidiana non ha senso chiedersi quale sia la lunghezza reale dell'ombra di una persona. L'ombra è la proiezione su un piano bidimensionale di un insieme di punti dello spazio tridimensionale e la sua lunghezza è diversa a seconda dell'angolo di proiezione. Analogamente, la lunghezza di un oggetto in moto è la proiezione, su uno spazio tridimensionale, di un insieme di punti dello spazio-tempo quadridimensionale; essa è diversa in sistemi di riferimento diversi.

 

GLI INTERVALLI DI TEMPO

Ciò che è vero per le lunghezze, è vero anche per gli intervalli di tempo. Anch'essi dipendono dal sistema di riferimento, ma al contrario delle distanze spaziali diventano tanto più lunghi quanto più aumenta la velocità rispetto all'osservatore. Ciò significa che gli orologi in moto rallentano e il tempo scorre più lentamente. Questi orologi possono essere di tipi svariati: orologi meccanici, orologi atomici, o addirittura il battito del cuore dell'uomo. Se di una coppia di gemelli uno dei due partisse per un veloce viaggio di andata e ritorno nello spazio esterno, al suo rientro a casa risulterebbe più giovane del fratello, perché dal punto di vista di quest'ultimo, rimasto a terra, tutti i suoi «orologi» - il battito del cuore, il flusso del sangue, le onde cerebrali, ecc. - sarebbero rallentati durante il viaggio. Il viaggiatore, naturalmente, non si accorgerebbe di alcunché di insolito, ma al suo ritorno si renderebbe improvvisamente conto che ora il fratello gemello è molto più vecchio. Questo «paradosso dei gemelli» è forse il più famoso paradosso della fisica moderna. Esso ha provocato accese discussioni nelle riviste scientifiche, ancora non completamente sopite: una prova eloquente del fatto che la realtà descritta dalla teoria della relatività non può essere afferrata facilmente dalla nostra intelligenza ordinaria.

Il rallentamento degli orologi in moto, per quanto possa sembrare incredibile, è facilmente sottoposto a verifica nella fisica delle particelle. La maggior parte delle particelle subatomiche sono instabili, cioè dopo un certo periodo di tempo si disintegrano in altre particelle. Numerosi esperimenti hanno confermato il fatto che la vita media [3] di una di queste particelle instabili dipende dal suo stato di moto e aumenta con la sua velocità.

 

3. Forse è bene fare una piccola precisazione tecnica. Quando parliamo della vita di un determinato tipo di particella instabile, intendiamo sempre la vita media. A causa del carattere statistico della fisica subatomica. non possiamo fare alcuna affermazione precisa sulle singole particelle.

 

 Particelle che si muovono con una velocità pari all'80 per cento di quella della luce vivono circa l,7 volte di più delle loro «gemelle» lente, mentre con una velocità pari al 99 per cento della velocità della luce vivono circa 7 volte più a lungo. Anche in questo caso ciò non significa che cambia la vita media reale della particella. Dal punto di vista della particella, la sua vita media è sempre la stessa, ma dal punto di vista dell'osservatore nel laboratorio l'«orologio interno» della particella ha rallentato e perciò essa vive più a lungo.

Tutti questi effetti relativistici sembrano strani soltanto perché con i nostri sensi non possiamo fare alcuna esperienza diretta del mondo quadridimensionale dello spazio-tempo, ma possiamo osservarne soltanto le «immagini» tridimensionali. Queste immagini hanno aspetti diversi in diversi sistemi di riferimento; oggetti in moto appaiono diversi da oggetti fermi e orologi in moto scandiscono il tempo con ritmo diverso. Questi effetti possono sembrare paradossali se non comprendiamo che essi sono soltanto le proiezioni di fenomeni quadridimensionali, proprio come le ombre sono proiezioni di oggetti tridimensionali. Se potessimo visualizzare la realtà dello spazio-tempo quadridimensionale, non ci sarebbe nulla di paradossale.

 

L’ESPRIENZA PLURIDIMENSIONALE

I mistici orientali, come è stato detto sopra, sembrano in grado di raggiungere stati di coscienza non ordinari, nei quali trascendono il mondo tridimensionale della vita quotidiana per provare l'esperienza di una realtà superiore, pluridimensionale. Aurobindo per esempio parla di «un mutamento sottile che fa sì che la vista veda in una specie di quarta dimensione». Le dimensioni di questi stati di coscienza non sono forse le stesse con le quali abbiamo a che fare nella fisica relativistica, ma è sorprendente il fatto che esse abbiano condotto i mistici a nozioni di spazio e tempo che sono molto simili a quelle della teoria della relatività.

In tutto il misticismo orientale sembra essere presente una profonda intuizione del carattere «spazio-temporale» della realtà. Viene ribadito con insistenza che spazio e tempo sono uniti in maniera inseparabile, un fatto questo peculiare della fisica relativistica. Questa nozione intuitiva di spazio e tempo ha trovato, forse, la sua esposizione più chiara e la sua elaborazione di più vasta portata nel Buddhismo, e in particolare nella scuola Avatamsaka del buddhismo Mahāyāna.

L'Avatamsaka-sūtra, sul quale si basa tale scuola, fornisce una viva  descrizione dell'esperienza che si ha del mondo nello stato di illuminazione. La consapevolezza di una «compenetrazione di spazio e tempo» - un'espressione perfetta per descrivere lo spazio-tempo è ripetutamente sottolineata nel Sūtra ed è vista come una caratteristica essenziale dello stato di illuminazione della mente.

 

Per usare le parole di D.T. Suzuki:

«Il significato dell'Avatamsaka e della sua filosofia è incomprensibile a meno di non provare una volta... uno stato di totale dissolvimento in cui non c'è più distinzione tra mente e corpo, soggetto e oggetto... Ci guardiamo intorno e sentiamo che... ogni oggetto è connesso con ogni altro oggetto... non solo spazialmente, ma temporalmente. ... Come realtà di pura esperienza, non c'è spazio senza tempo, non c'è tempo senza spazio; essi si compenetrano».

 

Difficilmente si potrebbe trovare un modo migliore per descrivere il concetto relativistico di spazio-tempo. Confrontando la citazione di Suzuki con quella, riportata precedentemente, di Minkowski, è interessante anche notare che sia il fisico sia il buddhista sottolineano il fatto che le loro concezioni di spazio-tempo sono basate sull'esperienza: in un caso su esperimenti scientifici, nell'altro sull'esperienza mistica.

A parer mio, la particolare disposizione dell'intuito dei mistici orientali a dare importanza al concetto di tempo è una delle ragioni principali per cui, in genere, le loro idee sulla natura sembrano corrispondere molto più da vicino alle concezioni scientifiche moderne di quanto non facciano quelle della maggior parte dei filosofi greci. La filosofia della natura dei Greci era, nel suo insieme, essenzialmente statica e in buona parte si basava su considerazioni geometriche. Si potrebbe dire che era estremamente «non-relativistica», e la sua profonda influenza sul pensiero occidentale può essere certamente uno dei motivi per cui noi abbiamo difficoltà concettuali tanto grandi di fronte ai modelli relativistici della fisica moderna. Le filosofie orientali, viceversa, sono filosofie dello «spazio-tempo» e quindi la loro intuizione spesso si avvicina moltissimo alle concezioni della natura suggerite dalle nostre moderne teorie relativistiche.

 

Essendo basate sulla consapevolezza che spazio e tempo sono intimamente connessi e compenetrati, le concezioni del mondo della fisica moderna e del misticismo orientale sono entrambe intrinsecamente dinamiche e contengono il tempo e il mutamento come propri elementi essenziali. Questo punto sarà esaminato dettagliatamente nel prossimo capitolo, e costituisce il secondo tema importante, a cui si farà costante riferimento nel nostro confronto tra fisica e misticismo orientale (il primo è quello dell'unità di tutte le cose e di tutti gli eventi). Studiando i modelli relativistici e le teorie della fisica moderna, vedremo che ognuno di essi è una straordinaria esemplificazione dei due elementi basilari della concezione orientale del mondo: l'unicità fondamentale dell'universo e il suo carattere intrinsecamente dinamico.

 

La teoria della relatività, nella forma esaminata finora, è nota come «teoria speciale della relatività». Essa fornisce uno schema che vale per la descrizione tanto dei fenomeni associati ai corpi in moto, quanto di quelli associati all'elettricità e al magnetismo; gli elementi caratteristici fondamentali di questo schema sono la relatività dello spazio e del tempo e la loro unificazione in uno spazio-tempo quadridimensionale.

 

Nella «teoria generale della relatività», lo schema della teoria speciale è stato esteso fino a includere la gravità. L'effetto della gravità, secondo la relatività generale, è di curvare lo spazio-tempo. Di nuovo, questo fatto è estremamente difficile da visualizzare. Possiamo facilmente immaginare una superficie curva bidimensionale, come per esempio il guscio di un uovo, perché vediamo una superficie curva del genere nello spazio tridimensionale. Il significato del termine curvatura per superfici curve bidimensionali è quindi del tutto chiaro; ma quando si trasferisce questo concetto allo spazio tridimensionale - per non parlare dello spazio-tempo quadridimensionale - la nostra immaginazione ci abbandona. Poiché non possiamo guardare lo spazio tridimensionale «dall'esterno», non riusciamo a immaginare come possa essere «curvato in qualche direzione».

 

Per comprendere il significato dello spazio-tempo curvo, dobbiamo servirci, come analogie, di superfici curve bidimensionali. Immaginiamo, per esempio, la superficie di una sfera. Il fatto decisivo che rende possibile l'analogia con lo spazio-tempo è che la curvatura è una proprietà intrinseca alla superficie e può essere misurata senza uscire nello spazio tridimensionale. Un insetto bidimensionale, confinato sulla superficie della sfera e incapace di percepire lo spazio tridimensionale, potrebbe lo stesso scoprire che la superficie sulla quale vive è curva, purché sia in grado di eseguire misurazioni geometriche.

 

 

Come si traccia una linea retta su un piano e su una sfera

 

Per capire come questo possa avvenire, dobbiamo confrontare la geometria del nostro insetto sulla sfera con quella di un altro insetto simile che viva su una superficie piana. Supponiamo che i due insetti comincino il loro studio della geometria tracciando una linea retta, definita come il percorso più breve tra due punti. Il risultato è indicato nella figura. Vediamo che l'insetto sulla superficie piana ha disegnato una vera e propria linea retta, ma cosa ha fatto l'insetto sulla sfera? Per lui, la linea che ha disegnato è la più breve tra quelle che uniscono i punti A e B, poiché qualsiasi altra linea che può tracciare risulterebbe più lunga; ma noi, dal nostro punto di vista, ci accorgiamo che questa linea è una curva (per la precisione, si tratta di un arco di cerchio massimo). Supponiamo ora che i due insetti studino i triangoli. L'insetto sul piano troverà che la somma dei tre angoli di qualsiasi triangolo è uguale a due angoli retti, cioè 180°; l'insetto sulla sfera scoprirà invece che nei suoi triangoli la somma degli angoli è sempre maggiore di 180°. Per triangoli piccoli, la differenza in eccesso è piccola, ma essa cresce a mano a mano che i triangoli diventano più grandi e, come caso limite, il nostro insetto sulla sfera sarà addirittura in grado di disegnare triangoli con tre angoli retti. Infine, vediamo che cosa succede quando i due insetti tracciano dei cerchi e ne misurano la circonferenza. L'insetto sul piano troverà che la circonferenza è sempre uguale a 2 n volte il raggio. indipendentemente dalle dimensioni del cerchio. L'insetto sulla sfera, viceversa, noterà che la circonferenza è sempre minore di 2 t volte il raggio. Come si può vedere nella figura qui sotto, il nostro punto di vista tridimensionale ci permette di capire che quello che l'insetto considera il raggio del suo cerchio è in effetti una curva che è sempre maggiore del raggio vero del cerchio.

 

 

Su una sfera un triangolo può avere tre angoli retti

 

Via via che i due insetti continuano a studiare la geometria, quello sul piano scoprirà gli assiomi e le leggi della geometria euclidea, ma il suo collega sulla sfera scoprirà leggi diverse. La differenza sarà piccola per figure geometriche piccole, ma aumenterà a mano a mano che le figure geometriche diventeranno più grandi. L’esempio dei due insetti fa vedere che possiamo sempre determinare se una superficie è curva oppure no semplicemente effettuando misurazioni geometriche sulla superficie e confrontando i risultati con quelli previsti dalla geometria euclidea. Se c’è una discrepanza, la superficie è curva, e più grande è la discrepanza – per una data dimensione della figura – maggiore è la curvatura.

 

Come si traccia una circonferenza su una sfera

 

Nello stesso modo, possiamo definire come spazio tridimensionale curvo uno spazio nel quale non è più valida la geometria euclidea. In esso, le leggi della geometria saranno di tipo diverso, «non euclideo». Una geometria non euclidea di questo genere fu introdotta dal matematico Georg Riemann nel diciannovesimo secolo, come idea matematica puramente astratta, e si ritenne che fosse niente di più che questo fino al momento in cui Einstein propose la rivoluzionaria ipotesi che lo spazio tridimensionale in cui viviamo è di fatto curvo. Secondo la teoria di Einstein, la curvatura dello spazio è prodotta dai campi gravitazionali dei corpi. Dovunque sia presente un oggetto con massa, lo spazio circostante è curvo, e il grado di curvatura, vale a dire il grado in cui la geometria devia da quella di Euclide, dipende dalla massa dell'oggetto.

 

Le equazioni che mettono in relazione la curvatura dello spazio con la distribuzione di materia presente in esso sono chiamate equazioni del campo di Einstein. Possono essere applicate non solo per determinare le variazioni locali di curvatura nelle vicinanze di stelle e pianeti, ma anche per scoprire se c'è una curvatura globale dello spazio su larga scala. In altre parole, le equazioni di Einstein possono essere usate per determinare la struttura dell'universo nel suo insieme. Purtroppo, esse non danno una risposta univoca, ma possono avere soluzioni matematiche diverse; queste diverse soluzioni costituiscono i vari modelli dell'universo studiati in cosmologia, alcuni dei quali verranno esaminati nel prossimo capitolo. Determinare quale di essi corrisponda alla struttura reale del nostro universo è il compito principale della cosmologia dei nostri giorni.

 

Poiché nella teoria della relatività lo spazio non può mai essere separato dal tempo, la curvatura prodotta dalla gravità non può rimanere limitata allo spazio tridimensionale, ma deve estendersi allo spazio-tempo quadridimensionale. E questo è, in effetti, quanto prevede la teoria generale della relatività. In uno spazio-tempo curvo, le distorsioni prodotte dalla curvatura riguardano non solo le relazioni spaziali descritte dalla geometria, ma anche le durate degli intervalli di tempo. Il tempo non scorre con la stessa rapidità che avrebbe nello «spazio-tempo piano», e col variare della curvatura da punto a punto, in rapporto alla distribuzione della massa dei corpi, varia corrispondentemente lo scorrere del tempo. È importante rendersi conto, tuttavia, che questa variazione dello scorrere del tempo può essere vista solo da un osservatore che rimanga in un luogo diverso da quello degli orologi usati per misurare tale variazione. Se l'osservatore, per esempio, si spostasse in un luogo nel quale il tempo scorre più lentamente, anche tutti i suoi orologi rallenterebbero e quindi egli non avrebbe alcun mezzo per misurare tale effetto.

 

Nel nostro ambiente terrestre, gli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo sono talmente piccoli da essere insignificanti, ma nell'astrofisica, che tratta con corpi di grande massa, quali pianeti, stelle e galassie, la curvatura dello spazio-tempo è un fenomeno importante. Finora tutte le osservazioni hanno confermato la teoria di Einstein e ci spingono quindi a credere che lo spazio-tempo sia di fatto curvo. Gli effetti più drastici della curvatura dello spazio-tempo si manifestano durante la contrazione - o «collasso» -  gravitazionale di una stella di grande massa. Secondo le idee correnti dell'astrofisica, nel corso della sua evoluzione ogni stella raggiunge uno stadio durante il quale essa si contrae a causa della mutua attrazione gravitazionale tra le sue particelle. Poiché l'attrazione aumenta rapidamente col diminuire della distanza tra le particelle, la contrazione accelera, e se la stella ha una massa sufficientemente grande, pari a più di due volte quella del Sole, nessun processo conosciuto può impedire che la contrazione prosegua indefinitamente.

 

A mano a mano che la stella si contrae e diventa più densa, la forza di gravità sulla sua superficie cresce sempre più, e di conseguenza continua ad aumentare anche la curvatura dello spazio-tempo nella regione circostante. A causa della crescente forza di gravità sulla superficie della stella, diventa sempre più difficile allontanarsene, e alla fine la stella raggiunge uno stadio in cui dalla sua superficie non può sfuggire nulla, neanche la luce. A questo stadio diciamo che attorno alla stella si forma un «orizzonte degli eventi», perché nessun segnale può allontanarsi da essa per comunicare un evento qualsiasi al mondo esterno. Lo spazio attorno alla stella è quindi talmente curvo che tutta la luce rimane confinata al suo interno e non può uscirne. Noi non siamo in grado di vedere una stella di questo tipo, perché la sua luce non può mai raggiungerci e per questo motivo la chiamiamo buco nero. L'esistenza dei buchi neri fu prevista già nel 1916, sulla base della teoria della relatività; recentemente l'argomento è stato posto al centro dell'attenzione dalla scoperta di alcuni fenomeni stellari che sembrerebbero indicare l'esistenza di una stella pesante che ruota attorno a una compagna invisibile, la quale potrebbe essere un buco nero.

 

I buchi neri sono tra gli oggetti più affascinanti e più misteriosi studiati dall'astrofisica moderna e illustrano nel modo più spettacolare gli effetti della teoria della relatività. La forte curvatura dello spazio-tempo attorno ad essi non solo impedisce a tutta la loro luce di raggiungerci, ma ha un effetto altrettanto impressionante sul tempo. Se un orologio, che ci trasmette i suoi segnali, si trovasse sulla superficie di una stella che si sta contraendo, noi osserveremmo che questi segnali rallentano a mano a mano che la stella si approssima all'orizzonte degli eventi finché, una volta che la stella fosse diventata un buco nero, non ci giungerebbe più nessun segnale dall'orologio. Per un osservatore esterno, lo scorrere del tempo sulla superficie della stella rallenta con la contrazione della stella e si ferma del tutto all'orizzonte degli eventi. La contrazione completa della stella avviene quindi in un tempo infinito. Tuttavia la stella stessa non avverte nulla di particolare quando si contrae oltre l'orizzonte degli eventi. Il tempo continua a scorrere normalmente e la contrazione è completata dopo un periodo finito di tempo, quando la stella si è contratta in un punto di densità infinita. Allora, quanto tempo occorre realmente per la contrazione: un tempo finito o un tempo infinito? Nel mondo della teoria della relatività, una domanda di questo tipo è priva di senso. La durata della vita di una stella che si contrae, come tutti gli altri intervalli di tempo, è relativa e dipende dal sistema di riferimento dell'osservatore.

 

Nella teoria generale della relatività, i concetti classici di spazio e di tempo come entità assolute e indipendenti sono totalmente aboliti. Non solo sono relative tutte le misurazioni riguardanti lo spazio e il tempo, poiché dipendono dallo stato di moto dell'osservatore, ma l'intera struttura dello spazio-tempo è inestricabilmente legata alla distribuzione della materia. Lo spazio è curvo in misura diversa e il tempo scorre diversamente in punti diversi dell'universo. Siamo quindi giunti a comprendere che le idee di spazio euclideo tridimensionale e di tempo che scorre linearmente sono limitate alla nostra esperienza ordinaria del mondo fisico e devono essere completamente abbandonate quando ampliamo questa esperienza.

 

Anche i saggi orientali parlano di ampliamento della loro esperienza del mondo durante gli stati superiori di coscienza, e affermano che questi stati comportano un'esperienza totalmente diversa dello spazio e del tempo. Essi insistono sul fatto che non solo, durante la meditazione, vanno al di là dell'ordinario spazio tridimensionale, ma anche - e sottolineano questo con vigore ancora maggiore -  trascendono l'ordinaria consapevolezza del tempo. Invece di una successione lineare di istanti, essi percepiscono - così dicono - un presente infinito, eterno, e tuttavia dinamico. Nelle seguenti citazioni, tre mistici orientali - il saggio taoista Chuang-tzu, il sesto patriarca Zen Hui- neng e lo studioso contemporaneo di Buddhismo D.T. Suzuki - parlano dell'esperienza di questo «eterno presente»:

 

«Dimentichiamo il trascorrere del tempo; dimentichiamo i contrasti di opinioni. Facciamoci assorbire dall'infinito e occupiamo in esso il nostro posto».

 

«L'assoluta tranquillità è il momento presente. Sebbene sia in questo momento, questo momento non ha limiti, e quivi è eterno diletto».

 

«In questo mondo spirituale non ci sono suddivisioni di tempo come passato, presente e futuro; esse si sono contratte in un singolo istante del presente nel quale la vita freme nel suo vero senso... Il passato e il futuro sono entrambi racchiusi in questo momento presente di illuminazione e questo momento presente non è qualcosa che sta in quiete con tutto ciò che contiene, ma si muove incessantemente».

 

È quasi impossibile parlare dell'esperienza di eterno presente, perché tutte le parole come «eterno», «presente», «passato», «istante», ecc., si riferiscono all'idea convenzionale di tempo. È quindi estremamente difficile comprendere cosa vogliano dire i mistici in passi come quelli citati; ma qui, di nuovo, la fisica moderna può facilitare la comprensione, in quanto può essere usata per illustrare con esempi grafici come le sue teorie trascendano le nozioni ordinarie di tempo.

 

Nella fisica relativistica, la storia di un oggetto, per esempio di una particella, può essere rappresentata in un cosiddetto «diagramma spazio-tempo» (si veda figura a p. 210).

 

In questi diagrammi, la direzione orizzontale  rappresenta lo spazio, e la direzione verticale il tempo. (1)

 

(1). In questi diagrammi, lo spazio ha una sola dimensione; le altre due dimensioni sono state eliminate per poter disegnare il diagramma su un piano

 

 

Linee di universo di varie particelle

 

La traiettoria della particella nello spazio-tempo si chiama la sua «linea di universo». Anche quando è in quiete, la particella si muove nel tempo e in tal caso la sua «linea di universo» è una retta verticale. Se la particella si muove nello spazio, la sua linea di universo sarà inclinata, con un'inclinazione tanto maggiore quanto più grande è la velocità della particella. Si noti che le particelle possono muoversi solo in avanti nel tempo, ma sia in avanti che indietro nello spazio. Le loro linee di universo possono avere inclinazioni diverse rispetto all'orizzontale, ma non possono mai diventare perfettamente orizzontali, poiché ciò significherebbe che una particella viaggia da un punto all'altro in un tempo nullo.

 

I diagrammi spazio-tempo sono usati nella fisica relativistica per rappresentare le interazioni tra varie particelle. Per ciascun processo, possiamo tracciare un diagramma e associare ad esso una espressione matematica definita che ci dà la probabilità che si verifichi il processo. Per esempio, l'urto, o «diffusione», tra un elettrone e un fotone può essere rappresentato con il seguente diagramma. Questo diagramma dev'essere letto nel seguente modo (a cominciare dal basso verso l'alto, secondo la direzione del tempo): un elettrone (indicato con e- poiché ha carica negativa) urta un fotone (indicato con y); il fotone è assorbito dall'elettrone che continua la sua traiettoria con velocità diversa (e di conseguenza varia la pendenza della linea di universo); dopo un certo tempo l'elettrone emette nuovamente il fotone e inverte la sua direzione di moto.

 

Diffusione elettrone-fotone

 

La teoria che fornisce lo schema interpretativo adeguato per questi diagrammi spazio-tempo e per le espressioni matematiche a essi associate si chiama « teoria dei campi ». Si tratta di una delle più importanti teorie relativistiche della fisica moderna, i cui concetti fondamentali saranno esaminati più avanti. Per la nostra discussione dei diagrammi spazio-tempo, sarà sufficiente conoscere due aspetti particolari di questa teoria. Il primo è il fatto che tutte le interazioni comportano la creazione e la distruzione di particelle, come l'assorbimento e l'emissione del fotone nel nostro diagramma; il secondo aspetto è la simmetria di fondo che esiste tra particelle e antiparticelle. Per ogni particella, esiste un'antiparticella con massa uguale e carica opposta. L'antiparticella dell'elettrone, per esempio, viene chiamata positrone e in genere è indicata col simbolo e+. Il fotone, non avendo carica, è l'antiparticella di se stesso. Coppie di elettroni e positroni possono essere create spontaneamente da fotoni e possono ritrasformarsi in fotoni nel processo inverso di annichilazione.

 

I diagrammi spazio-tempo possono essere notevolmente semplificati se si adotta il seguente artificio. La freccia su una linea di universo non viene più usata per indicare la direzione del moto della particella (ciò comunque non è necessario, poiché tutte le particelle si muovono in avanti nel tempo, cioè verso l'alto nel diagramma), ma viene invece usata per distinguere tra particelle e antiparticelle: se la freccia punta verso l'alto, indica una particella (ad esempio un elettrone), se punta verso il basso, indica una antiparticella (per esempio un positrone). Il fotone, che coincide con la propria antiparticella, è rappresentato con una linea di universo senza alcuna freccia. Con questa modifica, possiamo ora omettere tutti i simboli nel nostro diagramma senza provocare alcuna confusione: le linee con frecce rappresentano elettroni, quelle senza frecce fotoni. Per rendere il diagramma ancora più semplice, possiamo anche omettere gli assi dello spazio e del tempo, ricordando che la direzione del tempo va dal basso verso l'alto e che la direzione in avanti nello spazio va da sinistra a destra.

 

 

 

Diffusione elettrone-fotone

 

Con queste semplificazioni, il diagramma spazio-tempo per la diffusione elettrone-fotone avrà l'aspetto della figura precedente. Se vogliamo invece rappresentare un processo di diffusione tra un fotone e un positrone, possiamo tracciare lo stesso diagramma e invertire sem- plicemente la direzione delle frecce, come nella figura seguente:

 

 

Diffusione elettrone-fotone

 

Finora, non c'è stato nulla di insolito nella nostra discussione sui diagrammi spazio-tempo. Li abbiamo letti dal basso verso l'alto, secondo la nostra idea convenzionale di tempo che scorre linearmente. L'aspetto insolito si trova nei diagrammi che contengono linee di positroni, come in quello che rappresenta una diffusione positrone-fotone. Il formalismo matematico della teoria dei campi suggerisce che queste linee possono essere interpretate in due modi: o come positroni che si muovono in avanti nel tempo, o come elettroni che si muovono all'indietro nel tempo! Dal punto di vista matematico, le due interpretazioni sono identiche; la stessa espressione descrive una antiparticella che si muove dal passato verso il futuro, oppure una particella che si muove dal futuro verso il passato. Possiamo quindi vedere i nostri due diagrammi come rappresentazioni dello stesso processo che si evolve in direzioni diverse nel tempo. Entrambi possono essere interpretati come diffusione di elettroni e fotoni, ma in un processo le particelle si muovono in avanti nel tempo, nell'altro si muovono all'indietro. (1).

 

Processo di diffusione al quale prendono parte fotoni, elettroni e un positrone

 

 La teoria relativistica delle interazioni tra particelle presenta quindi una perfetta simmetria rispetto alla direzione del tempo. Tutti i diagrammi spazio-tempo possono essere letti in entrambe le direzioni. Per ogni processo, esiste un processo equivalente in cui la direzione del tempo è invertita e le particelle sono sostituite da antiparticelle.2

Per vedere in che modo questa sconcertante caratteristica del mondo delle particelle subatomiche influenza le nostre concezioni dello spazio e del tempo, consideriamo il processo illustrato nel seguente diagramma:

 

Leggendo il diagramma nel modo convenzionale, dal basso verso l'alto, lo possiamo interpretare come segue: un elettrone (rappresentato da una linea a tratto continuo) e un fotone (rappresentato da una linea tratteggiata) si avvicinano l'uno all'altro; nel punto A il fotone crea una coppia elettrone-positrone, l'elettrone si allontana rapidamente verso destra, il positrone verso sinistra; il positrone e l'elettrone iniziale entrano quindi in collisione nel punto B, si annichilano l'uno con l'altro e durante questo processo creano un fotone che si allontana rapidamente verso sinistra. In alternativa, possiamo anche interpretare il processo come l'interazione di due fotoni con un singolo elettrone che prima si sposta in avanti nel tempi, quindi all'indietro e poi nuovamente in avanti. Per questa interpretazione, seguiamo semplicemente le frecce sulla linea di universo dell'elettrone per tutto il suo percorso; l'elettrone si sposta verso il punto B dove emette un fotone e inverte la sua direzione, per viaggiare all'indietro nel tempo fino al punto A; qui assorbe il fotone iniziale, inverte nuovamente la sua direzione e si allontana rapidamente in avanti nel tempo. In un certo senso, la seconda interpretazione è molto più semplice, perché seguiamo soltanto la linea di universo di una particella. D'altra parte, notiamo immediatamente che così facendo incorriamo in serie difficoltà di linguaggio. L'elettrone viaggia «prima» verso il punto B e «poi» verso il punto A; eppure l'assorbimento del fotone in A avviene prima dell'emissione dell'altro fotone in B.

Il modo migliore per evitare queste difficoltà è di vedere diagrammi spazio-tempo di questo genere non come registrazioni cronologiche delle traiettorie delle particelle nel tempo, ma piuttosto come figure quadri-dimensionali nello spazio-tempo, che rappresentano una rete di eventi interconnessi, ai quali non va attribuita alcuna direzione definita del tempo. Poiché tutte le particelle possono muoversi in avanti e all'indietro nel tempo, proprio come possono muoversi a destra e a sinistra nello spazio, non ha alcun senso imporre sui diagrammi un flusso unidirezionale del tempo. Essi sono semplicemente mappe quadridimensionali tracciate nello spazio- tempo in modo tale che non possiamo parlare di sequenze temporali.

 

Per usare le parole di Louis de Broglie:

«Nello spazio-tempo, tutto ciò che per ciascuno di noi costituisce il passato, il presente e il futuro è dato in blocco... Ciascun osservatore col passare del suo tempo scopre, per così dire, nuove porzioni dello spazio-tempo, che gli appaiono come aspetti successivi del mondo materiale, sebbene in realtà l'insieme degli eventi che costituiscono lo spazio-tempo esistesse già prima di essere conosciuto .

 

Questo, quindi, è il pieno significato dello spazio-tempo nella fisica relativistica. Spazio e tempo sono del tutto equivalenti, essi sono unificati in un continuo quadridimensionale nel quale le interazioni tra le particelle possono estendersi in qualsiasi direzione. Se vogliamo raffigurare queste interazioni, dobbiamo rappresentarle in una « istantanea quadridimensionale » che copra l'intero intervallo di tempo come pure l'intera regione di spazio. Per ottenere la sensazione esatta del mondo relativistico delle particelle, dobbiamo «dimenticare il trascorrere del tempo», come dice Chuang-tzu; ed è per questo che i diagrammi spazio-tempo della teoria dei campi possono essere un'analogia utile per capire l'esperienza dello spazio-tempo dei mistici orientali. La pertinenza dell'analogia è resa evidente dalle seguenti considerazioni del Lama Govinda a proposito della meditazione buddhista:

 

« ... Se parliamo dell'esperienza spaziale ottenuta nella meditazione, abbiamo a che fare con una dimensione del tutto diversa... In questa esperienza spaziale, la successione temporale è trasformata in una simultanea coesistenza, l'esistenza parallela delle cose..., e anche questa non rimane statica, ma diventa un continuum vivente in cui tempo e spazio sono integrati... ».

 

Sebbene i fisici usino il loro formalismo matematico e i loro diagrammi per rappresentare «in blocco» le interazioni nello spazio-tempo quadridimensionale, essi dicono che nel mondo reale ogni osservatore può fare esperienza dei fenomeni solo in una successione di sezioni dello spazio-tempo, cioè in una sequenza temporale. I mistici, viceversa, sostengono di poter realmente percepire la pienezza di un intervallo dello spazio-tempo nel quale il tempo non fluisce più. Ad esempio, Dogen, un maestro Zen, dice:

 

«La maggior parte delle persone crede che il tempo trascorra; in realtà esso sta sempre là dov'è. Questa idea del trascorrere può essere chiamata tempo, ma è un'idea inesatta; infatti, dato che lo si può vedere solo come un trascorrere, non si può comprendere che esso sta proprio dov'è».

 

Molti dei maestri orientali mettono in rilievo che il pensiero deve svolgersi nel tempo, ma che l'intuito può trascenderlo. «L'intuito» dice Govinda «è legato allo spazio di una dimensione superiore ed è, quindi, senza tempo». Lo spazio-tempo della fisica relativistica è anch'esso uno spazio privo di tempo, che appartiene a una dimensione superiore. In esso, tutti gli eventi sono interconnessi, ma le connessioni non sono causali. Le interazioni tra particelle possono essere interpretate in termini di causa ed effetto solo quando i diagrammi spazio-tempo sono letti in una determinata direzione, per esempio dal basso verso l'alto. Quando vengono considerati come figure quadridimensionali prive di una direzione definita del tempo, non c'è un «prima» né un «dopo», e quindi nessuna relazione di causalità.

 

In maniera analoga, i mistici orientali affermano che nel trascendere il tempo essi trascendono anche il mondo della causa e dell'effetto. Come le nostre ordinarie nozioni di spazio e tempo, la causalità è un'idea limitata a una certa esperienza del mondo e deve essere abbandonata quando questa esperienza viene ampliata. Così si esprime Swami Vivekananda:

 

«Tempo, spazio e causalità sono la lente attraverso la quale si vede l'Assoluto ... Nell'Assoluto in se stesso non ci sono né tempo, né spazio, né causalità».

 

Le tradizioni spirituali orientali indicano ai loro seguaci vari modi per andare al di là dell'ordinaria esperienza del tempo e per liberarsi dalla catena di causa ed effetto: dal vincolo delk a r m a n, come dicono gli Indù e i Buddhisti. Perciò è stato detto che il misticismo orientale è una liberazione dal tempo. In un certo senso, la stessa cosa si può dire della fisica relativistica.

 

 

 

 

 

 

 

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